Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36882 del 14/07/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 36882 Anno 2015
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: D’ISA CLAUDIO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:
CUPI AGOSTINO

n. il 23.07.1945

avverso la sentenza n.2220/14 della Corte d’appello di Bologna del 25.06.2014
Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso

Udita all’udienza pubblica del 14 luglio 2015 la relazione fatta dal Consigliere dott.
Claudio D’Isa
Udito il Procuratore Generale nella persona del dott.ssa Marilia Di Nardo che ha
concluso per l’annullamento senza rinvio per prescrizione; rigetto agli effetti civili.
L’avv. Marco Martines, difensore dell’imputato, si riporta ai motivi e ne chiede
l’accoglimento.k1

Data Udienza: 14/07/2015

RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 7.12.2012 il Tribunale Monocratico di Porli – Sezione
Distaccata di Cesena – ha affermato la penale responsabilità di CUPI Agostino in
ordine al reato di cui all’art. 590 commi 1, 2, 3 e 5 c.p. per avere, nella sua qualità
di legale rappresentante della impresa SIS Mineraria s.r.l. e di datore di lavoro, per
colpa generica e per violazione delle norme di prevenzione infortuni e del dovere di
sicurezza di cui all’art. 2087 c.c., cagionato al lavoratore dipendente BALDI
Roberto lesioni personali gravissime consistite nell’amputazione traumatica del

In sintesi il fatto per una migliore comprensione dei motivi posti a base del
ricorso.
L’infortunio si è verificato nello stabilimento della SIS Mineraria s.r.l. ove
veniva svolta l’attività di produzione di materiali per l’industria e per l’edilizia
mediante macinazione di pietre calcaree in particelle di diverse dimensioni.
L’infortunio é stato ricostruito sulla base delle dichiarazioni della parte lesa, che
al momento in cui lo stesso si è verificato si trovava da solo in reparto.
La mattina del 22.10.2005 il BALDI, in qualità di addetto al controllo, stava
lavorando all’impianto di separazione del materiale macinato in relazione al
diametro delle particelle, quando ad un certo punto notava un funzionamento
anomalo del separatore n. 2 evidenziato dal calo dell’amperaggio; dopo avere
escluso che l’anomalia fosse dovuta ad uno slittamento delle cinghie, decideva di
verificare se fosse stata causata da un intoppo a livello della tramoggia nella quale il
prodotto veniva incanalato per accedere al separatore.
Per compiere questo controllo, si portava su un ballatoio posto sopra la coclea,
saliva a carponi sul condotto della stessa (non poteva che accedere in tale posizione
poiché sopra, ad una distanza di circa 66 cm., vi era una passerella grigliata) ed
apriva uno sportello sito all’altezza della tramoggia ma, mentre si stava spostando
sempre a carponi per verificare attraverso la botola aperta se vi fossero delle
occlusioni nella tramoggia, perdeva l’equilibrio e, per non cadere di sotto, inseriva il
braccio all’interno della apertura sulla coclea, l’elica gli prendeva e trascinava il
braccio e gli cagionava la lesione traumatica di cui all’imputazione.
Il Tribunale ha ricordato che l’imputato ha contestato le modalità dell’infortunio
quali descritte dal lavoratore, assumendo che la conformazione del portello ed il
punto in cui egli si è cagionato l’amputazione sarebbero scarsamente compatibili con
una entrata accidentale del braccio all’interno della botola (perché si sarebbe dovuta
verificare una lesione più vicina alla mano anziché all’altezza quasi del gomito), ma
ha ritenuto che tale aspetto della vicenda risulti secondaria essendo ininfluente che
il BALDI abbia unicamente cercato di controllare visivamente eventuali ostruzioni
della tramoggia od abbia volontariamente inserito il braccio nella botola, essendosi
trattato, in entrambi i casi, di condotte gravemente colpose, perché in ogni caso
ciò che rileva nell’infortunio in esame é che la condotta colposa della vittima è

braccio destro.

stata posta in essere in presenza di uno scarso e generico adempimento dei doveri
di formazione ed informazione da parte dell’imputato in ordine ai comportamenti
da adottare qualora si fosse verificata la evenienza occorsa il giorno dell’infortunio.
H Tribunale ha rilevato che i dispositivi di sicurezza del macchinario
risultavano conformi alla normativa, tanto è vero che nulla in proposito è
contestato in rubrica, infatti:
– la botola ove si è verificato l’infortunio era chiusa con due alette bloccate da
bullone e controbullone, accorgimento ritenuto idoneo a prevenire infortuni sul
lavoro;

– doveva essere aperta solo in ipotesi eccezionali;
– poteva essere aperta solo con appositi strumenti, e pertanto ciò non poteva
accadere in modo accidentale.
Ed invero il BALDI ha sostenuto di aver aperto la botola, mentre era disteso
sul carter della coclea, dando calci con le scarpe sulle alette di chiusura sino a
svitarle, per poi invertire la propria posizione distesa, rivolgere il viso verso la
botola ed aprirla
I profili di colpa ravvisati dal Giudicante in capo al CUPI sono invece stati
individuati nel:
1) non avere formato ed informato i lavoratori; è risultato che la formazione
avveniva in modo assai approssimativo, mediante affiancamento dei lavoratori al
CUPI ed ai lavoratori più anziani, in assenza di lezioni teoriche o pratiche; e ciò
anche con riferimento al macchinario ove si è verificato l’infortunio, essendo stato’
solo genericamente prescritto, in caso di calo di amperaggio dei separatori, di
bloccare il macchinario e chiedere l’ausilio del CUPI, prescrizione generica e di
difficile attuazione (il CUPI, nonostante la sua ampia disponibilità a dare aiuto ai
lavoratori, non poteva essere sempre presente sul luogo di lavoro, tanto più che il
macchinarlo lavorava a ciclo continuo; ed invero, i lavoratori sentiti a dibattimento
hanno dato risposte generiche alle domande sulla loro formazione);
2) non avere informato i lavoratori in ordine agli specifici rischi dell’ambiente di
lavoro, poiché nel documento di valutazione dei rischi, risalente a circa 10 anni
prima e privo dei necessari aggiornamenti in relazione alle varie evenienze che
potevano verificarsi durante le fasi di lavorazione, mancava ogni indicazione al
rischio di contatto con gli organi meccanici in movimento, né vi era alcuna
prescrizione scritta in ordine alle possibili cause del calo di amperaggio ed ai
conseguenti comportamenti da adottare.
In tale situazione di formazione ed informazioni carenti si é inserito, secondo il
Tribunale, il comportamento gravemente imprudente ed imperito del lavoratore che,
in assenza di istruzioni in ordine alle condotte da tenere ed alle prescrizioni da
osservare, ha agito autonomamente per trovare una soluzione, senza peraltro
tenere un comportamento che possa essere definito abnorme od imprevedibile e tale
da interrompere il nesso causale. Dei profili colposi della vittima il Giudicante ha

– essa era posta in un luogo di non ordinario accesso;

quindi tenuto conto ai fini della quantificazione della pena e della determinazione
dell’entità del risarcimento alle parti civili. D’altro canto, ha considerato il primo
Giudice, anche in imputazione si evidenzia che il lavoratore ha agito di propria
iniziativa, rimuovendo il dispositivo di sicurezza ed aprendo il riparto di protezione
del condotto della coclea, senza averne avuto l’autorizzazione e senza averne la
competenza.
Avverso la sentenza proponevano appello II Pubblico Ministero le parti civili e
l’imputato.
La Corte territoriale, quanto alla dinamica dell’infortunio ed alla condotta

primo grado, ma, in parziale riforma della stessa, riquantificava il concorso di colpa
dell’imputato nella misura del 35% (il Tribunale lo aveva quantificato nel 20%) e
rideterminava la pena nei suoi confronti in mesi due di reclusione sostituita nella
corrispondente pena pecuniaria di C 2.280,00 di multa.
Ricorre per cassazione il CUPI Agostino ponendo a base del ricorso i seguenti
motivi:
1. Violazione degli artt.40 pcv, 41 cpv, 43, 590 c.p., 10 c.1 e c.2 e allegato I,
21 e 22 D.Lgs.626 194 in relazione alla norma europea UNI EN 292 par.3.22Mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità della motivazione, risultando il
vizio dal testo del provvedimento impugnato nonché dagli atti del processo
specificamente indicati nei motivi di gravame, sui punti relativi alle abnormità ed
eccezionalità della condotta del lavoratore infortunato, e, dunque, alla
imprevedibilità della medesima, all’indagine sulla causalità ed in particolare sui
termini del giudizio contro fattuale in difetto di corretta individuazione del
contenuto della norma violata, della conseguente condotta doverosa omessa,
dell’incidenza causale ipotetica di questa (ex art.606 c.1 lett.a e lett.e c.p.p.).
Circa la valutazione del comportamento del lavoratore la Corte territoriale non
ha tenuto conto delle censure rivolte alla sentenza di primo grado che aveva ritenuto
di esimersi da una compiuta ricostruzione del fatto, affermando come fosse
secondario il dato che il lavoratore avesse posto in essere condotte ulteriori (rispetto
a quella già grave consistente nell’apertura dello sportello con la coclea in
movimento), quale quella di avere inserito volontariamente il braccio all’interno della
botola nella soluzione di continuità della coclea. Si rileva che altro giudice, quello del
Lavoro cui si era rivolto il Baldi, aveva rigettato la domanda.
2.

Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione,

risultando il vizio dal testo del provvedimento impugnato, ovvero da altri atti del
processo specificamente indicati nei motivi del gravame, in ordine al punto
costituito dal volontario inserimento dell’avambraccio, da parte del lavoratore, nel
vano indebitamente liberato dal riparo. Conseguenti ricadute del vizio sia sulla
valutazione della responsabilità dell’imputato che dei motivi di impugnazione del
Pubblico Ministero e della parte civile in punto di aumento della percentuale di
responsabilità dell’imputato (art.606 lettera e c.p.p.).

colposa dell’imputato, faceva proprio l’impianto motivazionale della sentenza di

La Corte di Appello letteralmente si libera dello spinoso tema sul quale tanto si
era affaticata l’istruzione dibattimentale e dopo di essa l’impugnazione dell’imputato,
semplicemente affermando, apoditticamente, la verità delle dichiarazioni rese dal
Baldi, come se la versione del lavoratore infortunato – veramente priva di riscontri
dichiarativi, logici, tecnici e medico-legali, ed anzi da questi ultimi contrastata- debba
essere fornita di una sorta di fede privilegiata, non considerando che è necessaria una
verifica pregnante di attendibilità richiesta per qualsiasi persona offesa, a maggior
ragione se titolare di un imponente interesse risarcitorio (come dimostrato dagli atti

CONSIDERATO IN DIRITTO.
Va dichiarata l’estinzione del reato contestato per essere perenti i relativi termini
di prescrizione, con conseguente annullamento della sentenza impugnata senza rinvio.
Orbene, in presenza di una declaratoria di improcedibiltà per intervenuta
prescrizione del reato è precluso alla Corte di Cassazione un riesame dei fatti finalizzato
ad un eventuale annullamento della decisione per vizi attinenti alla sua motivazione. Il
sindacato di legittimità circa l’applicazione del secondo comma dell’art. 129 c.p.p. deve
essere circoscritto all’accertamento della ricorrenza delle condizioni per addivenire ad
una pronuncia di proscioglimento nel merito con una delle formule prescritte: la
conclusione può essere favorevole al giudicabile solo se la prova dell’insussistenza del
fatto o dell’estraneità ad esso dell’imputato risulti evidente sulla base degli stessi
elementi e delle medesime valutazioni posti a fondamento della sentenza impugnata,
senza possibilità di nuove indagini ed ulteriori accertamenti che sarebbero incompatibili
con il principio secondo cui l’operatività estintiva, determinando il congelamento della
situazione processuale esistente nel momento in cui è intervenuta, non può essere
ritardata: qualora, dunque, il contenuto complessivo della sentenza non prospetti, nei
limiti e con i caratteri richiesti dall’art. 129 c.p.p., l’esistenza di una causa di non
punibilità più favorevole all’imputato, deve prevalere l’esigenza della definizione
immediata del processo.
Nel caso di specie, poiché il ricorso implica anche l’esame degli aspetti relativi
alle statuizioni civili, è necessario, solo a tal fine, valutare la fondatezza delle censure
sottoposte all’esame del Collegio.
Va evidenziato, con riguardo al primo motivo, che la violazione di legge è
stata solo enunciatatin effetti la censura ha ad oggetto un vizio di motivazione, in
t
particolare, quello della contraddittorietà.
E’ opportuno ricordare che il controllo di legittimità si appunta esclusivamente
sulla coerenza strutturale “interna” della decisione, di cui saggia la oggettiva
“tenuta” sotto il profilo logico-argomentativo e, tramite questo controllo, anche
l’accettabilità da parte di un pubblico composto da lettori razionali del
provvedimento e da osservatori disinteressati della vicenda processuale. Al giudice
di legittimità è invece preclusa – in sede di controllo sulla motivazione – la rilettura
degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di

della causa civile parallela).

nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (preferiti a quelli
adottati dal giudice del merito, perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di
una migliore capacità esplicativa). Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la
Corte nell’ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare
funzione (assegnatale dal legislatore) di organo deputato a controllare che la
motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito (a cui le parti non
prestino autonomamente acquiescenza) rispetti sempre uno standard minimo di
intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito
dal giudice per giungere alla decisione. Esaminatck sulla base di queste coordinate,

legittimità aspetti attinenti all’apprezzamento del materiale probatorio rimessi alla
esclusiva competenza del giudice di merito e non indica in maniera specifica vizi di
legittimità o profili di illogicità della motivazione della decisione impugnata ma
mira solo a prospettare una ricostruzione alternativa dei fatti, suggerita come
preferibile rispetto a quella adottata dai giudici del merito, ricostruzione che è
insuscettibile di valutazione in sede di controllo di legittimità.
Il Collegio ha ritenuto di fare questa puntualizzazione in quanto, come accennato,
si censura la motivazione della sentenza impugnata in punto di contraddittorietà
evidenziandosi che la Corte d’appello, pur dopo avere colto l’eccezionale gravità
dell’imprudenza commessa dall’infortunato Baldi, perviene ad una conclusione che
contraddice tale premessa: una insufficiente informazione da un lato ed una carente
previsione dall’altro del documento di valutazione del rischio si sarebbero posti in
nesso causale concorrente rispetto all’infortunio, così generando una sia pur minore
percentuale di responsabilità in capo al datore di lavoro.
Il Collegio non può non condividere i principi enunciati in materia e riportati nelle
sentenze di legittimità indicate dalla Corte d’appello relativamente alla condotta c.d.
abnorme del prestatore di lavoro che, quale causa sopravvenuta, escluderebbe il nesso
di causalità tra la condotta addebitata al datore di lavoro e l’evento.
E’ pur vero che il sistema della normativa antinfortunistica, si è lentamente
trasformato da un modello “iperprotettivo”, interamente incentrato sulla figura del
datore di lavoro che, in quanto soggetto garante era investito di un obbligo di vigilanza
assoluta sui lavoratori (non soltanto fornendo i dispositivi di sicurezza idonei, ma anche
controllando che di questi i lavoratori facessero un corretto uso, anche imponendosi
contro la loro volontà), ad un modello “collaborativo” in cui gli obblighi sono ripartiti tra
più soggetti, compresi i lavoratori, normativamente affermato dal Testo Unico della
sicurezza: D.Lgs 9.04.2008 n. 81, ma ciò non ha escluso, per la giurisprudenza di
questa Corte, che permane la responsabilità del datore di lavoro, laddove la carenza dei
dispositivi di sicurezza, o anche la mancata adozione degli stessi da parte del
lavoratore, non può certo essere sostituita dall’affidamento sul comportamento
prudente e diligente di quest’ultimo.
In giurisprudenza, dal principio “dell’ontologica irrilevanza della condotta colposa
del lavoratore” (che si rifà spesso all’art. 2087 c.c.), si è giunti – a seguito

la prima censura è inammissibile in quanto tende a sottoporre al giudizio di

dell’introduzione del D. Lgs 626/94 e, poi del T.U. 81/2008 – al ricorso del concetto di
“area di rischio” (Sez. 4, Sentenza n. 36257 del 01/07/2014 Ud. Rv. 260294; Sez. 4,
Sentenza n. 43168 del 17/06/2014 Ud. Rv. 260947; Sez. 4, Sentenza n. 21587 del
23/03/2007 Ud. Rv. 236721) che il datore di lavoro è chiamato a valutare in via
preventiva. Strettamente connessa all’area di rischio che l’imprenditore è tenuto a
dichiarare (c.d. DVR), si sono individuati i criteri che consentissero di stabilire se la
condotta del lavoratore dovesse risultare appartenente o estranea al processo
produttivo o alle mansioni di sua specifica competenza. Si è dunque affermato il
concetto di comportamento “esorbitante”, diverso da quello abnorme” del lavoratore.

ordini, disposizioni impartiti dal datore di lavoro o di chi ne fa le veci, nell’ambito del
contesto lavorativo, il secondo, quello, abnorme, già costantemente delineato dalla
giurisprudenza di questa Corte, si riferisce a quelle condotte poste in essere in maniera
imprevedibile dal prestatore di lavoro al di fuori del contesto lavorativo, cioè, che nulla
hanno a che vedere con l’attività svolta.
La recente normativa (T.U. 2008/81) impone anche ai lavoratori di attenersi alle
specifiche disposizioni cautelari e comunque di agire con diligenza ; prudenza e perizia.
Le tendenze giurisprudenziali si dirigono anch’esse verso una maggiore
considerazione della responsabilità dei lavoratori (c.d. “principio di autoresponsabilità
del lavoratore).
In buona sostanza, si abbandona il criterio esterno delle mansioni e si
sostituisce con il parametro della prevedibilità intesa come dominabilità umana del
fattore causale.
Il datore di lavoro non ha più, dunque, un obbligo di vigilanza assoluta rispetto al
lavoratore, come in passato, ma una volta che ha fornito tutti i mezzi idonei alla
prevenzione, egli non risponderà dell’evento derivante da una condotta
imprevedibilmente colposa del lavoratore.
Questi principi non si attagliano al caso di specie, essendo rimastq . provatek la
mancata formazione del dipendente4 infortunato, di tal che a questi non si può imputare
di non essersi attenuto alle specifiche disposizioni cautelari, nello svolgimento del lavoro
affidato alla persona offesa, per prevenire gli infortuni, con riferimento al
comportamento da adottare nel caso si fosse verificata l’evenienza che ha influito sul
regolare funzionamento della tramoggia.
Correttamente, pertanto, la Corte milanese ha fatto riferimento alla
giurisprudenza dì legittimità, che con tranquillante uniformità. ha affermato che
l’obbligo di prevenzione si estende agli incidenti che derivino da negligenza, imprudenza
e imperizia dell’infortunato, essendo esclusa, la responsabilità del datore di lavoro e, in
generale, del destinatario dell’obbligo, solo in presenza di comportamenti che
presentino i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità, dell’esorbitanza rispetto al
procedimento lavorativo, alle direttive organizzative ricevute e alla comune prudenza.
Ed è significativo che, in ogni caso, nell’ipotesi di infortunio sul lavoro originato oltre che
dall’assenza o dall’inidoneità delle misure di prevenzione, anche dalla mancata
■••••–

Il primo riguarda quelle condotte che fuoriescono dall’ambito delle mansioni,

formazione del dipendente, nessuna efficacia causale venga attribuita al
comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all’evento, quando
questo sia da ricondurre, comunque, alla mancata comunicazione da parte del datore di
lavoro di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il
rischio di siffatto comportamento (confr. Cass. pen. n. 31303 del 2004 cit.).
Il ricorso va, pertanto, rigettato, ai fini civili.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato estinto per
prescrizione.

a all’udienza del 14 luglio 2015.

Rigetta il ricorso ai fini civili.

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