Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36899 del 27/08/2015


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Penale Sent. Sez. F Num. 36899 Anno 2015
Presidente: BIANCHI LUISA
Relatore: MICCOLI GRAZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PARLANGELI GIOVANNI N. IL 10/11/1981
avverso l’ordinanza n 371/2015 TRIB. LIBERTA’ di LECCE, del
19/05/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GRAZIA MICCOLI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 27/08/2015

Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, dott. Paola Filippi, ha concluso
chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 19 maggio 2015 il Tribunale di Lecce, in sede di rinvio dopo
annullamento disposto dalla prima sezione di questa Corte (sentenza del 25
febbraio 2015 n. 15903), ha rigettato l’istanza di riesame proposta nell’interesse

G.I.P dello stesso Tribunale, con la quale era stata disposta l’applicazione della
misura della custodia cautelare in carcere nei confronti del suddetto
PARLANGELI, indagato per il delitto di cui all’art. 416 bis cod. pen. (capo A),
nonché per due episodi di estorsione (capi O e P), aggravati dall’aver agito con
modalità mafiose e dalla finalità di agevolare il sodalizio mafioso di cui al capo
A).
Il Tribunale del Riesame, con ordinanza del 1 agosto 2014, aveva rigettato altra
istanza proposta nell’interesse del PARLANGERI ed aveva confermato l’ordinanza
genetica impugnata in relazione a tutte e tre le imputazioni contestate.
Era stato proposto ricorso in Cassazione, deducendo l’insufficienza e l’illogicità
della motivazione in relazione alla gravità indiziaria ritenuta per i tre delitti in
contestazione ed evidenziando, in particolare, come il Tribunale del Riesame,
riguardo alla fattispecie associativa mafiosa, avesse ravvisato un grave quadro
indiziario a carico del ricorrente esclusivamente attraverso la disamina dei due
delitti estorsivi contestatigli, implicitamente giudicando di scarso valore
indiziante le altre intercettazioni ambientali citate nell’ordinanza genetica della
misura.
Le doglianze difensive si articolavano su due profili: uno inerente il capo A),
relativo alla partecipazione al sodalizio mafioso, per cui si eccepiva che gli
elementi indiziari richiamati erano stati valutati acriticamente, essendosi
dichiarata “in maniera assiomatica la affiliazione senza mai dimostrarla, ovvero
senza mai argomentare le deduzioni dalle quali si trarrebbe”; il secondo profilo
investiva invece i delitti estorsivi e concerneva l’asserita inattendibilità della
persona offesa, attestata con sentenza di condanna subita in altro procedimento
penale per atti persecutori, ingiuria e lesioni commessi in danno della moglie,
con il riconoscimento del vizio parziale di mente.
Con sentenza del 25 febbraio 2015 la Prima Sezione di questa Corte respingeva
il ricorso con riguardo alle fattispecie estorsive mentre annullava l’ordinanza
impugnata limitatamente al delitto di cui all’art. 416 bis cod. pen., rinviando per
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di Giovanni PARLANGELI e, per l’effetto, ha confermato l’ordinanza emessa dal

un nuovo esame al Tribunale di Lecce.
In particolare, evidenziava la Corte come nell’ordinanza del Tribunale del
Riesame erano trattati gli indicatori della sfera di operatività della consorteria
mafiosa salentina ma non anche la posizione associativa di Giovanni
PARLANGELI.
In vari passaggi dell’ordinanza venivano richiamate le numerose condotte

PARLANGELI, fratello del ricorrente, e non anche di Giovanni PARLANGELI.
Inoltre, osservava questa Corte, che, “pur risultando le estorsioni contestate al
prevenuto ai capi O) e P) funzionali al controllo di uno dei settori tipici di
interesse del clan Padovano”, dalla sola ricostruzione di questi delitti non era
possibile desumere il coinvolgimento del ricorrente nelle strategie della stessa
consorteria.
In definitiva, il compendio indiziario richiamato nell’ordinanza del Tribunale del
Riesame “non consentiva di inquadrare il contributo associativo del ricorrente
alla luce dei parametri elaborati dalla stessa Corte di legittimità, secondo cui in
tema di reati associativi, il “thema decidendum” riguarda la condotta di
partecipazione o direzione, con stabile e volontaria compenetrazione del soggetto
nel tessuto organizzativo del sodalizio”.
Con l’ordinanza impugnata in questa sede, quindi, il Tribunale si è occupato solo
dei motivi di doglianza proposti con l’istanza di riesame in relazione al delitto di
partecipazione all’associazione mafiosa ascritto al PARLANGELI al capo A).
2. Con atto sottoscritto dal suo difensore Giancarlo Chiarello, ha proposto ricorso
per cassazione il PARLANGERI, deducendo motivi nei quali si denunziano vizi di
motivazione e violazione di legge.
Sostiene il ricorrente che il Tribunale (a pag. 3 – 7 del provvedimento
impugnato) sarebbe incorso nello stesso errore metodologico censurato dalla
Corte di Cassazione con la sentenza di annullamento, laddove richiama, ancora
una volta, quali dati sintomatici dai quali dedursi l’affiliazione del PARLANGERI al
sodalizio criminale di una serie di elementi sulla base dei quali non è possibile
evincere il collegamento strutturale del ricorrente con il predetto sodalizio
mafioso, riguardando la sfera di operatività della consorteria salentina e non
posizione associativa dell’indagato.
Il ricorrente, inoltre, censura la motivazione del provvedimento impugnato nella
parte in cui ha valorizzato il contenuto di due conversazioni ambientali (ritenute
invece dal primo giudice del riesame “prive di significativa rilevanza”)
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“per

sintomatiche della partecipazione al clan Padovano di Gallipoli di Roberto

verificare se esse, unitamente al concorso del PARLANGELI nei due episodi
estorsivi, non siano piuttosto in grado di delineare la posizione del ricorrente
quale partecipe a pieno titolo della consorteria mafiosa”.
Il deducente, quindi, riportando il contenuto di una parte della prima delle
suddette conversazioni, afferma che il Tribunale sarebbe incorso nel vizio di
travisamento della prova, fondando il proprio convincimento su un risultato

E tale errore di valutazione si ripercuoterebbe anche sullo sviluppo successivo
dell’apparato argomentativo e in particolare sull’interpretazione anche dell’altra
delle conversazioni ambientali valorizzate dal Tribunale del riesame.
Nel ricorso, quindi, vengono riportati altri stralci di tale conversazione che
secondo il deducente- metterebbero in evidenza la manifesta illogicità e
contraddittorietà della motivazione dell’ordinanza impugnata nella parte in cui ha
ritenuto il PARLANGERI affiliato al c.d. “clan di Monteroni”.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. In via preliminare va detto che infondata è l’eccezione proposta dall’avv.
Giancarlo Chiarello con nota depositata in data 26 agosto 2015.
Si deduce infatti che sarebbe stata omessa la notifica dell’avviso dell’udienza al
secondo difensore, avv. David Alemanno, adempimento che invece risulta essere
stato ritualmente effettuato a mezzo fax in data 13 agosto 2015.
2. Il ricorso è inammissibile.
Invero, i motivi dedotti fanno specifico riferimento solo ad elementi di fatto non
valutabili in questa sede.
In proposito, è necessario ricordare che a questa Corte non possono essere
sottoposti giudizi di merito, non consentiti neppure alla luce del nuovo testo
dell’art. 606, lettera e, cod. proc. pen. La modifica normativa di cui alla legge 20
febbraio 2006 n. 46 lascia, infatti, inalterata la natura del controllo demandato
alla Corte di cassazione, che può essere solo di legittimità e non può estendersi
ad una valutazione di merito.
Con specifico riferimento all’impugnazione dei provvedimenti adottati dal giudice
del riesame, l’ordinamento non conferisce alla Corte di Cassazione alcun potere
di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi
compreso lo spessore degli indizi, né alcun potere di riconsiderazione delle
caratteristiche soggettive dell’indagato e, quindi, l’apprezzamento delle esigenze
cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti
rientranti nel compito esclusivo ed insindacabile del giudice cui è stata chiesta
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diverso da quello reale.

l’applicazione della misura cautelare, nonché del Tribunale del riesame.
Il controllo di legittimità sui punti devoluti è, perciò, circoscritto all’esclusivo
esame dell’atto impugnato al fine di verificare che esso sia rispondente a due
requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto
incensurabile in sede di legittimità: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente
significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti, ossia la

(Sez. 2, n. 56 del 07/12/2011 – dep. 04/01/2012, Siciliano, Rv. 251760).
Il controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze di riesame dei
provvedimenti restrittivi della libertà personale è diretto a verificare, da un lato,
la congruenza e la coordinazione logica dell’apparato argomentativo che collega
gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza dell’indagato e,
dall’altro, la valenza sintomatica degli indizi.
Tale controllo, stabilito a garanzia del provvedimento, non involge il giudizio
ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa l’attendibilità
delle fonti e la rilevanza e la concludenza dei risultati del materiale probatorio,
quando la motivazione sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e
giuridici. In particolare, il vizio di mancanza della motivazione dell’ordinanza del
riesame in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza non può essere
sindacato dalla Corte di legittimità, quando non risulti prima facie dal testo del
provvedimento impugnato, restando ad essa estranea la verifica della sufficienza
e della razionalità della motivazione sulle questioni di fatto (Sez. 2, n. 56 del
07/12/2011 – dep. 04/01/2012, Siciliano, Rv. 251761).
Inoltre, non si deve dimenticare che nel caso in esame la valutazione da farsi
non è quella della fase dibattimentale; essa investe solo il potere cautelare
dell’autorità giudiziaria, per cui la valutazione degli indizi di colpevolezza deve
essere condotta con minor rigore rispetto a quella propria del giudizio di
condanna. Trattasi di affermazione che trova la sua fonte normativa nell’articolo
273 del codice di procedura penale che, al comma 1 bis, richiama i commi 3 e 4
dell’articolo 192 e non invece il comma 2, che richiede una particolare
qualificazione degli indizi (non solo gravi, ma anche precisi e concordanti). Anche
questa Sezione (Sez. 5, n. 36079 del 05/06/2012, Fracassi, Rv. 253511) ha
avuto modo di evidenziare che in tema di misure cautelari personali la nozione di
“gravi indizi di colpevolezza” di cui all’art. 273 cod.proc.pen. non si atteggia allo
stesso modo del termine “indizi” inteso quale elemento di prova idoneo a fondare
un motivato giudizio finale di colpevolezza, che sta a indicare la “prova logica o
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congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento

indiretta”, ossia quel fatto certo connotato da particolari caratteristiche (art. 192,
comma 2, cod.proc.pen.) che consente di risalire a un fatto incerto attraverso
massime di comune esperienza. Per l’emissione di una misura cautelare è,
quindi, sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di
qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati
addebitatigli.

dal ricorrente attengono essenzialmente al giudizio rappresentativo dei fatti e
sollecitano una revisione del giudizio di gravità indiziaria al giudice di legittimità.
In effetti, al di là dell’indicazione formale dei motivi dedotti come vizio di
motivazione, il ricorrente critica direttamente l’interpretazione del contenuto di
alcune conversazioni intercettate come operata prima dal G.I.P. e poi dal
Tribunale per il riesame.
Nell’ambito del controllo di legittimità e alla luce dei principi sopra evidenziati, si
ritiene che il Tribunale del riesame si sia attento a quanto enunciato nella
sentenza di annullamento della Prima Sezione di questa Corte, analizzando in
maniera puntuale gli elementi forniti dall’accusa a sostegno della richiesta della
misura cautelare e rispondendo anche a tutti i motivi dedotti dalla difesa in sede
di riesame.
Il discorso giustificativo così sviluppato risponde pienamente alle esigenze di
completezza e di consequenzialità logica sulle quali si esercita il controllo di
legittimità nel giudizio di cassazione. Con ciò, quindi, resta soddisfatto l’obbligo
di motivazione, costituendo peraltro principio consolidato quello per cui il giudice
del gravame non è tenuto a prendere in esame ogni singola argomentazione
svolta nei motivi d’impugnazione, ma deve soltanto esporre, con ragionamento
corretto sotto il profilo logico – giuridico, i motivi per i quali perviene a una
decisione difforme rispetto alla tesi dell’impugnante, rimanendo implicitamente
non condivise, e perciò disattese, le argomentazioni incompatibili con il
complessivo tessuto motivazionale (Sez. 4, n. 26660 del 13/05/2011, Caruso,
Rv. 250900; Sez. 6, n. 20092 del 04/05/2011, Schowick, Rv. 250105; Sez. 4, n.
1149/06 del 24/10/2005, Mirabilia, Rv. 233187).
4. Sempre nella stessa prospettiva sopra evidenziata, va rilevato inoltre come il
ricorso, lungi dal proporre un “travisamento delle prove”, vale a dire una
incompatibilità tra l’apparato motivazionale del provvedimento impugnato ed il
contenuto degli atti del procedimento, tale da disarticolare la coerenza logica
dell’intera motivazione, è stato presentato per sostenere il “travisamento dei
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3. Fatte queste premesse di ordine generale, come si è visto le censure mosse

fatti” oggetto di analisi, sollecitando un’inammissibile rivalutazione del materiale
d’indagine, rispetto al quale è stata proposta dalla difesa una spiegazione
alternativa alla interpretazione data dal Tribunale del Riesame nell’ambito di un
sistema motivazionale logicamente completo ed esauriente.
Ciò deve sostenersi nel caso in esame, giacché è stato posto un mero problema
di interpretazione del contenuto delle conversazioni intercettate, trattandosi di

al giudizio di legittimità se – come nella specie è accaduto – la valutazione risulta
logica in rapporto alle massime di esperienza utilizzate (così, ex plurimis, Sez. 6,
n. 17619 del 08/01/2008, Gionta, Rv. 239724).
La motivazione del provvedimento impugnato (si vedano, in particolare, pagg. 7
e ss. della ordinanza) possiede, dunque, una stringente e completa capacità
persuasiva, nella quale non sono riconoscibili vizi di manifesta illogicità, avendo il
Tribunale analiticamente e convincentemente spiegato le ragioni per le quali le
conversazioni captate dagli inquirenti siano idonee a supportare il quadro
indiziario relativo al reato di partecipazione all’associazione ex art. 416 bis di cui
al capo A) delle imputazioni.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della Cassa
delle Ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 comma 1 ter disp.
att. cod.proc.pen.
Così deciso in Roma, il 27 agosto 2015
J1 onsigliere estensore

Il presidente

questione di fatto, rimessa all’apprezzamento del giudice di merito, che si sottrae

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