Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3690 del 11/12/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 3690 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: ORILIA LORENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MAIOCCHETTI MAURIZIO N. IL 29/04/1939
avverso la sentenza n. 7735/2011 CORTE APPELLO di ROMA, del
05/06/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/12/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LORENZO ORILIA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. D22-2-Z
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 11/12/2013

RITENUTO IN FATTO
Con sentenza 5.6.2013 la Corte d’Appello di Roma – per quanto ancora interessa ha confermato il giudizio di colpevolezza emesso dal locale Tribunale nei confronti di
Maiocchetti Maurizio per violazione di sigilli (art. 349 cp) in relazione al completamento
di un manufatto di mq. 86 già sottoposto a sequestro in data 15.2.2003, rilevando che
per effetto della causa di sospensione il reato non era prescritto e che la prova della
responsabilità si fondava sulla documentazione in atti e sulla testimonianza del teste

sorti dell’immobile e alle sue modifiche, avendo egli curato tutte le pratiche edilizie e i
pagamenti dei lavori.
Il difensore ricorre per cassazione deducendo tre censure.
1 Con un primo motivo denunzia ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. e) cpp
l’illogicità della motivazione osservando che la Corte di merito si è basata su
presunzioni e deduzioni, prive di riscontri nelle risultanze dibattimentali. Rileva in
particolare che non viene spiegato quali prove confermerebbero l’interesse
dell’imputato al completamento delle opere o la sua esecuzione personale, così come
non risulta superata l’eccezione secondo cui l’imputato non era il proprietario né il
possessore del terreno. Secondo il ricorrente, inoltre, la Corte di merito ha
presupposto che le dichiarazioni del teste certificassero non la presenza in loco del
ricorrente ma la titolarità dei rapporti di gestione dell’officina e proprietà del fondo,
mentre invece la sua presenza si giustificava solo per l’esistenza di rapporti lavorativi
con la CED, affittuaria del terreno su cui insiste il manufatto.
Rimprovera inoltre ai giudici di merito di avere dedotto la responsabilità penale dal
fatto che egli aveva firmato in precedenza i documenti del condono ed effettuato i
relativi pagamenti, circostanze non significative perché dette attività possono essere
compiute da qualsiasi soggetto interessato e perfino da chi ritenga in buna fede di
esser evi tenuto: si tratterebbe, in sostanza, secondo il ricorrente, di un ragionamento
meramente induttivo.
2 Con un secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 530 comma 2 cpp
rimproverandosi alla Corte romana di avere fondato il giudizio di responsabilità solo
sulla nomina di custode e cioè su un quadro probatorio incompleto, attraverso
motivazioni apodittiche basate su indizi lacunosi e carenti.
3 Con una terza censura, infine, il Maiocchetti denunzia la violazione dell’art. 157
cp rimproverando alla Corte di merito di non avere dichiarato, sul presupposto di una
causa di sospensione ai sensi della legge n. 125/2008, la prescrizione anche del reato
di violazione di sigilli di cui al capo c) della rubrica. Osserva che già alla data
dell’udienza di secondo grado il reato era prescritto in ottemperanza al principio del
favor rei, tant’è che la Corte di merito ha ritenuto di dichiarare prescritti gli altri reati

di ci ai capi b) e c).

Calabrò, della Polizia Municipale il quale ha riferito dell’interesse del Maiocchetti alle

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il terzo motivo è fondato e pertanto va rilevata la prescrizione del residuo reato di
violazione di sigilli.
Dalla sentenza impugnata risulta che il cantiere venne sequestrato in data
15.2.2003 e che il termine di maturazione della prescrizione (anni 4 e mesi 6) per la
contravvenzione edilizia di cui al capo a) e per le contravvenzioni in materia
antisismica e di opere in cemento armato di cui al capo b è stato fissato alla data del
21.12.2010, considerando un periodo di sospensione di anni 1, mesi 5 e giorni 29. Il

dies a quo ai fini del calcolo della prescrizione delle suddette contravvenzioni doveva

quindi essere quello del 22.12.2004 (data dell’accertamento).
Orbene, poiché è noto che la data di consumazione dei reati in materia edilizia
coincide con quella dell’ultimazione delle opere, è evidente che a quella data le opere
dovevano ritenersi ultimate e quindi anche il reato di violazione di sigilli doveva
ritenersi ormai già consumato. Mancava però la prova della data esatta di
consumazione di quest’ultimo reato (prova a carico dell’accusa: cfr. Sez. 2, Sentenza
n. 19472 del 24/05/2006 Ud. dep. 06/06/2006 Rv. 233835) e quindi del momento da
cui far decorrere il relativo termine di sette anni e mezzo oltre il periodo di sospensione
come sopra individuato.
Il principio generale che regola simili casi è indubbiamente quello del favor rei,
come costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. tra le tante,
Sez. 3, Sentenza n. 8283 del 03/12/2009 Ud. dep. 03/03/2010 Rv. 246229; Sez. 2,
Sentenza n. 19472 /2006 cit.; Sez. 2, Sentenza n. 3292 del 19/01/2005 Ud. dep.
01/02/2005 Rv. 230731).
Mancando la prova della data di commissione del reato di cui all’art. 349, la Corte
d’Appello ben avrebbe potuto, in applicazione del principio del favor rei, individuare
una data di consumazione anteriore a quella del 22.12.2004.
A tale omissione sopperisce la Corte di Cassazione (art. 620 cpp).
favor rei e individuando la

data della

commissione del reato di violazione di sigilli in un periodo intermedio tra

la data del

sequestro (15.2.2003) e quella dell’accertamento della avvenuta

violazione

Applicando il suddetto principio del

(22.12.2004), si arriva al 19.1.2004 per cui, sviluppando gli opportuni calcoli sulla
base del termine massimo e dei periodi di sospensione risultanti dagli atti, deve
concludersi che la prescrizione era maturata già alla data del 18.1.2013.
Devono trovare applicazione i principi ribaditi dalle Sezioni unite (cfr. Sez. U.,
Sentenza n. 35490 del 28/05/2009 Ud. dep. 15/09/2009 Rv. 244274), secondo cui, in
presenza di una causa di estinzione del reato il giudice è legittimato a pronunciare
sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129 c.p.p., comma 2, soltanto nei casi in cui
le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo
da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo

3

assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al
riguardo appartenga più al concetto di “constatazione”, ossia di percezione ictu oculi,
che a quello di “apprezzamento” e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di
accertamento o di approfondimento.
Nel caso di specie, non ricorrendo le anzidette condizioni, va senz’altro applicata la
causa estintiva, con conseguente annullamento della sentenza senza rinvio, restando
così assorbita ogni altra questione.
P.Q.M.

Così deciso in Roma, il 11.12.2013

annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.

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