Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36944 del 23/07/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 36944 Anno 2015
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: DE AMICIS GAETANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MALLAMACI GIOVANNI N. IL 13/06/1967
avverso la sentenza n. 1310/2010 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 18/11/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 23/07/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GAETANO DE AMICIS
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. e f’ /Z
“9
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 23/07/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 18 novembre 2014, la Corte d’appello di
Reggio Calabria ha confermato la sentenza emessa il 20 aprile 2009 dal
Tribunale della stessa città, che condannava Mallamaci Giovanni alla pena di
mesi cinque di reclusione, oltre al risarcimento dei danni subiti dalle parti civili,
ritenendolo responsabile dei reati di cui agli artt. 81, 612, 339 c.p. (capo sub A)

e con un coltello da cucina, Fallara Giuseppina Maria e Marando Giuseppe,
nonché del reato di cui agli artt. 582, 585, commi 1 – in relazione all’art. 577,
comma 1, n. 4, ove si richiama l’art. 61, n. 1, c.p. – e 2, n. 2, c.p. (capo sub B),
per avere cagionato, nelle medesime circostanze di tempo e di luogo, lesioni
personali a Fallara Pasqualina Maria (giudicate guaribili in gg. 6) e a Marando
Giuseppe (giudicate guaribili in gg. 8).

1.1. Secondo la ricostruzione dei fatti operata dai Giudici di merito, gli
Ufficiali di P.G. intervenuti nell’occasione ebbero ad accertare che a seguito di
una violenta discussione insorta tra la Fallara e l’imputato – e provocata
dall’aspra concorrenza commerciale tra i due esercenti, operanti entrambi nel
medesimo settore di ristorazione e vendita di prodotti tipici – il Mallamaci
trascinò a forza la Fallara all’interno del proprio negozio, dove la minacciò di
morte impugnando un grosso coltello a lama seghettata; richiamato dalle urla
della donna, sopraggiunse anche il Marando che, intervenuto in difesa della
donna, venne prima minacciato, quindi colpito ad un braccio con un altro coltello
più piccolo e sottile, che il Mallamaci impugnò dopo aver lasciato quello più
grosso con il quale aveva precedentemente minacciato la Fallara. All’interno del
negozio, inoltre, risultava evidente la presenza di tracce ematiche, ritenute
riconducibili al sanguinamento della ferita del braccio del Marando, mentre non
era stato possibile invenire i coltelli descritti dalle persone offese.
La contrapposta versione resa dall’imputato, secondo cui egli sarebbe
rimasto vittima di un’aggressione all’interno del proprio negozio, non è stata
ritenuta convincente dai Giudici di merito poiché, subito dopo l’allontanamento
della Fallara e del Marando, il Mallannaci si era portato presso il bar di tale
Alampi, cui aveva chiesto di chiamare il 112, risolvendosi infine a chiamare egli
stesso il numero di emergenza dopo che l’Alampi aveva rifiutato di aderire a tale
richiesta (per il fatto che il Mallamaci era in possesso di un telefono ed avrebbe
quindi potuto provvedervi direttamente), ed in tal modo dimostrando di essere in

per avere minacciato di morte, rispettivamente con un coltello a lama seghettata

condizioni fisiche del tutto incompatibili con l’apparente stato confusionale in cui
si era fatto trovare dai Carabinieri, quando all’atto del loro intervento lo videro
riverso per terra, con il ristorante a soqquadro. I Giudici di merito hanno infine
rilevato, al riguardo, che mentre all’operatore del predetto numero di emergenza
aveva riferito, con tono tranquillo e rassicurante, di non avere necessità di
assistenza medica, subito dopo aveva contattato il 118 e provocato l’intervento
di un’ambulanza, con la conseguente predisposizione di una “messa in scena”

ma anche a rappresentarsi vittima di un’aggressione proditoriamente avvenuta
dentro il suo negozio.

2. Il difensore di Mallamaci Giovanni ha proposto ricorso per cassazione
avverso la su indicata pronuncia, deducendo due motivi di doglianza il cui
contenuto viene qui di seguito sinteticamente illustrato.

2.1. Violazione di legge in relazione agli artt. 1, 81 comma 3, 135 e 612
c.p., 25 Cost., per avere la Corte d’appello confermato l’applicazione di una pena
illegale, atteso che il Giudice di primo grado ha ritenuto sussistente il vincolo
della continuazione tra il reato più grave (art. 582 c.p.) e quello meno grave
(art. 612 c.p.), individuando la pena base in mesi tre e determinando in mesi
due l’aumento per il reato satellite, nonostante la pena edittale massima prevista
al tempo del commesso reato fosse pari a 51 euro di multa: la sanzione applicata
a titolo di aumento, dunque, oltre che di genere diverso (pena detentiva)
rispetto a quella (pena pecuniaria) prevista per il reato accertato (art. 612 c.p.),
risulta anche superiore sul piano quantitativo a quella che, in ogni caso, sarebbe
applicabile mediante il criterio del ragguaglio ex art. 335 c.p. .

2.2.

Vizi motivazionali, per manifesta illogicità e contraddittorietà, e

violazione delle regole poste dall’art. 192 c.p.p., avendo la Corte d’appello
erroneamente valutato l’attendibilità delle persone offese, laddove ha affermato
l’inesistenza di contrasti fra le parti, senza considerare che gli elementi di prova
documentale prodotti dalla difesa ne attestavano l’esistenza in merito ai rapporti
fra il Marando ed il Mallannaci, sfociati addirittura in numerose denunce penali e
in un procedimento che ha visto il Marando imputato di minacce commesse ai
danni dell’odierno imputato. Anche la tesi del “malessere” che secondo la
sentenza impugnata il Mallamaci avrebbe “inscenato” appare smentita dalla
documentazione medica attestante la grave patologia diabetica da cui egli è

2

funzionale non solo a contrastare la ricostruzione fornita dalle persone offese,

affetto. Le dichiarazioni rese dalla persona offesa, infine, non sono state
riscontrate circa l’individuazione della presunta arma del delitto.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e va rigettato per le ragioni di seguito indicate.

le modalità di determinazione dell’aumento di pena operato a titolo di
continuazione con il meno grave reato di minaccia, senza considerare la
contestazione della circostanza aggravante secondo le modalità di cui all’art. 339
c.p.: circostanza espressamente prevista nel secondo comma dell’art. 612 c.p. e
puntualmente richiamata nel tema d’accusa oggetto dell’imputazione di cui al
capo sub A), che è stata delineata con preciso riferimento al reato di cui agli artt.
81 cpv., 612 e 339 c.p., per il quale il legislatore ha stabilito la pena detentiva
della reclusione fino ad un anno.

3. Con riferimento ai profili di doglianza enunciati nel secondo motivo di
ricorso, i Giudici di merito hanno compiutamente esaminato e disatteso le
obiezioni difensive, ponendo in evidenza, con argomenti congruamente esposti
ed immuni da vizi logico-giuridici in questa Sede rilevabili: a) che le dichiarazioni
rese dalle persone offese, già ritenute dotate di attendibilità intrinseca, si
riscontrano reciprocamente per la loro oggettiva convergenza attorno ad un
nucleo centrale ricostruttivo della vicenda in esame; b) che le stesse, inoltre,
hanno incontrato oggettivi elementi di riscontro nella disamina dei referti medici
delle relative lesioni; c) che la natura e l’entità delle lesioni riportate dal Marando
è compatibile con il tipo di arma descritto dalla persona offesa; d) che ulteriori
elementi di riscontro della dinamica dei fatti riferita dalle persone offese sono
stati individuati nella presenza di vistose tracce ematiche notate dai Carabinieri
all’interno del negozio, ritenute chiaramente riferibili al ferimento del Marando.
Muovendo da tali premesse ricostruttive della vicenda oggetto della
regiudicanda, i Giudici di merito hanno coerentemente concluso nel senso di
ritenere la piena configurabilità degli elementi costitutivi del reato contestato,
per un verso rilevando il carattere neutro del dato rappresentato dal mancato
rinvenimento delle armi (avendo avuto l’imputato tutto il tempo necessario per
disfarsene), e, per altro verso, osservando che la contrapposta versione dei fatti
sostenuta dall’imputato, a sua volta, non si fondava su alcun elemento di

2. Manifestamente infondata deve ritenersi la prima doglianza, che lamenta

riscontro probatorio ed era anzi decisamente smentita da una serie di circostanze
che ponevano chiaramente in evidenza – per le ragioni puntualmente esposte in
motivazione (v. pagg. 7-8 della sentenza di appello) e logicamente fondate sulla
compiuta analisi di una serie di dati di fatto e massime di esperienza – l’anomalo
comportamento tenuto nella vicenda dall’imputato al fine di accreditare la
diversa tesi, a lui favorevole, di essere rimasto vittima di un’aggressione
(peraltro subito “denunciata” al gestore di un vicino esercizio commerciale
supra,

il par. 1.1.) che

quest’ultimo immediatamente percepì come impropria ed immotivata).

4. In definitiva, deve rilevarsi come la Corte d’appello abbia compiutamente
indicato le ragioni per le quali ha ritenuto sussistenti gli elementi richiesti per la
configurazione del delitto oggetto del correlativo tema d’accusa, evidenziando al
riguardo gli aspetti maggiormente significativi, dai quali ha tratto la conclusione
che la ricostruzione proposta dalla difesa si poneva solo quale mera ipotesi
alternativa, peraltro smentita dal complesso degli elementi di prova
processualmente acquisiti.
La conclusione cui è pervenuta la sentenza impugnata riposa su un quadro
probatorio linearmente rappresentato come completo ed univoco, e come tale in
nessun modo censurabile sotto il profilo della congruità e della correttezza
logico-argomentativa.
In questa Sede, invero, a fronte di una corretta ed esaustiva ricostruzione
del compendio storico-fattuale oggetto della regiudicanda, non può ritenersi
ammessa alcuna incursione nelle risultanze processuali per giungere a diverse
ipotesi ricostruttive dei fatti accertati nelle pronunzie dei Giudici di merito,
dovendosi la Corte di legittimità limitare a ripercorrere la serie di passaggi
argomentativi e a verificarne la completezza e l’insussistenza di vizi logici

ictu

°cui/ percepibili, senza alcuna possibilità di verifica della rispondenza della
motivazione alle correlative acquisizioni processuali.
Il tessuto motivazionale della sentenza in esame, dunque, non presenta
affatto quegli aspetti di carenza, contraddittorietà o macroscopica illogicità del
ragionamento del giudice di merito che, alla stregua del consolidato
insegnamento giurisprudenziale da questa Suprema Corte elaborato, potrebbero
indurre a ritenere sussistente il vizio di cui alla lett. e) del comma primo dell’art.
606 c.p.p. (anche nella sua nuova formulazione), nel quale sostanzialmente si
risolvono le censure dal ricorrente articolate.

4

attraverso una richiesta di aiuto telefonico (v.,

5. Al rigetto del ricorso, conclusivamente, consegue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali, ex art. 616 c.p.p. .

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese

Così deciso in Roma, lì, 23 luglio 2015

Il Consigliere estensore

Il Presidente

processuali.

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