Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36922 del 27/05/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 36922 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Ortese Pasquale, nato il 18 aprile 1982
avverso l’ordinanza del Tribunale di Napoli del 10 ottobre 2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale
Eugenio Selvaggi, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito l’avv. Guido Picciotto, in sostituzione dell’avv. Massimo Vetrano.

Data Udienza: 27/05/2015

RITENUTO IN FATTO
1. — Con ordinanza del 10 ottobre 2014, il Tribunale di Napoli, in accoglimento
dell’appello proposto dal pubblico ministero, ha — per quanto qui rileva — applicato
all’indagato odierno ricorrente la misura della custodia cautelare in carcere, in
relazione al reato di cui all’art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990. Allo stesso indagato era
stata già applicata dal Gip la misura degli arresti domiciliari in relazione al reato di cui
all’art. 73 dello stesso d.P.R., a lui parimenti contestato.

cassazione, evidenziando il difetto di motivazione in ordine ai presupposti di legge e
l’erronea applicazione dell’art. 74 richiamato. Secondo la difesa, mentre il Gip aveva
correttamente rilevato che il sistema di vendita originariamente concepito dall’insieme
dei coimputati non prevedeva alcuna stabile compartecipazione e che l’odierno
indagato era subentrato nell’attività di spaccio di stupefacenti al cognato Colonna solo
a seguito dell’arresto di quest’ultimo, il Tribunale si era semplicemente limitato a
richiamare la giurisprudenza di legittimità di segno contrario. Lo stesso Tribunale
aveva poi valorizzato le intercettazioni telefoniche, pur in mancanza di prova
dell’impiego di mezzi di locomozione per lo svolgimento organizzato dell’attività
associativa e pur in mancanza di una indeterminatezza del programma criminoso.
Anche la telefonata con la quale l’indagato aveva chiamato la moglie in occasione
dell’arresto di un concorrente invitandola a stare attenta sarebbe ambigua, sul punto.
In relazione, infine, alle esigenze cautelari il Tribunale si sarebbe rimesso alla
prospettazione del pubblico ministero appellante, senza considerare che l’attività
dell’ipotizzata associazione era comunque già venuta meno con l’arresto sia del
coindagato Colonna che di Ortese.
Con memoria depositata in prossimità dell’udienza davanti a questa Corte, la
difesa fa presente l’imputato si trova in regime di arresti domiciliari presso una

2. — Avverso l’ordinanza l’indagato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per

comunità terapeutica e che la custodia cautelare provocherebbe un’inopportuna
interruzione del programma riabilitativo in corso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è inammissibile, perché formulato in modo non specifico.
La difesa si limita, infatti, ad alcune sintetiche considerazioni in ordine alla
mancanza di prova del nesso associativo, in particolare sotto il profilo della scarsa
rilevanza probatoria delle intercettazioni telefoniche. A ciò aggiunge la considerazione
dell’assenza del pericolo di reiterazione, essendo stati arrestati i supposti associati
delinquere. Si tratta, all’evidenza, di rilievi che non tengono in alcun conto la

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motivazione dell’ordinanza impugnata, la quale evidenzia in modo adeguato e
coerente la presenza di convergenti indizi sia relativamente alla sussistenza
dell’associazione sia in relazione alla specifica posizione di Ortese nell’ambito della
stessa, con ampi e dettagliati riferimenti alle intercettazioni in atti. E, in particolare, la
sussistenza del reato associativo è desunta: dalla stabilità dei rapporti tra i soggetti
coinvolti, comprovata dai continui contatti fra gli associati e dai vincoli parentali che
legano tra loro alcuni di essi; dalle modalità seriali di esecuzione dei singoli episodi di

al confezionamento dello stupefacente alla uniforme qualità dello stesso; dalla
disponibilità di mezzi di uso comune, tra cui alcune utenze telefoniche, un motociclo, e
almeno un’auto; dalla fitta rete di contatti con gli acquirenti, evidentemente abituali;
dalla molteplicità e contiguità temporale degli episodi di spaccio; dall’esistenza di
luoghi deputati alla custodia dello stupefacente e di soggetti incaricati della stessa.
Quanto, poi, al ruolo specificamente rivestito da Ortese, quest’ultimo è stato
identificato nella cura dei rapporti con i fornitori e nel rifornimento dei singoli
spacciatori di piazza, sulla base delle intercettazioni telefoniche, dalle quali risulta che
quest’ultimo si occupa anche talvolta materialmente della consegna dello
stupefacente, che custodisce a casa unitamente alla moglie; e, del resto, il suo
contributo all’associazione si ferma unicamente al momento del suo arresto nella
flagranza del possesso di alcuni involucri di cocaina.
Quanto, poi, alle esigenze cautelari — a fronte delle generiche doglianze
difensive reiterate con la memoria depositata in prossimità dell’udienza, con la quale
ci si limita ad affermare che l’indagato starebbe proficuamente seguendo un percorso
di riabilitazione presso una comunità — l’ordinanza impugnata chiarisce che la
prognosi negativa in termini di pericolo di recidiva deriva dal ruolo direttivo ricoperto
nell’ambito dell’associazione da Ortese, già arrestato in flagranza e sottoposto agli
arresti domiciliari in ordine alcuni episodi di spaccio di sostanze stupefacenti.
4. – Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto
conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che,
nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il
ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità»,
alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod.
proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della
somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 1.000,00.
P.Q.M.

cessione, quanto ai termini di conclusione dell’accordo, ai tempi e luoghi degli incontri,

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 27 maggio 2015.

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