Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3700 del 19/12/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 3700 Anno 2014
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: ANDREAZZA GASTONE

SENTENZA

sul ricorso proposto da : D’Alimonti Giuseppe, n. a Avezzano il 22/09/1955;
Mennillo Gianluca, n. a Avezzano il 30/11/1976;

avverso la sentenza della Corte d’Appello di L’Aquila in data 21/03/2013;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Gastone Andreazza;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale F. Salzano, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
udite le conclusioni degli Avv.ti R. Moroni, in sostituzione dell’Avv. P. Armellin,
per Mennillo Gianluca, e C. Fierimonte, in sostituzione dell’Avv. R. Longo, per
D’Alimonti Giuseppe;

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’Appello di L’Aquila, in parziale riforma della sentenza del Tribunale
di L’Aquila di condanna, tra gli altri, di D’Alimonti Giuseppe e Mennillo Gianluca
per i reati di cui all’art.74 del d.P.R. n. 309 del 1990 e per vari reati di cui all’art.
73 del d.P.R. n. 309 del 1990, ha rideterminato la pena, per il primo, in anni sei

Data Udienza: 19/12/2013

e mesi quattro di reclusione e, per il secondo, in anni quattro e mesi dieci di
reclusione.

2. Ha proposto ricorso anzitutto l’imputato Mennillo Gianluca lamentando la
violazione di legge con riferimento alla mancata concessione della attenuante di
cui al comma 5 dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990; deduce sul punto la

bisogno di stupefacente nonché la sua posizione di marginalità emersa anche dal
giudizio.

3. Ha proposto ricorso inoltre D’Alimonti Giuseppe che, con un primo motivo, si
duole del fatto che la Corte d’Appello, confermando l’apodittico percorso seguito
dal giudice di primo grado, non abbia valutato le risultanze idonee ad escludere
la partecipazione attiva ad un sodalizio illecito. In particolare, dalle risultanze
processuali documentali e dal contenuto delle intercettazioni telefoniche è
emersa la non titolarità da parte dell’imputato del bar che sarebbe stato
utilizzato quale punto di vendita al minuto dello stupefacente, essendo lo stesso
riferibile a Scavo Nunzio che aveva acquistato l’attività commerciale in oggetto
con atto del 21 settembre 2006, sicché la condotta associativa sarebbe stata
ricavata dal mero dato di essere egli stato in precedenza proprietario
dell’esercizio. Contesta inoltre gli elementi desunti dalla Corte nelle dichiarazioni
e nelle chiamate di correo rese dal capo del clan Viola Emidio, che ha attribuito a
terzi pesanti condotte penalmente rilevanti poi rivelatesi senza riscontro. Infine
rileva come la assoluzione dall’imputazione di cui al capo A 35 dovrebbe
travolgere inesorabilmente la contestata aggravante anche per il ricorrente della
disponibilità di armi anche occultate e tenute in luogo di deposito.
Con un secondo motivo lamenta l’erronea applicazione della legge con riguardo
alla mancata concessione dell’attenuante di cui all’art. 114 c.p., stante la
marginale posizione rivestita e la possibile attribuzione della responsabilità per le
sole situazioni di spaccio di cui ai capi A, B, C, E, F.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso di Mennillo Gianluca è fondato.
La stessa sentenza impugnata, pur avendo riportato, in premessa, tra i motivi di
appello, quello con cui l’imputato si doleva del mancato riconoscimento, da parte
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comprovata pregressa e attuale condizione di tossicodipendente, l’incoercibile

del giudice di primo grado, della circostanza attenuante di cui all’art. 73, comma
5 cit., ha poi omesso del tutto l’esame dello stesso, essendo dunque fondato il
vizio di motivazione lamentato.

5. Il ricorso di D’Alimonti Giuseppe va invece rigettato.
Quanto alla doglianza, di cui al primo motivo, circa la propria partecipazione

dopo avere precisato che D’Alimonti non ha mai contestato la oggettiva ed
individuata esistenza di un sodalizio illecito, facente capo a Viola Emidio, volto
alla commissione di più delitti in materia di sostanze stupefacenti del tipo
cocaina, ha evidenziato come l’imputato fosse il gestore del bar Pietragrossa sito
in Paterno di Avezzano, nel quale la cocaina, proveniente dall’abitazione di Viola,
veniva venduta ai singoli acquirenti (le cui lamentele circa droga “tagliata male”
lo stesso D’Alimonti riportava del resto all’interno della villa di Viola agli altri
partecipi al sodalizio) e come lo stesso, presente nella villa del Viola dopo
l’arresto di questi, avesse manifestato, durante una conversazione oggetto di
intercettazione, la significativa intenzione di spacciare stupefacente solo dopo
l’uscita di Viola dal carcere e solo per lui, in tal modo emergendo il collegamento
tra i due e il rapporto di “fedeltà” che legava il primo al secondo; ancora, la
sentenza ha ricordato come fosse lo stesso Viola (ciò emergendo dal contenuto
di dichiarazioni della moglie oggetto di intercettazione ambientale) a volere che i
soldi frutto dello stabile spaccio fossero custoditi proprio da D’Alimonti. Tutti tali
dati fattuali sono stai poi individuati dalla Corte quali altrettanti elementi di
riscontro delle dichiarazioni rese dallo stesso Viola, secondo cui D’Alimonti era
entrato a far parte dell’organizzazione illecita sin dal dicembre del 2004, tanto
che aveva cominciato a vendere la cocaina a dieci euro al pezzo, giungendo poi a
guadagnare fino al 40% del ricavato.
Di qui la motivata conclusione secondo cui le funzioni dell’imputato, che, quale
persona incensurata, dava affidamento per il fatto presumibile di non essere
continuamente a rischio di controllo da parte delle forze dell’ordine, erano, nella
“catena di montaggio” illecita, quelle di smerciare appunto lo stupefacente ai
singoli acquirenti al minuto utilizzando al riguardo il proprio locale bar.
Ora, a fronte di tali argomentate considerazioni, che in maniera non illogica
ricavano da tali elementi la prova della partecipazione dell’imputato al sodalizio
illecito, il ricorso, mentre da un lato contesta su un piano meramente fattuale
l’elemento della disponibilità del bar, ricondotto, contrariamente a quanto
ritenuto dai giudici, alla gestione di Scavo Nunzio, dall’altro finisce, lamentando
unicamente che la chiamata in correità da parte di Viola Emidio sarebbe di
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all’associazione ex art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990, la sentenza impugnata,

contenuto mendace perché volto ad acquisire un più mite trattamento carcerario,
per pretendere una inammissibile nuova valutazione delle prove già vagliate dai
giudici di merito.
Né è fondato l’assunto, sempre di cui al primo motivo, secondo cui l’assoluzione
dall’imputazione di cui al capo A 35 relativa alla gestione di un deposito di armi
da parte del ricorrente avrebbe dovuto ipso iure comportare il venir meno della

all’art. 74, comma 4, del d.P.R. n. 309 del 1990 (contestata al capo A 30),
estendendosi l’aggravante in oggetto, di natura oggettiva, e fondata sulla
disponibilità di ulteriori armi per le quali è intervenuta invece condanna, a tutti i
partecipanti al sodalizio stesso (cfr. con riferimento all’art. 416 bis c.p., Sez.1, n.
1896 del 13/06/1987, Abbate, Rv.177587).

5.1. Anche il secondo motivo è infondato.
Va ribadito che l’attenuante di cui all’art. 114 c. p. è affidata al potere
discrezionale del giudice di merito, nel senso che questi, subordinatamente alla
sussistenza dell’ estremo della minima importanza dell’opera del correo, la
concede solo se, valutate la particolarità del fatto e la personalità del reo, giudica
consigliabile una diminuzione della pena edittale (Sez. 5, n. 7941 del
24/04/1985, Mandelli, Rv. 170337).
La sentenza impugnata ha motivato nel senso che non può essere assolutamente
ritenuta di minima importanza ai sensi dell’art. 114 c.p. la partecipazione degli
imputati, in essi compreso D’Alimonti, all’attività illecita dell’organizzazione
criminosa avuto riguardo alla molteplicità dei reati – fine individuati a carico di
ciascuno, alla frequenza della segnalata presenza di ciascuno a casa del capo
clan Viola Emidio anche durante la sua assenza a causa dell’arresto e ai ruoli da
ognuno rivestiti.

6. In definitiva, rigettato il ricorso di D’Alimonti Giuseppe, la sentenza impugnata
va annullata con rinvio alla Corte d’Appello di Perugia per nuovo esame
riguardante l’omesso riconoscimento a Mennillo Gianluca della circostanza
attenuante di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso proposto da D’Alimonti Giuseppe che condanna al pagamento
delle spese processuali. Annulla la sentenza impugnata quanto al ricorso
proposto da Mennillo Gianluca limitatamente alla omessa statuizione relativa alla
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circostanza aggravante della disponibilità di armi da parte dell’associazione di cui

attenuante ex art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990 con rinvio alla Corte
d’Appello di Perugia. Rigetta nel resto.
Così deciso in Roma, il 19 dicembre 2013

Il Presidente

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