Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36931 del 17/07/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 36931 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: GRASSO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
IMPROTA FABIO N. IL 26/06/1979
avverso la sentenza n. 15071/2013 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
24/09/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/07/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 444″
che ha concluso per etau.c.A.QA4,1″Lro u4,,,t 4″.A,,, 4/.19 21,44:1-eret.—-

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Udito, per

jte civile, l’Avv

Udit i deésor Avv.

Data Udienza: 17/07/2014

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Napoli con sentenza del 24/9/2013, confermò
la sentenza del G.I.P. del Tribunale della stessa città del 29/5/2013, che,
esclusa la recidiva ed effettuata la riduzione del rito abbreviato, condannò
Improta Fabio, giudicato colpevole del delitto di cui all’art. 73 del d.P.R. n.
309/’90 (illegale detenzione di hashish), alla pena di quattro anni di reclusione

2. L’imputato propone ricorso per cassazione avverso quest’ultima
determinazione corredato da due motivi di censura.

2.1. Con il primo motivo l’Improta adduce violazione di legge e vizio
motivazionale in ordine al mancato riconoscimento dell’ipotesi di cui al comma
5 dell’art. 73 cit. Assume il ricorrente che il solo dato quantitativo, non
vertendosi in presenza di una quantità

«imponente» e trattandosi di

<> di c. d. “droga leggera”, la decisione della Corte di
merito non appariva conforme alla legge.

2.2. Con il secondo motivo il ricorrente denunzia violazione degli artt.
133 e 62bis, cod. pen.: la pena appariva eccessiva in relazione alla vicenda
vista nel suo complesso (marginale offensività del fatto, assenza di precedenti
penali specifici, tempo trascorso e correttezza del comportamento
processuale); la stessa, pertanto avrebbe dovuto essere più mite, anche per
effetto del riconoscimento delle attenuanti generiche.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Non è in questa sede censurabile la decisione della Corte
territoriale di escludere l’invocato quinto comma (allora costituente
circostanza attenuante speciale, oggi ipotesi di autonomo minor reato,
ancorato, tuttavia, ai medesimi presupposti). Né è censurabile la
determinazione della pena e il mancato riconoscimento delle attenuanti
generiche.

3.1. Quanto al primo profilo vale osservare quanto appresso.
Il comma quinto di cui detto, il cui contenuto, come si è anticipato, dopo
la recente riforma che lo ha trasformato in autonoma figura di reato, è
rimasto immutato, delinea un’evenienza fattuale di contenuta offensività ove
«per i mezzi, per le modalità o le circostanze dell’azione»
1

i fatti puniti

e 18.000 euro di multa.

dall’art. 73 cit. sono

«di lieve entità».

Introdotta dall’avversativa

«ovvero», affianca al descritto paradigma l’evenienza che a cagione della
quantità e qualità, il fatto debba, comunque, stimarsi di ridotta offensività.
Ciò implica che, salvo trattarsi, per quantità e qualità, di sostanza
stupefacente capace di colorare l’accadimento nel suo complesso come tenue,
ove il giudice congruamente alleghi modalità, circostanze e mezzi tali da
indurlo a ragionevolmente esprimere un giudizio di non scarsa offensività del
fatto, l’ipotesi attenuata in parola non ricorre.

paradigma normativo, ha evidenziato come non solo il quantitativo di
stupefacente sequestrato appariva significativo (220 dosi) e tale da far
presupporre un avviato commercio, ma le indagini avevano consentito di
appurare che i due imputati (il ricorrente ed il coimputato) nei giorni
precedenti avevano detenuto e ceduto altre dosi; inoltre al coimputato era
stato sequestrato l’importo di C. 405,00 frutto dell’illecito commercio; infine,
la ripartizione di ruoli e il disinvolto organizzato operare facevano propendere
per un ordinario spaccio su strada.
Pur vero che in una occasione questa Corte (Sez. VI, n. 9723 del
1771/2913, Rv. 254695) non ha escluso il fatto di lieve entità pur in presenza
di cospicuo quantitativo, purché «non imponente», in presenza, tuttavia
delle altre condizioni previste dalla legge. Trattasi, comunque, di decisione che
non si condivide nella sua portata assolutizzante, stante che il dato
quantitativo, siccome emerge dalla struttura normativa, entra in gioco, al
contrario, sol quando per la sua esiguità sia idoneo ad indurre un giudizio di
lievità del fatto. Oltre quella soglia, specie laddove si avvicini a misure sempre
meno prossime all’esiguo, necessariamente interagisce negativamente con gli
altri presupposti valorizzati dalla disposizione. Divenendo, così, sempre meno
probabile, forse meglio dire, plausibile, che un quantitativo non contenuto di
stupefacente si concili con mezzi e modalità di significativa minor offensività.
In ogni caso, come si è premesso, la Corte territoriale ha escluso
l’invocata fattispecie attenuata facendo perno sulla vicenda nel suo complesso
e non già prendendo a causa ostativa decisiva il quantitativo, pur rilevante,
nell’àmbito di quel complessivo giudizio.

3.2. La censura con la quale viene rivendicato il riconoscimento
delle attenuanti di cui all’art. 62bis, cod. pen. È destituita di fondamento, in
quanto con la stessa il ricorrente critica vaglio di merito sul quale il giudice
gode di discrezionalità non soggetta al controllo di legittimità, avendo fornito
concludente motivazione.

2

Nella specie, la Corte territoriale, con motivazione rispettosa del

Questa Corte ha avuto modo di chiarire che ai fini della concessione o del
diniego delle circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a
prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 c.p., quello che
ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del
beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità (nella
specie i precedenti penali) del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità
di esecuzione di esso può essere sufficiente in tal senso (Sez. II, 18/1/2011,
n. 3609, massima). Inconcludente, poi, deve reputarsi l’affermazione di

disciplina sul controllo degli stupefacenti risulta essere punito con severità,
trattandosi di fattispecie di allarmante pericolo per la salute e l’ordine
pubblico, ma, in concreto, il fatto, neppure inquadrato sub comma 5, non
appare affatto minimale.
Né avrebbe dovuto essere il giudice a spiegare in dettaglio tutte le ragioni
che lo avevano portato a negare il beneficio. Sul punto, è bastevole
richiamare il principio di diritto affermato di recente da questa Corte (Sez. IV,
28/10/2010, n. 41365): la concessione o no delle circostanze attenuanti
generiche risponde a una facoltà discrezionale del giudice, il cui esercizio,
positivo o negativo che sia,deve essere motivato nei soli limiti atti a fare
emergere in misura sufficiente il pensiero del decidente circa l’adeguamento
della pena in concreto inflitta alla gravità effettiva del reato e alla personalità
del reo. Tali attenuanti non vanno intese, comunque, come oggetto di una
«benevola concessione» da parte del giudice, né l’applicazione di esse
costituisce un diritto in assenza di elementi negativi, ma la loro concessione
deve avvenire come riconoscimento dell’esistenza di elementi di segno
positivo, suscettibili di positivo apprezzamento (si vedano pure, Sez. I,
15/4/2010, n. 32324; Sez. III, 8/10/2009, n. 42314; Sez. II, 17/2/2009, n.
11077).
Il profilo di doglianza afferente alla stima della pena resta assorbito da
quanto immediatamente appresso.

4. La sentenza, tuttavia, deve essere annullata per altra ragione.
La Corte costituzionale con la sentenza n. 32/014 ha dichiarato
costituzionalmente illegittima l’equiparazione trattamentale, a prescindere
dalla qualità delle sostanze stupefacenti, operata con la novella apportata
all’art. 73 del d.P.R. n. 309/1990 dall’art. 4bis, comma 1, lett. b, D.L.
30/12/2005, convertito nella L. 21/2/2006, n. 49, con la consequenziale
riviviscenza della pregressa disciplina regolante la materia, la quale prevede
trattamento sanzionatorio differenziato a seconda che l’illecito concerna le c.d.
droghe leggere o pesanti, cioè quelle rientranti, rispettivamente, nelle tabelle

3

trascurabile offensività del reato: non solo il reato commesso violando la

H e IV (comma 4) e I e III (comma 1), prevedendo per l’ipotesi reputata più
grave una pena detentiva (per comodità si trascura l’indicazione di quella
pecuniaria) da otto a venti anni e per quella minore, da due a sei anni.
Si pone, quindi, l’esigenza di sottoporre, ai sensi dell’art. 2, comma 4,
cod. pen., al giudice del merito il più favorevole assetto normativo
sopravvenuto, pur non essendo al medesimo vietato (salvo, ovviamente, il
divieto di riforma peggiorativa) di motivatamente mantenere il trattamento
penale così come disposto (ove compatibile con il nuovo range sanzionatorio),

della pena dei nuovi parametri sanzionatori introdotti dal legislatore.
In sede di legittimità, si è più volte chiarito (Cass., Sez. V, n. 345 del
13/11/2002, Rv. 224220; Sez. I, n. 1711 del 14/4/1994, Rv. 197464) in
siffatti casi che il rispetto del principio di legalità della pena (comb. disp. art.
2, comma 4, cod. pen. e 129, comma 2, cod. proc. pen.) impone
annullamento d’ufficio della statuizione di merito. Salvo a registrasi contrasto
sull’idoneità del ricorso inammissibile a dar vita ad un tale esercizio officioso
(in senso contrario: Sez. II, n. 44667 dell’8/7/2013, Rv. 257612; Sez. V, n.
36293 del 977/2004, Rv. 230636; nel senso dell’ininfluenza: Sez. VI, n.
21982 del 16/5/2013).
Siccome condivisamente illustrato in profondità nella sentenza di questa
stessa Sezione n. 13903/14 del 28/2/2014, il principio di retroattività della
norma più favorevole si fonda sulla legge ordinaria (art. 2, comma 4, cod.
pen.) e, giudicata non pertinente l’evocazione degli artt. 13 e 25, Cost.,
sull’art. 3 Cost. Con la conseguenza che ‹‹II livello di rilevanza dell’interesse
preservato dal principio di retroattività della lex mitior – quale emerge dal
grado di protezione accordatogli dal diritto interno, oltre che dal diritto
internazionale convenzionale e dal diritto comunitario – impone di ritenere che
il valore da esso tutelato può essere sacrificato da una legge ordinaria solo in
favore di interessi di analogo rilievo (quali – a titolo esemplificativo – quelli
dell’efficienza del processo, della salvaguardia dei diritti dei soggetti che, in
vario modo, sono destinatari della funzione giurisdizionale, e quelli che
coinvolgono interessi o esigenze dell’intera collettività nazionale connessi a
valori costituzionali di primario rilievo; cfr. sentenze n. 24 del 2004; n. 10 del
1997, n.353 e n. 171 del 1996; n. 218 e n. 54 del 1993). Con la conseguenza
che lo scrutinio di costituzionalità ex art. 3 Cost., sulla scelta di derogare alla
retroattività di una norma penale più favorevole al reo deve superare un
vaglio positivo di ragionevolezza, non essendo a tal fine sufficiente che la
norma derogatoria non sia manifestamente irragionevole» (C. cost. sent. n.
393/2006; per la giurisprudenza di legittimità, Sez. 3, n. 34117 del
27/04/2006 – dep. 12/10/2006, Alberini e altro, Rv. 235051).
4

a condizione che dimostri di tenere debitamente conto nella determinazione

La Corte Costituzionale con la sentenza n. 236 del 19/7/2011, dopo aver
ripreso le norme sovranazionali rilevanti in materia, ha escluso che l’art. 7
CEDU imponga una maggior tutela della retroattività della

lex mitior, anzi

rilevando che nella CEDU si rinviene il limite del giudicato, valicabile, invece,
secondo lo stato dell’elaborazione interna, oltre a segnare un’incidenza, per
estensione di materia, inferiore all’area delineata dall’art. 2, comma 4, cod.
pen.
Ciò posto la sentenza impugnata, nel resto divenuta irrevocabile, deve

nessuna delle superiori esigenze individuate dalla Corte Costituzionale nella
sentenza n. 393, sopra citata.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento
sanzionatorio, con rinvio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di
Napoli; rigetta il ricorso nel resto; visto l’art. 624 cod. proc. pen., dichiara
l’irrevocabilità della sentenza in ordine all’affermazione della responsabilità
penale dell’imputato.

Così deciso in Roma il 17/7/2014.

essere annullata in punto di quantificazione della pena, non ostandovi

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