Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36924 del 18/06/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 36924 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: ANDREAZZA GASTONE

ORDINANZA

Sul ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di
Trieste nel procedimento nei confronti di :

Rodela Marino, n. a Capodistria (Slovenia) il 26/05/1960;

avverso la ordìnanza del Tribunale di Trieste in data 23/09/2014;
udita la relazione svolta dal consigliere Gastone Andreazza;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale F. Baldi, che ha concluso per l’annullamento con rinvio;

RITENUTO IN FATTO

1. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trieste ricorre avverso la
ordinanza del Tribunale del riesame di Trieste che ha annullato il decreto di
sequestro preventivo emesso dal G.i.p. presso il Tribunale per il reato di cui
all’art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000 nei confronti di Rodela Marino in relazione alla
omessa indicazione, nella dichiarazione dei redditi 2009, di elementi attivi da
reddito di partecipazione nella Enterprise S.r.l. per un importo di euro 296.762 e

Data Udienza: 18/06/2015

derivanti da una operazione, ritenuta di natura elusiva perché finalizzata a
cedere immobile societario senza pagamento dell’Irpef sulla plusvalenza
realizzata, consistita nella rivalutazione delle quote societarie della Enterprise,
nella trasformazione della società da s.a.s. a s.r.l. e nella vendita finale delle
quote societarie stesse.
Il Tribunale ha, da un lato, evidenziato la mancanza di indicazioni univoche in

complessiva mancanza di chiarezza del quadro fattuale tale da indurre a ritenere
mancanti le caratteristiche dell’abuso del diritto.

2. Con un unico motivo lamenta che, contrariamente a quanto in primo luogo
evidenziato dal Tribunale, sia il P.M., nella propria richiesta, che il G.i.p., nel suo
provvedimento, hanno indicato specificamente il superamento delle soglie di
punibilità richieste dall’art. 4, comma 1, lett. b) del d. Igs. cit.; contesta inoltre
che, con riguardo alla soglia di cui al comma 1, lett. a), a fronte di una differenza
di calcolo tra Agenzia delle Entrate e G.d.f., si sia ritenuto, con motivazione del
tutto apparente, di privilegiare il primo, sotto soglia, e non il secondo, sopra
soglia, tanto più considerando che anche la Agenzia delle Entrate è giunta in
realtà nella comunicazione della notizia di reato ad individuare un’imposta oltre
soglia.
Sotto un secondo profilo, quanto al merito della contestazione, rileva che la
motivazione sarebbe anche in tal caso apparente non comprendendosi se si
ritenga che abuso non vi sia proprio stato o che, pur essendovi stato, lo stesso
non integrerebbe illecito penale. In ogni caso deduce che il Tribunale ha operato,
andando oltre i limiti cognitivi di legge, una sostanziale valutazione
sull’attendibilità delle dichiarazioni testimoniali e sul merito dell’accusa riservata
invece alla sede dibattimentale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è inammissibile.
Va anzitutto ricordato che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in
materia di sequestro preventivo, consentito solo per violazione di legge, può
investire la motivazione del provvedimento impugnato, sì da ricadere nel
parametro della violazione dell’art. 125 c.p.p., quando la stessa sia del tutto
assente o meramente apparente, perché sprovvista dei requisiti minimi per
rendere comprensibile la vicenda contestata e l'”iter” logico seguito dal giudice
2

ordine al necessario superamento di soglie di punibilità e, dall’altro, la

nel provvedimento impugnato (tra le altre, Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013,
Gabriele, Rv. 254893).
Nella specie, allora, con riguardo al primo profilo, ed in particolare quello del
superamento o meno della soglia di punibilità dell’art. 4, lett. a), dei d.lgs. n. 74
del 2000 (in ogni caso assorbente rispetto al profilo della soglia di cui alla lett. b)
cit.), pur lamentando formalmente il ricorso la mancanza o l’apparenza di
motivazione, lo stesso viene in realtà a sindacare che il provvedimento

conseguenti riflessi, appunto, in tema di soglia di punibilità), il

quantum

individuato dall’Agenzia delle Entrate nell’avviso di accertamento (pari ad euro
102.931,00) perché più favorevole all’indagato a discapito di quanto invece
indicato dalla Guardia di Finanza in euro 114.465,00 nonché dalla stessa Agenzia
delle Entrate in euro 107.972,00 nella comunicazione di notizia di reato ed in
euro 110.783,00 nel processo verbale di constatazione; ma, così facendo, il
ricorrente finisce, in realtà, proprio per sindacare il processo argomentativo del
provvedimento ritenendo non condivisibile che il Tribunale abbia optato, tra i
parametri presenti in atti, per quello più favorevole all’indagato; e non vi è
dubbio che, ove anche si ritenesse non condivisibile (come chiaramente
manifestato dal P.M. ricorrente) che il giudice del riesame si attenga, nella
valutazione del

fumus commissi delicti,

ad un criterio “probatorio” che,

nell’incertezza data da elementi tra loro contrastanti, privilegi quelli in

favorem

rei, ciò non atterrebbe, appunto ad una mancanza di motivazione, in realtà
chiaramente esplicitata (tanto da avere consentito su ciò un chiaro dissenso da
parte del ricorrente), quanto ad una motivazione eventualmente solo illogica e
dunque, in ogni caso, non sindacabile (Sez. 5, n. 35532 del 25/06/2010,
Angelini, Rv. 248129; Sez.6, n. 7472 del 21/01/2009, P.M. in proc. Vespoli e
altri, Rv. 242916).
Peraltro non può dimenticarsi che, anche con riguardo ai principi più volte posti
da questa Corte in tema di valutazione del

fumus nell’ambito delle misure

cautelari reali, può dirsi ormai acquisita la necessità che, lungi dall’accontentarsi
della sola astratta configurabilità del reato, il giudice tenga conto, in modo
puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali e dell’effettiva
situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti (tra le tante, da ultimo,
Sez.4, n. 15448 del 14/03/2012, Vecchione, Rv. 253508) sì che l’accertamento
sul punto deve necessariamente essere basato sulla indicazione di elementi
dimostrativi, sia pure sul piano indiziario, della sussistenza del reato ipotizzato
(Sez. 6, n. 35786 del 21/06/2012, Buttini ed altro, Rv. 254394).

3

impugnato abbia privilegiato, ai fini dell’individuazione dell’imposta evasa (con i

Quanto all’ulteriore profilo attinente alla non configurabilità di una condotta
inquadrabile all’interno dell’art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000, che in ogni caso
sarebbe assorbito dal motivato approdo negativo del Tribunale in ordine al non
superamento della soglia di punibilità, il P.M. appare fondamentalmente
lamentare la natura “perplessa” della motivazione posto che non si
comprenderebbe, a leggere le motivazioni della ordinanza impugnata, se i giudici

se abbiano ritenuto che la condotta di elusione non sia stata comunque tale da
integrare, alla luce della giurisprudenza di legittimità sui limiti di trasferibilità in
sede penale delle ipotesi di “abuso del diritto”, la fattispecie di cui all’art. 4 cit..
Anche sotto tale aspetto, dunque, le censure del P.M. paiono attenere, ancora
una volta, al profilo motivazionale, di per sé, come già detto non sindacabile; e
ciò non senza aggiungere che, proprio in quanto rivolta a censurare la
interpretazione del Tribunale sulla configurabilità in termini penali delle condotte
di elusione, configurabilità assoggettata da questa Corte a precisi limiti derivanti
dalla necessità di rispettare il principio di legalità, lo stesso ricorrente avrebbe
dovuto, per conferire specificità al motivo di ricorso, evidenziare la riconducibilità
delle condotta all’interno delle specifiche ipotesi di cui agli artt. 37, comma 3, e
37 bis del d.P.R. n. 600 del 1973 (cfr., per tutte, Sez.2, n. 7739 del 22/11/2011,
Dolce e Gabbana, Rv. 252019).

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso del P.M..

Così deciso in Roma, il 18 giugno 2015

Il Consig

re estensore

Il Presidente

del riesame abbiano ritenuto assente proprio la condotta di elusione in sé ovvero

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