Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36933 del 02/07/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 36933 Anno 2015
Presidente: FRANCO AMEDEO
Relatore: ORILIA LORENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LANZILOTTI ANTONIO N. IL 23/03/1941
avverso l’ordinanza n. 39/2012 TRIBUNALE di BRINDISI, del
07/05/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA;
lette/sMte le conclusioni d 1 PG Dott. D

bm-Aiv””41/iN`’

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 02/07/2015

ORDINANZA
RITENUTO IN FATTO
1 Lanzilotti Antonio ha proposto ricorso per cassazione contro l’ordinanza del
Tribunale di Brindisi, quale giudice dell’esecuzione, emessa in data 7.5.2014, con cui è
stata respinta la sua istanza di restituzione nel termine per l’impugnazione della
sentenza della Corte d’Appello di Lecce del 10.12.2010, che aveva a sua volta
confermato la pronuncia di colpevolezza emessa dal Tribunale di Brindisi sez. Ostuni
per violazioni in materia edilizia commesse in concorso con altro imputato.

3 e dell’art. 548 comma 3 cpp nonché, ai sensi dell’art. 606 lett. e), il vizio di
motivazione illogica e apparente, il Lanzilotti critica il Tribunale per avere ravvisato nel
caso di specie una presunzione di conoscenza del procedimento e del provvedimento
identificando erroneamente nel difensore un succedaneo dell’imputato senza invece
considerare l’assoluta distinzione dei ruoli. Altro errore, ad avviso del ricorrente, sta
nell’avere considerato l’errore sul cognome dell’imputato (di cui alla sentenza
notificata) un mero errore materiale, mentre invece si trattava di una ragionata scelta
perché nell’intestazione della sentenza, ove compariva il nome Lanzilotti con una sola
“L” è stata aggiunta a penna un’altra “L”. Rileva che nel caso di specie non è stata
disposta neppure la correzione dell’errore materiale e che pertanto sussisteva il dubbio
sulla conoscenza considerato che nel paese in cui egli risiede esistono persone che si
chiamano “Lanzillotti Antonio.”
3. Il Procuratore Generale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.
Come ripetutamente affermato in giurisprudenza (v. Sez. 1, Sentenza n. 32984
del 15/06/2010 cc. dep. 08/09/2010 Rv. 248008; Sez. 1^, 30.3.2010, Matrone, in
sostanziale adesione, tra molte, a Sez. 2^, n. 9104 del 21/02/2006, Colonna; Sez. 2^,
n. 8410 del 24/01/2006, Pisaturo), l’art. 175 c.p.p., comma 2, come sostituito dal D.L.
21 febbraio 2005, n. 17, convertito con modificazioni nella L. 22 aprile 2005, n. 60,
riconosce al contumace il diritto alla restituzione nel termine per impugnare salvo che
lo stesso abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento e
abbia volontariamente rinunciato a comparire ovvero a proporre impugnazione o
opposizione. La norma è confezionata in guisa da escludere il rimedio considerato ove
risulti la conoscenza del procedimento ovvero del provvedimento e la volontaria
rinunzia riferibile, alternativamente, al procedimento (dunque rinunzia a partecipare) o
al provvedimento conclusivo (dunque rinunzia ad impugnare).
Il dato testuale è di conseguenza inequivocabilmente nel senso che la
mancanza di conoscenza del procedimento accompagnata da mancata volontaria
rinunzia a comparire, e la mancata conoscenza del provvedimento, accompagnata da

Denunziando, ai sensi dell’art. 606 lett. c cpp, la violazione dell’art. 125 comma

mancanza di volontaria rinunzia a impugnare, costituiscono condizioni che devono
sussistere cumulativamente per ottenere la restituzione in termini. Ad impedire
l’attivazione del rimedio è perciò all’opposto sufficiente che manchi una soltanto di tali
condizioni.
Per stabilire se vi sia stata o meno rinuncia inequivoca a comparire, la
condizione preliminare ed essenziale è ovviamente verificare se l’imputato abbia avuto
conoscenza, non soltanto della possibilità di un procedimento a suo carico, ma
dell’esistenza effettiva di un processo e del contenuto dell’accusa sulla quale era

(Sonnogyi c. Italia del 18.4.04, par. 75): che la comunicazione del procedimento sia
stata cioè veicolata attraverso un atto giuridico rispondente a precise condizioni formali
e sostanziali, idonee a permettere all’imputato l’esercizio concreto dei suoi diritti.
Nel caso in esame, il Tribunale, dopo aver rilevato che l’estratto contumaciale
era stato notificato all’imputato con le forme della compiuta giacenza, ha ritenuto
sussistente la prova della conoscenza del procedimento e del provvedimento in base
alle seguenti argomentazioni:
– che Lanzilotti Giuseppe aveva partecipato al giudizio di primo grado e che
entrambi gli imputati hanno proposto regolare e rituale appello con unico atto e a
mezzo del medesimo difensore;
– che detto difensore ha ricevuto regolare notifica della sentenza di secondo
grado;
– che ai fini della effettività della conoscenza occorreva considerare il rapporto
fiduciario col difensore sulla scorta di quanto stabilito dalla legge n. 60/2005;
– che la doppia “L” nel cognome era un errore materiale ripetutosi sin
dall’origine del procedimento (in tutti gli atti e anche nello stesso atto di appello, che, a
rigore, volendo accedere alla tesi del ricorrente, si sarebbe dovuto dichiarare
inammissibile perché proveniente da soggetti non legittimati).
Un tale percorso argonnentativo appare del tutto corretto in diritto: come infatti
già affermato da questa Corte in altre pronunce (cfr. tra le varie, Sez. 6, Sentenza n.
5169 del 16/01/2014 Cc. dep. 03/02/2014 Rv. 258775; Sez. 6, Sentenza n. 5332 del
21/01/2011 Cc. dep. 11/02/2011 Rv. 249466; Sez. 6, Sentenza n. 785 del
12/12/2006 Ud. dep. 16/01/2007 Rv. 236000; Sez. 6, Sentenza n. 66 del 02/12/2009
Cc. dep. 07/01/2010 Rv. 245343) la nomina di un difensore di fiducia costituisce un
evento di per sè idoneo a provare l’effettiva conoscenza della pendenza del
procedimento o del provvedimento (con decorrenza del corrispondente termine), a
meno che non risulti – e ciò non è qui avvenuto – che il difensore di fiducia abbia
comunicato al giudice l’avvenuta interruzione di ogni rapporto con il proprio assistito
(Cass. pen. sez. 6^, 66/2010 Rv. 245343).

chiamato a difendersi in giudizio. Ed occorre che tale conoscenza sia stata effettiva

In altre parole, (cfr. sul punto: Cass. pen. sez. 6^, ultima citata), quando si
realizza un tale contesto, connotato da una difesa fiduciaria in atto ed assenza di
comunicazione alcuna sull’avvenuta interruzione dei rapporti con l’assistito, viene a
mancare quella sorta di presunzione “iuris tantum” di non conoscenza della pendenza
del procedimento da parte dell’imputato, che caratterizza la disciplina della restituzione
nel termine per impugnare la sentenza contumaciale dopo la L. n. 60 del 2005 (cfr.
anche Sez. 6^, sent, 2718/2009 in proc. Holczer).
Conclusione questa sostenibile, perché si è in presenza di un “fatto concreto e

di interruzione alcuna”, fatto di per sè idoneo a provare la conoscenza dell’imputato,
secondo regola di comune consolidata esperienza.
La difesa fiduciaria infatti fisiologicamente si caratterizza per la costanza del
“contatto informato” tra difensore ed assistito sicché essa, in assenza di rigorosa prova
contraria, costituisce “fatto” idoneo a comprovare una mutua informazione in atto che
esclude l’utile ricorso all’istituto in questione (r.v. 245343 citata).
Tornando al caso di specie, un ulteriore elemento considerato dal Tribunale è
dato dal fatto che la doppia “L” nel cognome di cui all’estratto contumaciale della
sentenza non è un caso isolato, ma ricorre in vari atti del processo e addirittura
nell’atto di appello (pure esaminato): del tutto logicamente, quindi, tale imprecisione è
stata ritenuta il frutto di un mero errore materiale, privo di conseguenze di rilievo
sull’identificazione dell’imputato. Del resto, anche se (come sostiene il ricorrente) in
paese vi fosse qualche altra persona che si chiama “Lanzillotti Antonio” non risulta
però dimostrato – e neppure dedotto – che a tale nominativo corrispondesse anche il
luogo, la data di nascita e la residenza dell’imputato per cui è davvero impossibile
ipotizzare il rischio di confusione.
Non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità (Corte Cost. sentenza 13.6.2000 n. 186), alla condanna del ricorrente
al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della
sanzione pecuniaria ai sensi dell’art. 616 cpp nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C. 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 2.7.2015.

specifico”, dato dalla “pendenza del rapporto di difesa fiduciaria senza comunicazione

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