Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36907 del 09/07/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 36907 Anno 2015
Presidente: FRANCO AMEDEO
Relatore: GAZZARA SANTI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MANGIONE LUIGI N. IL 28/04/1940
avverso la sentenza n. 791/2013 CORTE APPELLO di TRIESTE, del
17/09/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/07/2015 la relazione fatta dal ‘
Consigliere Dott. SANTI GAZZARA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. F 14, e J2_11,
che ha concluso per if

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

,,,e

Data Udienza: 09/07/2015

RITENUTO IN FATTO
Il Gip presso il Tribunale di Trieste, con sentenza del 4/4/2013, resa a
seguito di rito abbreviato, dichiarava Luigi Mangione responsabile del
reato di cui all’art. 2, co. 1 bis, L. 638/83, perché, quale amministratore
delegato della S.D.L. Port s.r.I., aveva omesso di versare all’INPS le
dipendenti, relativamente al mese di febbraio 2008; con condanna del
prevenuto alla pena di giorni 16 di reclusione ed euro 100,00 di multa,
sostituendo la pena detentiva in euro 608,00 di multa.
La Corte di Appello di Trieste, chiamata a pronunciarsi sull’appello
interposto nell’interesse del Mangione, con sentenza del 17/9/2014, ha
confermato il decisum di prime cure.
Propone ricorso per cassazione la difesa dell’imputato, con i seguenti
motivi:
-vizio di motivazione in ordine alla riconosciuta responsabilità del
Mangione per il reato ascrittogli, in quanto l’imputato già dal 18/1/2008
era stato dichiarato fallito quale socio illimitatamente responsabile di
altra società, la s.a.s. For Trans, pe cui, da quel momento lo stesso non
aveva più capacità patrimoniale per potere assolvere a nessun
adempimento. Inoltre, i giudici di merito hanno mal valutato la sentenza,
prodotta dalla difesa, pronunciata dal Tribunale di Trieste nei confronti di
Boris Veglia, socio del Mangione, giudicato per il medesimo reato con
pronuncia assolutoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Il vaglio di legittimità, a cui è stata sottoposta l’impugnata pronuncia,
consente di rilevare la logicità e la correttezza della argomentazione
motivazionale, adottata dal decidente, in ordine alla ritenuta

ritenute previdenziali ed assistenziali, operate sulle retribuzioni dei

concretizzazione del reato in contestazione e alla ascrivibilità di esso in
capo al prevenuto.
Il motivo di annullamento è del tutto destituito di fondamento, in quanto
la Corte territoriale ha compiutamente valutato i rapporti tra lo stato di
insolvenza dell’imputato e la sussistenza del delitto de quo, facendo buon
in tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed
assistenziali, lo stato di decozione non libera il sostituto di imposta dai
doveri verso l’Erario in relazione alle retribuzioni corrisposte ai
dipendenti, in quanto, per la contemporaneità dell’obbligo retributivo e
di quello contributivo, il soggetto interessato è tenuto a ripartire le risorse
esistenti all’atto dell’erogazione degli emolumenti in modo da potere
assolvere al debito para-fiscale, anche se ciò comporti la impossibilità di
pagare i compensi nel loro intero ammontare ( Cass. 17/4/2015, n. 16102;
Cass. 21/11/2013, n. 19574).
Il principio richiamato vale sia se a fallire sia soltanto la società, che anche
l’imprenditore; nella prima ipotesi, peraltro, ove non dichiarato fallito
personalmente colui che era il rappresentante legale della società, lo
stesso è tenuto al pagamento delle ritenute con le personali risorse
finanziarie (Cass. 14/6/2011, n.29616 ): non sono, insomma, le vicende
fallimentari della società tenuta al versamento o dell’amministratore a
costituire, di per sé stesse, cause di esclusione del dolo del delitto ex art.
2 L. 638/83, o addirittura di esclusione della punibilità, tanto meno nel
caso in cui le vicende fallimentari siano, per giunta, caratterizzate da fatti
di bancarotta fraudolenta, come nella specie.
Inconferente, di poi, si palesa la richiamata sentenza assolutoria, resa dal
Gup del Tribunale di Trieste, nei confronti di Boris Veglia, socio
dell’imputato, in quanto detta decisione è stata determinata dalla
particolare posizione del Veglia, posto nella impossibilità di fare fronte al
versamento del dovuto a favore dell’Erario nei termini di legge, in

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governo del principio affermato da questa Corte regolatrice, secondo cui,

dipendenza del sequestro, disposto dal p.m. sui beni dello stesso, che lo
ha privato di ogni disponibilità patrimoniale; situazione, questa, del tutto
diversa da quella del Mangione.
Tenuto conto, di poi, della sentenza del 13/6/2000, n. 186 della Corte
Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il
determinazione della causa di inammissibilità, lo stesso a norma dell’art.
616 cod.proc.pen., deve essere condannato al pagamento delle spese
processuali e al versamento di una somma, in favore della Cassa delle
Ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella
misura di euro 1.000,00.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e
condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al
versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di euro
1.000,00.
Così deciso in Roma il 9/7/2015.

Mangione abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella

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