Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36936 del 03/07/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 36936 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: AMORESANO SILVIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Siani Natale, nato a Cava dei Tirreni il 15/02/1956
avverso l’ordinanza del 18/06/2014
del Tribunale di Salerno
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Silvio Amoresano;
letta la requisitoria del P. M., in persona del Sost. Proc.Gen.
Gabriele Mazzotta,che ha concluso, chiedendo l’annullamento
con rinvio dell’ordinanza impugnata.

Data Udienza: 03/07/2015

1. Con ordinanza in data 18/06/2014, il Tribunale di Salerno, in funzione di giudice
dell’esecuzione, revocava la sentenza di applicazione pena ex art.444 cod.proc.pen., emessa
dal Tribunale di Salerno in data 30/3/1990 nei confronti di Natale Siani, limitatamente al reato
di cui all’art.56 DPR 600/73 (capo a) perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato;
rigettava, invece, l’istanza di revoca della medesima sentenza in relazione ai reati di cui
all’art.4 n.7 L.516/1982 (ascritti ai capi b), c), e d), che, però, dichiarava estinti a norma
dell’art.445 comma 2 cod.proc.pen.
Rilevava il Tribunale, pur non ignorando la pronuncia della Corte Costituzionale n.35 del
1991 (con la quale era stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art.4 n.7 L.516/82 nella
parte in cui non prevedeva che la dissimulazione di componenti passivi o la simulazione di
componenti negative del reddito dovesse concretarsi in forme artificiose non bastando il
semplice mendacio) e la giurisprudenza di legittimità sul punto, che dal mero esame dei capi
di imputazione contestati al Siani risultasse la sovrapponibilità delle condotte con la nuova
normativa di cui all’art.4 D.I.vo 74/2000, con conseguente persistenza della rilevanza penale
del fatto.
Poteva, però, essere accolta la richiesta subordinata di estinzione dei reati, a norma
dell’art.445 comma 2 cod.proc.pen.
2. Ricorre per cassazione Natale Siani, a mezzo del difensore, denunciando, con il primo
motivo, la inosservanza o erronea applicazione degli artt.25 comma 2 Cost., 30 commi 3 e 4
L.n.87/1953, 2 cod. pen., 673 cod.proc.pen., 4 n.7 D.L. n.429/1982; 4 Divo n.74/2000,
nonché il vizio di motivazione nella parte in cui il Tribunale ha rigettato la richiesta di revoca
della sentenza in ordine ai reati ascritti ai capi b), c) e d).
Assume che il Giudice dell’esecuzione, nella ipotesi di declaratoria di illegittimità
costituzionale della norma incriminatrice, debba soltanto verificare se il fatto contestato e
ritenuto in sentenza possa rientrare nell’ambito di operatività della norma incriminatrice in
forza della quale sia stata pronunciata la condanna.
Ove gli elementi richiesti dalla nuova fattispecie incriminatrice (quale risulta a seguito della
pronuncia della Corte Costituzionale) non siano contenuti nella contestazione, il Giudice
dell’esecuzione non può che disporre la revoca della sentenza ex art.673 cod.proc.pen.
Evidenzia che la giurisprudenza di legittimità, formatasi a seguito della sentenza della Corte
Costituzionale in questione, ha costantemente ritenuto che la condotta consistente nella
semplice dichiarazione mendace di componenti negativi del reddito, senza alcun supporto
documentale artificioso, non sia più rilevante penalmente.
Tanto premesso, assume che dalla semplice lettura dei capi di imputazione risulta che la
contestazione riguardava il mero mendacio (consistente nella dissimulazione di componenti
positivi e/o nella simulazione di componenti negativi del reddito) in relazione alle dichiarazioni
dei redditi per gli anni 1982, 1983,1984, senza alcun riferimento a comportamenti fraudolenti
o artificiosi.
Il Tribunale avrebbe, quindi, dovuto revocare la sentenza anche in ordine ai reati di cui ai capi
b), c) e d).
Né certamente poteva essere invocato il disposto dell’art.4 D.L.vo 74/2000 per neutralizzare
l’abolitio criminis.
Con il secondo motivo denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione, non avendo
il Tribunale provveduto, a seguito della revoca della sentenza in relazione al capo a), alla
rideterminazione della pena con riferimento agli altri reati.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.
2. Correttamente ha rilevato il ricorrente che il Giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto, nel
prendere atto della declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art.4 n.7 D.L. n.429 del 1982,
con la sentenza della Corte Costituzionale n.35 del 1991, verificare se i fatti contestati e di cui

2

RITENUTO IN FATTO

3. Al rigetto della richiesta avanzata dal Siani si deve pervenire ugualmente, ma per ragioni
diverse.
Il ricorrente, infatti, non tiene conto che non vi è stata, con la sentenza della Corte
Costituzionale n.35 del 1991, una “completa” abolitio criminis, che possa rendere applicabile
l’art.673 cod.proc.pen.
Tale norma prevede che, nel caso di abrogazione o di dichiarazione di illegittimità
costituzionale della norma incriminatrice, il giudice dell’esecuzione revoca la sentenza di
condanna o il decreto penale, dichiarando che il fatto non è previsto dalla legge come reato e
adotta i provvedimenti conseguenti.
Con la sentenza sopra indicata, la Corte Costituzionale, come emerge chiaramente dalla
motivazione, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art.4, primo comma n.7, del
decreto legge 10 luglio 1982 n.429, convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 1982 n.516,
nella parte in cui non prevedeva che la dissimulazione di componenti positivi o la simulazione
di componenti negativi del reddito dovesse concretarsi in forme artificiose, affermava
testualmente:
“Ne consegue che la norma in esame potrà trovare applicazione rispetto a quelle condotte,
antecedenti alla sua abrogazione, che si siano concretate in dichiarazioni infedeli, poste in
essere attraverso un’attività ingannatoria di supporto, mentre ricadranno nell’ambito di
operatività dell’arti, secondo comma, del decreto legge 10 luglio 1982 n.429, convertito in
legge 7 agosto 1982, n.516, le condotte che, pur non concretandosi in dichiarazioni per un
ammontare inferiore a quello effettivo, si siano estrinsecate con modalità tali da integrare
esclusivamente una o più tra le fattispecie penali ivi previste”.
Anche a seguito della dichiarazione di incostituzionalità della norma, continuavano, quindi,
ad avere rilevanza penale, non solo le condotte consistite in dichiarazioni infedeli, supportate
da attività ingannatoria (configurate come ipotesi delittuosa dallo stesso art.4 n.7 come
“emendato” dalla Corte Costituzionale), ma anche quelle (di dissimulazione o simulazione)
consistite in mero mendacio (che andavano a ricadere nell’ambito di operatività delle
fattispecie contravvenzionali di cui all’arti dello stesso decreto legge n.429 del 1982).

alla sentenza del Tribunale di Salerno n.557/90, divenuta irrevocabile, rientrassero “nell’ambito
operativo della norma incriminatrice così come emendata, con efficacia ex tunc, dal Giudice
delle leggi”.
L’accertamento andava effettuato con riferimento al momento della pubblicazione, sulla
Gazzetta Ufficiale, della sentenza della Corte Costituzionale (art.136 comma 1 Cost.).
Il Tribunale ha ritenuto, invece, che la condotta contestata al Siani fosse ancora penalmente
rilevante alla luce della normativa sopravvenuta (art.4 D.L.vo 74/2000).
Trattasi però di operazione arbitraria che confonde il fenomeno della successione di leggi nel
tempo con la dichiarazione di incostituzionalità di una norma, non tenendo conto, peraltro, che
non vi era alcuna continuità temporale tra le due normative (il D.L.vo n.74/2000 è entrato in
vigore circa dieci anni dopo la declaratoria di incostituzionale dell’art.4 n.7 D.L.429/82).
Ha quindi il Tribunale, sostanzialmente, applicato retroattivamente la normativa di cui al
D.L.vo 74/2000 a fatti commessi precedentemente, piuttosto che prendere atto di una
insussistente continuità normativa.
Trattandosi di questioni di diritto, la motivazione dell’ordinanza impugnata può essere,
però, corretta a norma dell’art.619 cod.proc.pen.

3.1. Come risulta dalle imputazioni e come, del resto, riconosce lo stesso ricorrente, la
condotta posta in essere riguardava il “mero mendacio (consistente nella dissimulazione di
componenti positivi o nella simulazione di componenti negativi di reddito) nelle dichiarazioni
dei redditi per gli anni 1982, 1983 e 1984..” (pag.11 ricorso).
Ma siffatta condotta, non supportata da comportamenti fraudolenti o artificiosi, se non
integrava più il reato di cui all’art4 n.7 D.L.n.429 del 1982 (a seguito della più volte
richiamata sentenza della Corte Costituzionale), continuava ad avere rilevanza penale, essendo
sussumibile nell’ipotesi contravvenzionale di cui all’arti. D.L.429/1982.
Tale norma, nella formulazione in vigore all’epoca di commissione dei fatti, sanzionava con
l’arresto o con l’ammenda, tra l’altro, chi “nella dichiarazione annuale indica redditi fondiari o
di capitale o altri redditi, in relazione ai quali non era obbligato ad annotazioni in scritture
contabili, per un ammontare complessivo….”.

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3.2. Non essendovi stata, per le ragioni in precedenza esposte, “abolitio criminis”, il Giudice
dell’Esecuzione non avrebbe potuto, comunque, procedere alla revoca della sentenza ed alla
conseguente declaratoria che “il fatto non è previsto dalla legge come reato”.
Né avrebbe potuto (a parte il fatto che la richiesta aveva ad oggetto soltanto la revoca della
sentenza per intervenuta abolitio criminis) qualificare diversamente il fatto contestato,
comportando tale statuizione accertamenti incompatibili con i poteri del giudice dell’esecuzione
(come riconosce lo stesso ricorrente- pag.3 ricorso).
4. Al rigetto del ricorso (il secondo motivo rimane assorbito) segue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 03/07/2015
Il Consigli re est.

Il Presidente

P. Q. M.

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