Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36880 del 14/05/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 36880 Anno 2015
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: MASSAFRA UMBERTO

Data Udienza: 14/05/2015

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MARTE ANTONIO N. IL 09/06/1981
MARTE PASQUALE N. IL 21/04/1985
PIZZATA SAVERIO SALVATORE N. IL 09/09/1970
STRANGIO MARIA N. IL 11/12/1963
PANETTA ARMANDO N. IL 03/11/1964
SURACE NATALE N. IL 01/10/1970
LAURO CIACCIO MICHELE N. IL 31/01/1976
D’UVA GIUSEPPE N. IL 03/08/1951
MARSEGLIA GIANNI N. IL 27/06/1964
BOTTONI MARCO N. IL 22/09/1975
CAVALLO DOMENICO PIO N. IL 16/08/1984
PISCEDDA SALVATORE N. IL 08/04/1956
ASOFIEI DOREL GHEORGHE N. IL 24/04/1974
avverso la sentenza n. 1628/2013 CORTE APPELLO di BOLOGNA,
del 20/06/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/05/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. UMBERTO MASSAFRA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. SANTE SPINACI
che ha concluso nei confronti di CAVALLO E SURACE per l’annullamento
con rinvio limitatamente al trattamento sanzionatorio e rigetto nel resto; nei
confronti di MARSEGLIA, D’UVA, PISCEDDA, ASOFIEI e LAURO per
l’inammissibilità dei ricorsi ed infine nei confronti di tutti gli altri ricorrenti
per il rigetto dei rispettivi ricorsi.
Udito l’Avv. LOJACONO Francesco, del Foro di Roma, difensore di MARTE
Pasquale, che insiste per l’accoglimento del ricorso.
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Udito l’Avv. LOJACONO quale sostituto processuale, per MARTE Antonio,
MARTE Pasquale, SURACE Natale e ASOFIEI Dorel, che chiede l’accoglimento
dei ricorsi.
Udito l’avv. LOJACONO, quale sostituto processuale dell’Avv. BRUZZESE,
per STRANGIO Maria, che chiede l’accoglimento del ricorso.
Udito l’Avv. GARRASI Carla, dl Foro di Bologna, difensore di BOTTONI Marco,
che chiede l’accoglimento del ricorso.
Udito l’Avv. PETTINACCI Stefania, del Foro di Bologna, difensore di PANETTA
Armando, che insiste per l’accoglimento del ricorso.
Udito l’Avv. BENINI Carlo, del Foro di Ravenna, difensore di PIZZATA Saverio
Salvatore, che chiede l’accoglimento del ricorso.
Udito l’Avv. ZAMPERLIN Andrea, del Foro di Ferrara, difensore di D’UVA
Giuseppe, che chiede l’accoglimento del ricorso.

Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del G.i.p. del Tribunale di Bologna in data 27.6.2012, all’esito del
giudizio abbreviato, venivano condannati, tra gli altri, D’Uva Giuseppe, Surace Natale,
Pizzata Saverio Salvatore, Cavallo Domenico Pio, Lauro Ciaccio Michele, Asofiei Dorel
Gheorghe, Bottoni Marco, Piscedda Salvatore, Marseglia Gianni, Panetta Armando, Marte
Antonio, Marte Pasquale e Strangio Maria essendo stati riconosciuti colpevoli dei delitti di

4/9, 4/10, 65, 65/1, 66, 68, 92/1; Surace Natale: 20, 20/1, 21, 23, 24; Pizzata Saverio
Salvatore: 1, 4, 4/3, 4/5, 4/8; Cavallo Domenico Pio: 56, 60; Lauro Ciaccio Michele: 35;
Asofiei Dorel Gheorghe: 4/1, 4/8; Bottoni Marco: 63; Piscedda Salvatore: 33; Marseglia
Gianni: 85; Panetta Armando:1, 6, 7; Marte Antonio: 1, 3, 3/2, 3/3, 3/4, 4, 4/1, 4/3,
4/5; Marte Pasquale: 1, 4, 4/1, 4/3, 4/5; Strangio Maria: 1) e ritenuti di cui all’art. 74
comma 2 dPR 309/1990 (in particolare: Marte Antonio, Marte Pasquale, Pizzata Saverio
Salvatore, Panetta Armando e Strangio Maria) e di numerosi altri di cui agli artt. 81 cpv.
c.p. e 73 dPR 309/1990 (acquisto, detenzione e cessione a terzi di cocaina: tutti, tranne
la Strangio). Era contestata la recidiva: infraquinquennale a Marte Pasquale, specifica ed
infraquinquennale a Marte Antonio, specifica reiterata ed infraquinquennale a Pizzata,
D’Uva e Marseglia, specifica e reiterata a Piscedda Salvatore.

2. Con sentenza emessa in data 20.6.2013 la Corte di appello Bologna, in parziale
riforma di quella del G.i.p. sopra indicata, tra l’altro:
– riqualificava il reato sub capo 1) nell’ipotesi di cui all’art. 74 comma 2 e rideterminava
la pena per Marte Antonio e Marte Pasquale in anni undici e mesi otto di reclusione
ciascuno e per Pizzata Saverio Salvatore in anni dodici di reclusione;
– per Asofiei Dorel Gherghe escludeva l’aggravante di cui all’art. 112, n. 2 c.p. contestata
al capo 4/8;
– per Surace Natale, ritenuta l’ipotesi di cui al 5° comma dell’art. 73 dPR 309/1990,
rideterminava la pena in anni due di reclusione ed C 6.160 di multa con revoca della pena
accessoria;
– per Cavallo Domenico Pio, ritenuta l’ipotesi di cui al 5° comma dell’art. 73 dPR
309/1990 per i due reati contestatigli (56 e 60), rideterminava la pena inflitta in anni
due e mesi quattro di reclusione ed C 10.000,00 di multa, con revoca della pena
accessoria;
– confermava nel resto la sentenza impugnata e, quindi, le pene inflitte, tra gli altri, a
D’Uva Giuseppe, Lauro Ciaccio Michele, Asofiei Dorel Gheorghe, Piscedda Salvatore,
Bottoni Marco, Marseglia Gianni, Panetta Armando e Strangio Maria (con concessione a
tutti, tranne che a Marseglia e Cavallo, delle attenuanti generiche).

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cui ai residui capi loro rispettivamente ascritti (segnatamente, D’Uva Giuseppe: 4/2, 4/4,

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3. Avverso tale sentenza ricorrono per cassazione tutti i predetti imputati di cui una
personalmente (la Strangio) e gli altri tramite i rispettivi difensori di fiducia.

4. Nell’interesse di Marte Antonio e Marte Pasquale si deducono i motivi di seguito
sinteticamente riportati:
4.1. l’inosservanza di norme processuali stabilite a pena d’inutilizzabilità, in relazione alle
“spontanee” dichiarazioni di Simone Di Carlo, poiché rese alla P.G., senza la presenza del

cautelare quindi inutilizzabili ex art. 191 c.p.p.;
4.2. la violazione di legge ed il vizio motivazionale in relazione al reato associativo sub
capo 1), contestando e svalutando con varie argomentazioni la ricorrenza dei 6 elementi
distintivi per l’integrazione dell’associazione criminosa;
4.3. il vizio motivazionale con riferimento ai capi inerenti i singoli reati—fine (4, 4/1, 4/3,
4/5), contestando, con dovizia di richiami ed argomentazioni, l’univocità della
ricostruzione dei fatti operata dal giudice a quo;
4.4. la mancata applicazione dell’ipotesi attenuata di cui all’art. 73 comma V, dPR
309/1990 al capo 3/3 al pari di quanto deliberato circa il capo 2/2 (rectius: 20/2), che
contemplava il medesimo fatto, ascritto al Surace;
4.5. la violazione di legge in relazione all’applicazione dell’art. 69 comma 4° circa il
divieto del criterio di prevalenza delle attenuanti generiche rispetto alla recidiva
contestata, assumendo che non si versava nell’ipotesi di recidiva reiterata prevista
dall’art. 99 comma 4° c.p. né la recidiva di cui all’art. 99 c. 5° c.p. implicava il divieto di
bilanciamento.

5. Nell’interesse di Pizzata Saverio Salvatore si articolano le censure di seguito
sinteticamente riportate:
5.1. il vizio motivazionale in relazione alla mancata assoluzione dai reati-fine di cui ai capi
4, 4/3, 4/5, 4/8, atteso il richiamo completo alla sentenza di I grado ad onta delle
doglianze esposte nell’atto di gravame con le quali si lamentava l’insufficienza degli
elementi probatori;
5.2. la violazione dell’art. 74 dPR 309/1990 per l’insussistenza degli elementi integrativi
della fattispecie associativa, e, in subordine, la violazione dell’art. 8 c.p.p. assumendo
che, atteso l’inizio dell’attività criminosa dell’associazione, il /ocus commissi delicti doveva
ritenersi Reggio Calabria;
5.3. il vizio motivazionale in ordine al mancato giudizio di prevalenza delle concesse
attenuanti generiche rispetto alla recidiva contestata di cui all’art. 99, 5° comma c.p.;
5.4. il vizio motivazionale in ordine al mancato contenimento della pena in relazione
all’aumento per la continuazione.
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difensore, nell’immediatezza ma nella medesima data in cui era stato sottoposto a misura

6. Strangio Maria deduce i motivi di seguito sinteticamente riportati:
6.1. la violazione di legge ed il vizio motivazionale in relazione alla ritenuta utilizzabilità
delle dichiarazioni spontanee rese da Di Carlo Simone in data 26.5.2011 contestando
l’interpretazione data dalla Corte territoriale dell’art. 350 commi 1 e 2 c.p.p. e richiama
talune pronunce di questa Corte circa l’inutilizzabilità delle dette dichiarazioni;
6.2. la violazione di legge ed il vizio motivazionale in ordine alla ritenuta attendibilità,
specie sotto il profilo della loro reiterazione, delle dichiarazioni rese da Di Carlo Simone;

dell’associazione di cui all’art. 74 dPR 309/1990 (e non già di un mero concorso di
persone) e in ordine alla valutabilità delle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia
Domenico Bumbaca in data 27.10.2008 (in quanto generiche e prive di riscontri);
6.4. la violazione di legge ed il vizio motivazionale in relazione alla ritenuta
partecipazione della ricorrente all’associazione

de qua: in particolare per l’assenza

dell’elemento organizzativo e per la fungibilità del ruolo ricoperto dalla ricorrente;
6.5. la violazione di legge ed il vizio motivazionale in relazione alla ritenuta insussistenza
dei requisiti per la riconoscibilità dell’attenuante di cui all’art. 114 c.p..

7. Nell’interesse di Bottoni Marco si rappresentano le censure di seguito sinteticamente
riportate.
7.1. la violazione di legge ed il vizio motivazionale in relazione alla ritenuta penale
responsabilità per l’insufficienza del contenuto delle dichiarazioni di Di Carlo in ordine alla
sua consapevolezza dell’illecito occultamento della sostanza stupefacente;
7.2. l’erronea applicazione dell’art. 73 comma 5 0 dPR 309/1990 la cui ipotesi attenuata
era stata negata dalla Corte territoriale (benché il quantitativo di stupefacente fosse
controverso);
7.3.

l’erronea applicazione dell’attenuante di cui all’art. 114 c.p. negata dalla Corte

territoriale.

8. Nell’interesse di Piscedda Salvatore si deducono le censure di seguito sinteticamente
riportate:
8.1. la violazione di legge ed il vizio motivazionale in ordine alla valutazione delle prove;
8.2. l’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità in relazione agli artt.
521, 522 e 597 c.p.p.;
8.3. la violazione di legge ed il vizio motivazionale per carenza degli elementi univoci volti
a dimostrare la commissione del reato di spaccio di stupefacenti da parte sua;
8.4. l’erronea determinazione del trattamento sanzionatorio e relativo vizio motivazionale
in ordine all’entità della pena inflitta e alla mancata concessione delle attenuanti
generiche nonchè dell’ipotesi attenuata di cui all’art. 73, comma 5 0 dPR 309/1990.

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6.3. la violazione di legge ed il vizio motivazionale in ordine alla ritenuta sussistenza

9. Nell’interesse di Lauro Ciaccio Michele si deduce il vizio motivazionale in ordine alla
ritenuta insussistenza dell’ipotesi attenuata di cui all’art. 73, 5 0 comma dPR 309/1990,
mentre dal capo d’imputazione si evinceva che le quantità di stupefacente trattate erano
“modiche”.

10. Nell’interesse di Cavallo Domenico Pio ci si duole della violazione del principio di
correlazione tra accusa e sentenza e nullità della stessa per difetto di contestazione del

nonché dell’erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 73 dPR 309/1990
e il vizio motivazionale, contestando l’interpretazione fornita dal Giudice di primo grado
dell’intercettazione ambientale del 30.9.2009 ad ore 23,45 e della telefonata effettuata
da Barretta a

Vicedomini, nonché, quanto al capo d’imputazione sub n. 60,

dell’intercettazione ambientale del 3.8.2009 tra Baretta Alessandra e Zanzarella Adolfo.

11. Nell’interesse di Asofiei Dorel Gheorghe si deduce la violazione di legge ed il vizio
motivazionale circa la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 73 comma VI dPR
309/1990 (numero delle persone), l’errata applicazione del bilanciamento tra circostanze,
la violazione del divieto di reformatío in peius e l’errata applicazione della normativa sul
reato continuato.
Si assume che, avendo il giudice di primo grado fatto riferimento ad un’unica aggravante
(valutata come equivalente alle attenuanti generiche) ed essendo stato il coimputato
Rappazzo condannato per il solo reato di cui al capo 4/8 per il quale non era stata
contestata l’aggravante di cui all’art. 73 comma VI dPR309/1990, doveva escludersi che
il bilanciamento fosse stato operato per il reato di cui al capo 4/1 e non piuttosto tra
attenuanti generiche e aggravante di cui all’art. 112 n. 2 c.p. contestata al capo 4/8, con
conseguente riforma peggiorativa attesa l’intervenuta esclusione dell’aggravante predetta
con mantenimento invariato della pena inflitta all’Asofiei.

12. Nell’interesse di Marseglia Gianni si rappresenta il vizio motivazionale in relazione
all’interpretazione delle conversazioni intercettate laddove si richiamano gli assegni il cui
vocabolo veniva ritenuto indicare sostanza stupefacente, assumendo che, alla luce di
quanto emerso da altro fascicolo acquisito ed in particolare dalle dichiarazioni ivi rese da
tal Tallerico Nicodemo e dallo stesso Marseglia, rimaneva corroborata la fondatezza della
ricostruzione alternativa proposta dalla difesa per spiegare la causale dell’assegno ceduto
all’imputato nel settembre 2010, onde la stessa non poteva sottrarsi alla valutazione del
giudice di merito.

13. Nell’interesse di D’Uva Giuseppe si deducono, in sintesi, le seguenti censure:

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capo 56 (per il quale veniva ritenuta l’ipotesi di cui all’art. 73, 5° co. dPR309/1990),

13.1. l’inosservanza e/o erronea interpretazione dell’art. 73 comma 7 dPR 309/1990 o
dell’art. 62 n. 6, seconda parte, c.p.;
13.2. l’inosservanza e/o erronea interpretazione degli artt. 81 cpv. c.p. e 671 c.p.p. ed il
vizio motivazionale sul punto;
13.3. l’inosservanza e/o erronea interpretazione dell’art. 12 sexies D.L. 306/1992 in
relazione alla mancata restituzione del denaro e di due assegni in sequestro.

riportati:
14.1. la violazione di legge ed il vizio motivazionale in ordine alla mancata assoluzione
per il reato di cui all’art. 74 dPR 309/1990, contestandone la sussistenza dei tipici
elementi costitutivi e assumendo la carenza probatoria della partecipazione
all’associazione criminosa da parte del Panetta;
14.2. la violazione di legge ed il vizio motivazionale in ordine alla mancata concessione
dell’attenuante di cui all’art. 73 comma 7 dPR 309/1990, attesa l’ampia collaborazione
prestata con le Autorità inquirenti.

15. Nell’interesse di Surace Natale si rappresentano, in sintesi, i seguenti motivi:
15.1. la violazione di legge in relazione all’inutilizzabilità delle dichiarazioni di Giovanni
Miccichè, acquisite ai sensi dell’art. 441 c. 5 c.p.p., mentre era in corso la discussione
finale, su sollecitazione del P.M. per i capi 20, 20/1, 21, 24;
15.2. il vizio motivazionale in relazione all’uso improprio delle intercettazioni criptiche e
alle condotte di acquisto di stupefacenti (di cui ai capi 20, 20/2, 21, 24);
15.3. la violazione della legge penale ed in ispecie degli art. 81 c.p. e 73 dPR 309/1990
adducendo la violazione del principio del ne bis in idem sostanziale, poiché era stato
applicato l’art. 81 cpv. c.p. con riferimento ai capi 20/2, 21 e 24 dovendo gli stessi
confluire nell’ambito del capo 20/1;
15.4. la violazione di legge in relazione all’art. 73 comma 1 bis lett. a) dPR 309/1990 non
essendo stata dimostrata dall’accusa la destinazione della sostanza stupefacente ad uso
non esclusivamente personale.

16.

E’ stata depositata una memoria difensiva nell’interesse di Panetta Armando

contenente motivi aggiunti con cui si ribadisce l’estraneità del Panetta all’associazione
criminosa contestata.

Considerato in diritto

17. I ricorsi di Marseglia Gianni, Piscedda Salvatore e Asofiei Dorel Gheorge sono
inammissibili essendo le censure mosse dai medesimi manifestamente infondate e non
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14. Nell’interesse di Panetta Armando si articolano i motivi di seguito sinteticamente

consentite nella presente sede e, quelle del Piscedda, anche estremamente generiche e
quasi incomprensibili (sub 8.2.), poiché inadeguatamente articolate e nemmeno sorrette
dalle concrete ragioni poste a loro supporto.
Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi conseguirà, a norma dell’art. 616 c.p.p., la
condanna dei predetti ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma, che
si ritiene equo liquidare in C 1.000,00 per ciascuno, in favore della cassa delle ammende,
non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di

18. Invero, i motivi esposti tendono ad una rivalutazione delle risultanze processuali non
consentita in sede di legittimità, sottraendosi la motivazione della impugnata sentenza
ad ogni sindacato per le connotazioni di coerenza, di completezza e di razionalità dei suoi
contenuti per non dire che, comunque, il vizio motivazionale deve essere evidente, cioè
di spessore tale da risultare percepibile “ictu oculi”, dovendo il sindacato di legittimità al
riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza.
Al riguardo, giova sottolineare che, secondo il consolidato orientamento della Suprema
Corte, “esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una “rilettura” degli elementi
di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva
al giudice di merito” (Sez. Un. n.6402/97, imp. Dessimone ed altri, Rv. 207944).
Il nuovo testo dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), come modificato dalla L. 20
febbraio 2006, n. 46, con la ivi prevista possibilità per la Cassazione di apprezzare i vizi
della motivazione anche attraverso gli “atti del processo”, non ha alterato la fisionomia
del giudizio di cassazione, che rimane giudizio di legittimità e non si trasforma in un
ennesimo giudizio di merito sul fatto. In questa prospettiva, non è tuttora consentito alla
Corte di Cassazione di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una
rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati
in via esclusiva al giudice del merito. Il

novum normativo, invece, rappresenta il

riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto
“travisamento della prova”, finora ammesso in via di interpretazione giurisprudenziale:
cioè, quel vizio in forza del quale la Cassazione, lungi dal procedere ad una inammissibile
rivalutazione del fatto e del contenuto delle prove, può prendere in esame gli elementi di
prova risultanti dagli atti onde verificare se il relativo contenuto sia stato o no
“veicolato”, senza travisamenti, all’interno della decisione (Cass. pen. Sez. IV,
19.6.2006, n. 38424). Ciò, peraltro, vale nell’ipotesi di decisione di appello difforme da
quella di primo grado, in quanto nell’ipotesi di doppia pronunzia conforme, come
avvenuto nel caso di specie in relazione a buona parte dei ricorrenti (Marseglia Gianni,
Piscedda Salvatore, D’Uva Giuseppe, Lauro Ciaccio Michele, Strangio Maria, Bottoni
Marco e Panetta Armando, che hanno, altresì, reiterato le medesime doglianze disattese
dai giudici di merito con motivazione corretta e congrua), il limite del devolutum non può
8

inammissibilità.

essere superato ipotizzando recuperi in sede di legittimità, salva l’ipotesi in cui il giudice
d’appello, al fine di rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, richiami atti
a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice (Cass. pen., sez. II, 15.1.2008,
n. 5994; Sez. I, 15.6.2007, n. 24667, Rv. 237207; Sez. IV, 3.2.2009, n. 19710, Rv.
243636).
In particolare, per quel che concerne le comuni doglianze di Marseglia e Piscedda in
tema di interpretazione delle conversazioni intercettate, giova rammentare che in tema
di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio

fatto riservata all’apprezzamento del giudice di merito, le motivazioni al riguardo sono
estremamente esaustive e si sottraggono al giudizio di legittimità palesandosi la
valutazione logica in rapporto alle massime di esperienza utilizzate (Cass. pen. Sez. VI,
8.1.2008, n. 17619, Rv. 239724; (pagg. 69 e 73 sent. impugnata).
Inoltre, correttamente e con congrua motivazione sono state negate le attenuanti
generiche al Piscedda, la cui concessione, si rammenta, è frutto di un giudizio di merito
lasciato alla discrezionalità del giudice, sottratto al controllo di legittimità, al pari della
commisurazione della pena, tanto che “ai fini della concessione o del diniego delle
circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli
elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a
determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento
attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione
di esso può essere sufficiente in tal senso” (Cass. pen. Sez. IL n. 3609 del 18.1.2011,
Rv. 249163).
Quanto all’Asofiei, è indiscutibile l’integrazione dell’aggravante del numero delle persone
ex art. 73 comma VI dPR 309/1990, contestata al capo 4/1, a nulla rilevando l’identità
del ruolo di corrieri svolto da tre dei concorrenti nel reato continuato ed anzi, in tema di
spaccio di sostanze stupefacenti, perché possa sussistere l’aggravante del concorso di tre
o più persone occorre che la pluralità di soggetti sia riferibile ad una delle condotte
necessarie per l’integrazione del reato (offerta, eventuale intermediazione, acquisto,
detenzione, trasporto, etc.) poiché l’ordinamento connette uno specifico disvalore proprio
al coinvolgimento di più persone nel medesimo ruolo (Cass. pen. Sez. IV, n. 36616 del
4.10.2006, Rv. 235375).
Inoltre, è vero che la sentenza impugnata ha escluso l’aggravante di cui al capo 4/8 (art.
112 n. 2 c.p.), ma il giudizio di equivalenza tra circostanze operato dalla sentenza di
primo grado (il riferimento all’aggravante contestata deve ritenersi afferente alle
rispettive aggravanti contemplate dai due capi di imputazione per i quali è stata inflitta la
condanna) è rimasto invariato: ciò non comporta, però, alcuna violazione del divieto
della reformatio in peius, dal momento che, essendo stata ab initio vanificata l’incidenza
delle aggravanti sulla determinazione della pena attraverso il detto giudizio di
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adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, è questione di

equivalenza, l’aumento per la continuazione è stato effettuato con riferimento al reato
non aggravato.
Invero, il giudizio di comparazione non ha natura matematica e non è dunque risolvibile
in termini puramente quantitativi; non si può dire, cioè, che se si toglie qualcosa ad uno
dei due termini, l’altro diventa automaticamente prevalente. Se si vuole dare al giudizio
di bilanciamento una matrice non empirica, si può affermare che la misurazione dei due
termini (le circostanze) in comparazione va operata non in modo continuo, ma “discreto”:
in altri termini, non è sufficiente una qualsiasi diminuzione ad alterare l’equilibrio ritenuto

valore, che il Giudice di merito individua in concreto con valutazione discrezionale non
soggetta a controllo di legittimità, purché adeguatamente motivata. Ove, come nel caso
di specie, l’eliminazione dell’aggravante non comporti sostanziale alterazione della
valutazione comparativa già operata in primo grado, il Giudice di appello può, dunque,
nell’ambito dei poteri di merito a lui riservati, confermare la pena irrogata in primo grado,
non incorrendo in violazione del divieto di reformatio in peius. (Cass. pen. Sez. V, n.
18836 del 9.7.2013, Rv. 260195)
È bene precisare che l’art. 597, comma 4 c.p.p., si riferisce alla eliminazione di un reato
concorrente o di una circostanza, sul presupposto, in quest’ultimo caso, che non vi sia
concorso eterogeneo “plurimo”. Per il caso di concorso, infatti, la legge prevede una
deroga al meccanismo di calcolo matematico; non si devono irrogare tanti aumenti e
diminuzioni quante sono le circostanze (metodo che consentirebbe agevolmente di
applicare alla lettera l’art. 597 c.p.p.), ma si deve fare una valutazione complessiva.
Ebbene, se dopo la parziale riforma del Giudice di appello residua un concorso di
circostanze di segno diverso, non si può automaticamente procedere alla revisione della
pena, ma si deve effettuare nuovamente un giudizio di bilanciamento (con il solo limite
che non può essere peggiorativo per l’imputato se oggetto della riforma è
un’aggravante).
L’obbligo di diminuzione della pena, quindi, va letto nel senso che, eliminato un termine,
non si possono aumentare gli altri per conservare la pena originaria. Ma nel caso in
esame non vi è modifica dei termini residui (pena base e circostanze non eliminate),
perché il giudizio di bilanciamento è tale che non implica appunto un peso
matematicamente apprezzabile di ogni elemento e soprattutto impone una valutazione di
tipo globale.
Quanto alle censure sub 8.4. (del Piscedda), 9 (relativa al Lauro) e 7.2. (relativa al
Bottoni), la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione della normativa di settore,
come costantemente interpretata dalla Corte di legittimità, secondo la quale in tema di
sostanze stupefacenti, ai fini della ravvisabilità o meno dell’ipotesi attenuata di cui all’art.
73, 5 0 comma dPR 309/1990, il giudice è tenuto a complessivamente valutare tutti gli
elementi indicati dalla norma, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e

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dal primo Giudice, ma è necessario che tale alterazione sia superiore ad un determinato

circostanze della stessa), sia quelli che attengono all’oggetto materiale del reato
(quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa):
dovendo, conseguentemente, escludere -come appunto ha fatto nel caso di specie- la
configurabilità dell’ipotesi attenuata quando anche uno solo di questi elementi porti ad
escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia di “lieve entità” (di recente, Cass.
pen. Sez. IV, n. 43399 del 12.11.2010, Rv. 248947).
In ordine ancora alla censura sub 8.4., si rammenta che la commisurazione della pena
rientra nella piena discrezionalità del giudice di merito ed è adeguatamente motivata alla

merito, con la enunciazione, anche sintetica, dell’eseguita valutazione di uno (o più) dei
criteri indicati nell’art. 133 cod. pen., assolve adeguatamente all’obbligo della
motivazione: tale valutazione, infatti, rientra nella sua discrezionalità e non postula
un’analitica esposizione dei criteri adottati per addivenirvi in concreto (da ultimo, Cass.
pen. Sez. II, del 19.3.2008 n. 12749, Rv. 239754).

19. Chiara ed esaustiva è la motivazione della sentenza impugnata in relazione
all’interpretazione della conversazione dell’intercettazione ambientale del 3.8.2009
relativa al capo 60) ascritto al Cavallo (pag. 115 sent. di I grado e 77 sent. di appello) e
tanto in aggiunta alle ulteriori osservazioni sopra svolte riguardo alle censure mosse da
Marseglia e Piscedda in tema di interpretazione delle conversazioni intercettate.
Quanto alle residue doglianze rappresentate dal Surace, si rileva che la dedotta
inutilizzabilità delle dichiarazioni di Miccichè Giovanni di cui al punto 15.1. è stata con
congrua motivazione disattesa dalla Corte territoriale (pag. 64 sent.), né ha alcuna
incidenza invalidante l’eventuale circostanza che le stesse siano state acquisite nel corso
della discussione finale.
In relazione alla censura sub 15.3. che (dal tenore della sentenza impugnata) non
risulta, al pari di quella sub 15.4., nemmeno formulata con i motivi di appello onde
entrambe sono improponibili ai sensi dell’art. 606, 3° comma c.p.p., nulla consente di
ritenere che i capi 20/2, 21 e 1 24 debbano confluire nell’unico capo 20/1, così

stregua della giurisprudenza di questa Corte di legittimità secondo la quale il giudice del

precludendosi l’aumento per la continuazione operato, attesa la non coincidenza dei
cedenti e cessionari dello stupefacente nonchè dei tempi e luoghi dei commessi reati.

19.1. Senonchè, va rilevato, ai sensi dell’art. 609, 2° comma c.p.p., trattandosi di motivo
-inerente la misura della pena- che non poteva essere dedotto all’epoca attese le ragioni
intervenute a sostegno solo successivamente alla presentazione dei ricorsi di Surace
Natale e Cavallo Domenico Pio, per i quali è stata ritenuta l’ipotesi di cui al 5° comma
dell’art. 73 dPR 309/1990 (per il Cavallo solo in ordine all’imputazione di cui al capo 56,
ritualmente contestato, come si evirice dal pag. 34 della sentenza impugnata e di quella
di primo grado, benchè sia palese l’errore materiale contenuto nel dispositivo della
11

41/

sentenza impugnata laddove indica il capo 59 in luogo di quello n. 56), che recentemente
è entrata in vigore la Legge n. 79 del 16.5.2014 di conversione del D.L. n. 36 del 2014
con la quale, tra l’altro, è stata ribadita (essendo già stata affermata dal D.L. n. 146 del
23.12.2013, conv. in L. n. 10 dl 21.2.2014), la natura di reato autonomo della fattispecie
di cui al 5° comma del dPR 309/1990 per tutte le tipologie di stupefacenti e rimodulata la
pena da sei mesi a quattro anni di reclusione e da C 1.032 a C 10.239 di multa. Tale
novella sanzionatoria, palesemente più favorevole al reo, è attualmente applicabile, ai
sensi dell’art. 2 comma 4° c.p., al caso in esame in cui le rispettive pene basi assunte (di

15.000,00 di multa per il Cavallo), sono di gran lunga superiori al nuovo minimo edittale
ed anzi prime al nuovo massimo e, quindi, sono divenute immotivatamente eccessive.
Consegue l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente al trattamento
sanzionatorio riservato a Surace Natale e Cavallo Domenico Pio con rinvio sul punto alla
Corte di Appello di Bologna per l’ulteriore corso.
I ricorsi dei predetti devono essere, nel resto, rigettati.

20. Sono parzialmente fondati i ricorsi presentati nell’interesse di Pizzata Saverio
Salvatore, Marte Antonio e Marte Pasquale.

20.1. Sono infondate le censure sub 4.5. (per i due Marte) e 5.3. per il Pizzata. Infatti,
come rilevato dalla sentenza di primo grado (pag. 84), essendo stato ascritto ai predetti
anche il reato associativo di cui all’art. 74 dPR 309/1990 (rientrante nell’art. 407, comma
2 lett. a) c.p.p.), la recidiva ai medesimi contestata, ex art. 99, V comma c.p. -di cui è
stata verificata la giuridica sussistenza- comporta l’aumento obbligatorio della pena ma
tale circostanza non implica anche il divieto di applicazione del criterio di prevalenza delle
concesse attenuanti generiche sulla recidiva. Tanto consegue solo, ai sensi dell’art. 69,
4° comma c.p., in caso di recidiva reiterata di cui all’art. 99 4° comma c.p. che, però, è
stata contestata formalmente solo a Pizzata Saverio Salvatore.
Ma la sentenza impugnata (pag. 120), in ciò rimediando ad un errore rnotivatorio di
quella di primo grado, ha sottolineato l’estrema gravità dei fatti, sintomatici di una
elevatissima pericolosità, ponendola, con giudizio insindacabile in questa sede, a base
del diniego del criterio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche.

20.2. Quanto al motivo sub 5.4. dedotto dal Pizzata, deve rammentarsi che in tema di
determinazione della misura della pena ivi compresa quella degli aumenti operati per la
continuazione, il giudice del merito, con la enunciazione, anche sintetica, dell’eseguita
valutazione di uno (o più) dei criteri indicati nell’art. 133 cod. pen., assolve
adeguatamente all’obbligo della motivazione: tale valutazione, infatti, rientra nella sua
12

anni tre di reclusione ed C 9.000,00 di multa, per il Surace e di anni 3 di reclusione ed C

discrezionalità e non postula un’analitica esposizione dei criteri adottati per addivenirvi in
concreto (da ultimo, Cass. pen. Sez. II, del 19.3.2008 n. 12749 Rv. 239754).

20.3. E’ stata con congrua motivazione (che ha evidenziato i luoghi comunemente
frequentati dai compartecipi e punto di riferimento per gli acquirenti della droga, come la
pizzeria, l’appartamento e l’hotel Conte Luna i ruoli e i rapporti tra i medesimi
intercorrenti), esente da vizi di sorta, sottolineata (pagg. 109 e segg. sent.)

contestata da Marte Antonio, Marte Pasquale, Pizzata Saverio Salvatore, Panetta
Armando e Strangio Maria con i motivi 4.2., 5.2., 6.3. e 14.1.), onde le doglianze
predette che, come sopra rilevato, tendono ad una diversa ricostruzione fattuale ed alla
rivalutazione del materiale probatorio, non hanno alcun pregio. Invero, per la
configurazione di un’associazione

delinquere finalizzata al commercio di sostante

stupefacenti è sufficiente la prova dell’esistenza di un’attività permanente ed attuativa di
un programma generico di commercio di droga e non è necessaria una vera e propria
organizzazione con gerarchie interne e distribuzione di specifiche cariche e compiti; è
tuttavia indispensabile una generica forma organizzativa, sia pure imperfetta e
rudimentale, deducibile dalla predisposizione di mezzi, anche semplici ed elementari, per
il perseguimento del fine comune, mezzi che possono identificarsi, oltre che nel
necessario apporto umano, in quelle “forme di copertura” necessarie per agevolare il
traffico di droga (Cass. pen. Sez. VI, n. 8046 del 8.5.1995, Rv. 202032): e tanto
emerge a sufficienza dalla ricostruzione fattuale operata dalla sentenza impugnata.
Analoghe considerazioni valgono in relazione alla censura sub 6.4. addotta dalla Strangio
che ha protestato la sua estraneità al sodalizio criminoso: sono stati, al riguardo,
sottolineati la sua attiva partecipazione ai trasporti di stupefacente, tanto da essere
arrestata a seguito del rinvenimento nella vettura dalla stessa condotta di circa kg. 1,4 di
cocaina, la sua presenza nella pizzeria (luogo di riferimento dell’associazione criminosa e
degli acquirenti di droga) e numerost altri dati gravemente indiziari tratti da dichiarazioni
intercettate tra altri sodali (pagg. 115-119 sent.) che rivelavano come la donna fosse
ben inserita nel sodalizio e consapevole della riconducibilità al programma criminoso
oggetto del pactum sceleris delle condotte individuate dalla sentenza impugnata.
L’eccezione d’incompetenza territoriale sollevata sub 5.2. nell’interesse di Pizzata Saverio
Salvatore, non risulta

(sulla scorta di quanto si evince dalle sentenze di merito)

presentata nei termini perentori di cui all’art. 21 c.p.p. né riproposta nel giudizio
abbreviato né, tanto meno, dedotta con i motivi di appello.

20.4. Sono infondate anche le censure relative all’inutilizzabilità delle dichiarazioni del
coimputato Di Carlo Pietro e alla sua attendibilità (sub 4.1. per i due Marte, sub 6.1. per
13

l’integrazione degli estremi della fattispecie associativa (la cui sussistenza è stata

la Strangio e 7.1. per il Bottoni, che, però, si duole solo dell’insufficienza probatoria delle
dette dichiarazioni).
Invero, sono del tutto corrette le argomentazioni svolte sul punto dalla sentenza
impugnata (pag. 104 e segg.) che ha ribadito la piena utilizzabilità delle dichiarazioni in
questione poiché rese spontaneamente dall’indagato nel corso dell’esecuzione
dell’ordinanza cautelare ex art. 350, comma 7 c.p.p. e ciò in accordo con la prevalente
giurisprudenza anche recente di questa Corte secondo la quale, nel giudizio abbreviato,

alle indagini alla polizia giudiziaria, perchè l’art. 350, comma settimo, cod. proc. pen. ne
limita l’inutilizzabilità esclusivamente al dibattimento (Sez. V, n. 44829 del 12.6.2014,
Rv. 262192).

20.5. Sono invece fondati i motivi sub 4.3. e 5.1. limitatamente al capo 4/5.
Infatti, dalla conversazione ambientale intercettata n.2435 del giorno 7.1.2011 tra Marte
Antonio e D’Uva Giuseppe, si evince non già la cessione già avvenuta di una partita di
stupefacente, bensì una mera dichiarazione d’intenti, laddove il Marte invita il D’Uva a
prendersi mezzo (da intendersi, secondo l’accusa, mezzo chilo di cocaina) il lunedì
prossimo (cioè il 10.1.2011): è chiaro come sul punto la motivazione della sentenza
impugnata (a pag. 108) sia incorsa in un vero e proprio travisamento probatorio: del
resto e, a conferma di tale emergenza, si deve constatare come il D’Uva sia stato assolto
perché il fatto non sussiste dallo speculare reato ascrittogli al capo 4/6 già dal Giudice di
primo grado.
Le censure predette sono, invece, destituite di fondamento in relazione ai residui capi 4,
4/1, 4/3 e 4/8, rientrando nell’ampia preclusione vigente in questa sede (sopra
evidenziata) della pretesa rivalutazione del materiale probatorio.
E’ appena il caso di rilevare, a fronte di quanto eccepito al riguardo dal ricorso dei due
Marte (v. supra sub 4.4.), che il riconoscimento dell’ipotesi attenuata di cui al V comma
dell’art. 73 dPR 309/1990 in relazione al Surace, non implica che il medesimo fatto
descritto nel capo 20/2 (contestato

91

Surace) e in quello 3/3 (ascritto a Marte Antonio)

debba comportare necessariamente’ il riconoscimento della medesima ipotesi attenuata
anche per Marte Antonio la cui posizione non è palesemente parificabile a quella del
Surace per via del maggior numero dei reati contestatigli tra cui anche quello associativo
ed il suo ruolo di rifornitore di stupefacente: del resto, la rilevanza dell’unico reato per il
quale si pone la questione, sostanzialmente si dissolve in relazione all’entità complessiva
dell’aumento operato per la continuazione: del resto, non è censurabile dalla Corte di
Cassazione la sentenza impugnata per non essersi posto di ufficio il problema se fosse
concedibile l’attenuante (ora ipotesi, autonoma) di cui all’art. 73, comma quinto, d.P.R.
n.309/90 (Cass. pen. Sez. VI, n. 404,1 del 20.1.1994, Rv. 197971).
14

sono utilizzabili a fini di prova le dichiarazioni spontanee rese dalla persona sottoposta

Consegue l’annullamento della sentenza impugnata nei confronti di Pizzata Saverio
Salvatore, Marte Antonio e Marte Pasquale limitatamente al capo 4/5 con rinvio sul punto
alla Corte di appello di Bologna.

21. Sono infondati i ricorsi di D’Uva Giuseppe, Lauro Ciaccio Michele, Strangio Maria,
Bottoni Marco e Panetta Armando.
Richiamate le osservazioni sopra anticipate in ordine a talune censure mosse con i ricorsi
di Lauro Ciaccio Michele, Strangio Maria, Bottoni Marco e Panetta Armando, si osserva

21.1. Quanto alla censura con la quale ci si duole del mancato riconoscimento
dell’attenuante di cui all’art. 114 c.p., addotta oltre che dalla Strangio (sub 6.5.) anche
da Bottoni Marco (sub 7.3.), la stessa è reiterativa di analoga doglianza rappresentata in
sede di appello e da quel giudice disattesa con motivazione ampia e congrua (pagg. 80 e
120 sent.), avendo rilevato il contributo significativo apportato dalla Strangio
all’esecuzione del programma del pactum sceleris eseguendo anche un trasporto di
stupefacente ed il ruolo fondamentale svolto dal Bottoni che aveva messo a disposizione
la propria abitazione per custodirvi la droga.

21.2. Anche le censure concernenti il mancato riconoscimento dell’attenuante di cui
all’art. 73 comma 7 dPR 309/1990 sollevate da Panetta Armando (sub 14.2) e D’Uva
Giuseppe (sub 13.1.), sono reiterative di analoghe doglianze dedotte in appello e
disattese dalla Corte territoriale con motivazioni del tutto congrue e corrette con cui si
rilevava la genericità delle dichiarazioni rese da tali imputati e la mancanza di condotte
completamente collaborative (pag. 90 laddove per il D’Uva; e pag. 115 per il Panetta)
delle quali i ricorrenti non sembrano aver tenuto il debito conto: ne consegue
l’aspecificità di dette censure (Cass. pen. Sez. IV, 29.3.2000, n. 5191 Rv. 216473 e
successive conformi, quale: Sez. , II, 15.5.2008 n. 19951, Rv. 240109). Inoltre
l’attenuante di cui all’ art. 73, comma settimo, del d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 esclude
l’applicabilità dell’attenuante prevista dall’ art. 62 n. 6 c. p. (adombrata dal D’uva), in
quanto, contenendo una formula quasi identica ed avendo anche una configurazione più
ampia costituisce norma speciale rspetto all’altra (Cass. pen. Sez. IV, n. 12323 del
27.4.1999 Rv. 215004 e successive conformi).
Analoghe considerazioni valgono in ordine ai motivi sub 13.2. e 13.3. articolati ancora dal
D’Uva.
Quanto al primo, si deve rilevare la correttezza ed esaustività della motivazione svolta
per negare l’unificazione con il vincolo della continuazione dei reati ascritti al D’Uva e
quelli di cui alla sentenza del G.u.p. del Tribunale di Bologna del 14.7.2006,
15

ulteriormente quanto segue.

incentrandolo sulla distanza cronologica tra i reati in questione e l’assenza di elementi
rivelatori di una originaria deliberazione unitaria.
Circa la mancata restituzione del denaro e dei due assegni in sequestro (sub 13.3.), la
Corte territoriale ha spiegato, con dovizia di argomentazioni (pag. 92) del tutto logiche
ed insindacabili in questa sede, le ragioni del diniego assumendo l’omessa allegazione a
parte del D’Uva di elementi univoci e specifici atti a smentire la tesi della natura di
corrispettivo di pregresse cessioni di stupefacente e quindi la presunzione di cui all’art. 12

22. Consegue il rigetto dei ricorsi di D’Uva Giuseppe, Lauro Ciaccio Michele, Strangio
Maria, Bottoni Marco e Panetta Armando e la condanna dei medesimi al pagamento delle
spese processuali.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di PIZZATA Saverio Salvatore, MARTE
Antonio e MARTE Pasquale limitatamente al capo 4/5.
Annulla la medesima sentenza limitatamente al trattamento sanzionatorio nei confronti
di CAVALLO Domenico Pio e SURACE Natale.
Rinvia alla Corte d’appello di Bologna sui punti indicati e rigetta nel resto i ricorsi
proposti dai predetti.
Rigetta i ricorsi proposti da D’UVA Giuseppe, LAURO CIACCIO Michele, STRANGIO Maria,
BOTTONI Marco e PANETTA Armando che condanna al pagamento delle spese
processuali.
Dichiara inammissibili i ricorsi di MARSEGLIA Gianni, PÌSCEDDA Salvatore e ASOFIEI
Dorel Gheorge che condanna al pagamento delle spese processuali e ciascuno alla
somma di € 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 14.5.2015

sexies D.L. 306/92.

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