Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36848 del 17/07/2014


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Penale Sent. Sez. U Num. 36848 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: CONTI GIOVANNI

SENTENZA

sulla richiesta ex art. 625-ter cod. proc. pen. proposta da
Burba Emiljano (o Emiljan), nato in Albania il 14/10/1968

per la rescissione del giudicato derivante dalla sentenza in data 21 aprile 2009
della Corte di appello di Torino

visti gli atti;
udita la relazione svolta dal componente Giovanni Conti;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Carlo Destro, che
ha concluso chiedendo che la richiesta sia dichiarata inammissibile;
udito per il richiedente Emiljano Burba l’avv. Mario Pisani, che ha concluso per
l’accoglimento della richiesta e in subordine per la conversione della stessa quale
richiesta di restituzione nel termine per la impugnazione ai sensi dell’art. 175
cod. proc. pen.

QY-)

Data Udienza: 17/07/2014

I

RITENUTO IN FATTO

1. Con richiesta di rescissione del giudicato proposta ex art. 625-ter cod.
proc. pen. nell’interesse di Emiljano Burba, depositata presso la Corte di
cassazione in data 20 maggio 2014, il difensore e procuratore speciale avv.
Massimo Pisani sollecitava la revoca della sentenza di condanna alla pena
complessiva di 22 anni di reclusione pronunciata – in parziale riforma della

Torino in data 21 aprile 2009, divenuta definitiva per mancata impugnazione.

2. Si precisava che il condannato era stato arrestato in Albania in data 21
aprile 2014 a seguito di domanda di estradizione avanzata dal Governo Italiano
fondata sull’ordine di esecuzione emesso in data 12 dicembre 2009, ex art. 656,
comma 1, cod. proc. pen., dalla Procura Generale presso la Corte di appello di
Torino.

3.

A ragione della richiesta si osservava che, come risultava dalla

documentazione allegata, il Burba non aveva mai avuto conoscenza del
procedimento penale o del provvedimento di condanna, essendo stato ogni atto
notificato secondo il regime della latitanza ai sensi dell’art. 165 cod. proc. pen.
presso il difensore nominato d’ufficio il quale era stato nell’impossibilità di
contattarlo e di instaurare con lui alcun rapporto professionale.
Nella richiesta si formulava riserva di produrre la documentazione relativa
alla procedura estradizionale «allorquando perverrà all’Ufficio Esecuzione della
Procura Generale presso la Corte di appello di Torino».

4. Con decreto in data 29 maggio 2014, il Primo Presidente, rilevato che il
nuovo istituto della rescissione del giudicato previsto dall’art. 625-ter cod. proc.

sentenza in data 22 aprile 2008 del Tribunale di Torino – dalla Corte di appello di

pen., inserito dall’art. 11, comma 5, della legge 28 aprile 2014, n. 67, entrata in
vigore il 17 maggio 2014, implicava la definizione di inedite modalità procedurali
e la soluzione di problemi di diritto intertemporale, aspetti entrambi di speciale
importanza, assegnava il procedimento alle Sezioni Unite penali, a norma
dell’art. 610, comma 2, cod. proc. pen., fissando per la trattazione l’odierna
udienza in camera di consiglio.

90n
2

(

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

Il rimedio della “rescissione del giudicato” è stato introdotto,

contestualmente al superamento del giudizio contumaciale, dalla legge 28 aprile
2014, n. 67, che, con l’art. 11, comma 5, ha inserito nel codice di procedura
penale l’art. 625-ter, recante appunto tale rubrica.
La scarna enunciazione normativa e il carattere inedito dell’istituto
impongono in via preliminare di chiarirne presupposti, formalità, modalità

richiesta.

2. Il soggetto che deve presentare la richiesta «a pena di inammissibilità» è
I’ «interessato», di cui è menzione nel comma 2 dell’art. 625-ter, da intendersi,
come anticipato dal comma 1, il «condannato o il sottoposto a misura di
sicurezza con sentenza passata in giudicato, nei cui confronti si sia proceduto in
assenza per tutta la durata del processo», ovvero, in suo luogo, il «difensore
munito di procura speciale autenticata nelle forme dell’articolo 583, comma 3».
Nella specie la richiesta è stata ritualmente proposta dall’avv. Massimo
Pisani che ha allegato una procura speciale rilasciata in Tirana in data 16 maggio
2014 e legalizzata in data 19 maggio 2014.

3. Il termine entro il quale deve essere proposta la richiesta, a pena di
inammissibilità (sempre in base all’art. 625-ter, comma 2), è quello di «trenta
giorni dall’avvenuta conoscenza del procedimento».
Nella richiesta in esame è precisato che l’interessato ha avuto conoscenza
del procedimento in data 21 aprile 2014, quando egli venne arrestato dalle
autorità albanesi a seguito di richiesta di estradizione dell’autorità italiana.
La richiesta è stata depositata in Corte di cassazione (Cancelleria centrale):
il 27 maggio 2014, e quindi oltre il termine di trenta giorni dall’asserita data di
conoscenza del procedimento. Va peraltro considerato che la legge 28 aprile
2014, n. 67 (pubblicata in G.U. del 2 maggio 2014), che ha introdotto l’art. 625ter cod. proc. pen., è entrata in vigore il 17 maggio 2014, sicché deve ritenersi
che la decorrenza del termine di trenta giorni non possa comunque collocarsi
prima di tale data.

4. In assenza di una specifica indicazione normativa al riguardo, potrebbe
pensarsi che la richiesta debba appunto essere depositata in Corte di cassazione
(al pari di quanto previsto per il ricorso straordinario per errore di fatto ex art.
625-bis, comma 2, cod. proc. pen.).
3

applicative ed effetti decisori, anche al fine di vagliare la ritualità della presente

Tuttavia, nonostante si verta qui in una procedura che trae formalmente
impulso da una richiesta diretta alla Corte di cassazione, a ben vedere deve
ritenersi che sia applicabile (come sostenuto dai primi commentatori) l’art. 582
cod. proc. pen., che fa riferimento come luogo di presentazione alla «cancelleria
del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato», da intendere in questo
caso come “cancelleria del giudice la cui sentenza è stata posta in esecuzione”. Il
richiamo alle regole generali concernenti la presentazione delle impugnazioni
appare infatti avvalorato dal riferimento fatto nel comma 2 dell’art. 625-ter

dell’autenticazione della sottoscrizione dell’atto.
In ogni caso, non pare possano sussistere dubbi circa la natura di mezzo di
impugnazione (straordinario) della richiesta in esame, dato che con essa – non
diversamente da altro mezzo di impugnazione straordinario attivato tramite la
formalità di una richiesta, quello della revisione ex art. 630 cod. proc. pen. – è
perseguito l’obiettivo del travolgimento del giudicato e – in questo caso l’instaurazione ab initio del processo.
Del resto, in un’altra evenienza in cui la Corte di cassazione è investita di
una richiesta (e non di un ricorso), quello della rimessione del processo ex art.
45 cod. proc. pen., una specifica norma (art. 46, comma 1, cod. proc. pen.)
prescrive che la richiesta «è depositata, con i documenti che vi si riferiscono,
nella cancelleria del giudice» e poi che il giudice «trasmette immediatamente alla
Corte di cassazione la richiesta con i documenti allegati e con eventuali
osservazioni».
Questa appare essere la procedura più appropriata anche per la rescissione
del giudicato, dato che essa presuppone inevitabilmente l’esame degli atti del
procedimento di merito.
Va peraltro chiarito che, pur essendo stabilito – come subito si preciserà un onere probatorio in capo al richiedente, che implica l’allegazione di una
documentazione a sostegno, deve escludersi che sia inibita alla Corte di
cassazione l’acquisizione, eventualmente anche in sede di esame preliminare, di
documentazione integrativa, potendo essere necessario chiarire aspetti ambigui
o colmare possibili lacune o verificare la rispondenza della documentazione
esibita alla realtà processuale.
Nella specie, come detto, la richiesta è stata irritualmente depositata presso
la Corte di cassazione. Da ciò deriva un primo profilo di inammissibilità ex art.
591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., che non esime però le Sezioni Unite
dallo sviluppare ulteriori rilievi sulla esaminabilità della richiesta, in
considerazione dello speciale compito nomofilattico ad essa assegnato in

4

all’art. 583, comma 3, cod. proc. pen., sia pure ai fini della formalità

presenza di un istituto affatto inedito, quale quello delineato dall’art. 625-ter
cod. proc. pen.

5. La rescissione del giudicato può essere disposta solo a condizione che il
condannato «provi che l’assenza è stata dovuta ad una incolpevole mancata
conoscenza della celebrazione del processo». Da ciò, come detto, è ricavabile un
onere a carico del richiedente di allegazione della documentazione a sostegno,
che nella specie è stato formalmente assolto.
Dunque, diversamente dalla disciplina della restituzione nel termine per

proporre impugnazione di cui all’art. 175 cod. proc. pen. – come novellata
nell’anno 2005 a seguito delle ripetute condanne della Corte EDU (per tutte,
sent. 10/11/2004, Sejdovic c. Italia) – in questo nuovo rimedio a favore del
condannato grava sullo stesso l’onere di provare la mancata conoscenza del
processo a suo carico.
La previsione appare avere una sua plausibilità, in ragione degli specifici
accertamenti ora demandati al giudice ai fini della verifica dei presupposti per la
dichiarazione di assenza di cui al novellato art. 420-bis cod. proc. pen.

6. A differenza da quanto previsto per il ricorso straordinario per errore di
fatto (art. 625-bis cod. proc. pen.) nella disciplina in esame manca una
specificazione circa la procedura da seguire davanti alla Corte di cassazione.
Potrebbe ritenersi dunque alternativamente che la Corte di cassazione: a)
decida de plano (senza acquisire il parere del Procuratore Generale); b) decida in
camera di consiglio non partecipata ex art. 611 cod. proc. pen.; c) decida in
camera di consiglio partecipata ex art. 127 cod. proc. pen.; d) decida in udienza
pubblica.
Ad avviso delle Sezioni Unite, la soluzione sub a), in analogia a quanto
previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen., può essere seguita solo se il prevedibile
esito della richiesta sia di inammissibilità o di manifesta infondatezza,
subordinatamente dunque a una sommaria valutazione in tal senso in sede di
esame preliminare da parte del Primo Presidente ex art. 610, comma 3, cod.
proc. pen, essendo invece logicamente incompatibile una simile procedura ove
essa debba sfociare in un accoglimento della richiesta con conseguente revoca
della sentenza passata in giudicato ex art. 625-ter, comma 3, cod. proc. pen.
Di regola, tuttavia, in mancanza di specificazioni normative, deve ritenersi
che la Corte di cassazione decida in camera di consiglio senza intervento delle
parti, ex art. 611 cod. proc. pen., esclusa dunque la forma camerale partecipata
ex art. 127 cod. proc. pen. e, tanto più, quella della udienza pubblica (v. al

5

9-

19-

-” (

riguardo, per considerazioni generali in tema di rito camerale in Corte di
cassazione, Sez. U, n. 9857 del 30/10/2008, dep. 2009, Manesi, Rv. 242291.
Va peraltro dato atto che l’assoluta novità del caso ha indotto il Primo
Presidente a disporre la trattazione del presente procedimento davanti alle
Sezioni Unite nella forma della camera di consiglio partecipata.

7. Pur non essendo stata sollecitata nel caso in esame dal richiedente,
appare opportuno chiarire se una sospensione provvisoria dell’esecuzione possa

periodo, cod. proc. pen., per i “casi di eccezionale gravità”.
Il mero rilievo che una simile possibilità non è contemplata dall’art. 625-ter
non può condurre ad escluderla, a pena di determinare il rischio di evidenti
lesioni di aspettative del richiedente, incidenti sulla libertà personale, che
appaiano prima facie fondate.
Si ritiene dunque in proposito ineludibile una interpretazione “di sistema”,
basata cioè sui casi che presentano un’analoga ratio: oltre all’art. 625-bis,
prevedono infatti la possibilità di una sospensione della esecuzione gli artt. 666,
comma 7, e 670, comma 2, cod. proc. pen.

8. Va ora presa specificamente in esame la richiesta proposta da Emiljano
Burba, il che presuppone, preliminarmente al merito, di definire l’ambito di
applicabilità del nuovo istituto.
8.1. L’art. 625-ter, comma 1, prevede che la richiesta possa essere
presentata dal condannato «nei cui confronti si sia proceduto in assenza per
tutta la durata del processo».
La disposizione non può dunque riguardare un “contumace” quale è stato
dichiarato il richiedente nel processo a suo carico.
Quanto all’imputato “assente”, situazione che comunque non attiene al caso
in esame, il riferimento non può che essere indirizzato alla nuova figura
dell’assente (art. 420-bis, come sostituito dalla legge n. 67 del 2014), dato che
in precedenza tale era solo l’imputato che avesse espressamente consentito a
che il processo si svolgesse senza la sua presenza o l’imputato detenuto che
avesse rifiutato di assistervi (v. previgente art.

420-quinquies),

da ciò

derivandone la sicura conoscenza del procedimento.
Per i processi definiti, anche solo nei gradi di merito, antecedentemente alla
entrata in vigore della legge n. 67 del 2014 non può dunque profilarsi, in
mancanza di espresse previsioni normative, alcuna questione di diritto
intertemporale, essendo evidente che essi, svoltisi secondo il regime
contumaciale o secondo quello della assenza, come anteriormente disciplinati,
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essere disposta, al pari di quanto previsto dall’art. 625-bis, comma 2, secondo

non potrebbero risentire del jus superveniens, che si riferisce esplicitamente a un
imputato “assente” nei termini definiti dalla nuova disciplina.
Disposizioni di carattere intertemporale sono contenute nel d.d.l. n. S.1517,
all’atto della presente decisione in corso di esame da parte del Senato nel testo
approvato dalla Camera (atto C.2344), che è il caso di menzionare solo per una
conferma della volontà del legislatore di non rendere retroattiva la nuova
disciplina, prevedendosi anzi in esso che questa sia applicale ai soli processi in
corso nei quali non sia stata già dichiarata la contumacia e comunque non oltre

8.2. Consegue che, anche per tale ragione, la richiesta, diretta ad ottenere
un esito, quello della rescissione del giudicato, di cui mancano i presupposti
applicativi, va valutata come inammissibile.

9. L’avv. Pisani, alla odierna udienza, ha chiesto in subordine di qualificare la
richiesta come diretta alla restituzione nel termine per proporre impugnazione ai
sensi dell’art. 175 cod. proc. pen.
9.1. Questa subordinata richiesta presuppone che, per i procedimenti svoltisi
secondo il rito contumaciale prima della entrata in vigore della legge n. 67 del
2014, la disciplina della restituzione nel termine di cui all’art. 175, comma 2,
cod. proc. pen. – nel testo previgente – abbia efficacia ultrattiva ovvero, secondo
una inversa e forse preferibile prospettiva concettuale, che la cessazione di
operatività di detta disciplina coincida con l’applicabilità della nuova normativa
sul procedimento in assenza.
Ora, come è stato posto in evidenza, detta nuova disciplina sul
procedimento in assenza, e in particolare il rimedio della rescissione del giudicato
di cui all’art. 625-ter cod. proc. pen., si rivolge espressamente a regolare gli
effetti di atti processuali posteriori alla sua entrata in vigore, con la conseguenza
che a regolare gli effetti degli atti processuali precedenti non possono che
provvedere le disposizioni vigenti al momento della loro verificazione.

la decisione di primo grado.

Corrisponde del resto alla comune riflessione giuridica l’assunto per cui,
dovendosi distinguere la sfera di vigenza delle disposizioni dalla sfera di efficacia
(vale a dire, di applicabilità) delle norme, il fenomeno abrogativo, in mancanza di
espresse previsioni in senso diverso – ascrivibili alla ipotesi della abrogazione c.d.
“retroattiva” – non importa la cessazione dell’efficacia delle norme abrogate ma
soltanto la loro incapacità di regolare situazioni nuove.
9.2. Ciò precisato, la subordinata domanda avanzata dall’avv. Pisani in
udienza è inammissibile, in quanto, pur avendo una causa petendi

quella della

asserita non conoscenza da parte di Burba del procedimento penale a suo carico
– comune a quella su cui si fonda la richiesta formalmente depositata, essa è
7
‘*”(

radicalmente avulsa dal petitum in quest’ultima precisato, diretto esclusivamente
alla rescissione del giudicato ex art. 625-ter cod. proc. pen. con conseguente
richiesta di revoca della sentenza di appello e di trasmissione degli atti al giudice
di primo grado.
Una simile diversa richiesta potrà del resto essere successivamente
presentata, non risultando essere allo stato superato il termine per la sua
proposizione, decorrente, per un soggetto nei cui confronti, come si sostiene, è
stata formulata domanda di estradizione, dalla sua consegna all’autorità

E’ poi appena il caso di sottolineare che la richiesta non potrebbe nemmeno
essere qualificata come incidente di esecuzione ai sensi dell’art. 670 cod. proc.
pen., posto che il richiedente non fa questione della esistenza di un valido titolo
esecutivo, anzi lo presuppone chiedendone la invalidazione solo sulla base
dell’assunto della mancata conoscenza del procedimento.

10. Devono essere dunque conclusivamente enunciati i seguenti principi di
diritto:
“La richiesta finalizzata alla rescissione del giudicato, di cui all’art.

625-ter

cod. proc. pen., che per la sua natura di mezzo di impugnazione deve essere
depositata nella cancelleria del giudice di merito la cui sentenza è stata posta in
esecuzione con allegazione dei documenti a sostegno, e che è esaminata dalla
Corte di cassazione secondo la procedura camerale di cui all’art. 611 cod. proc.
pen., si applica solo ai procedimenti nei quali è stata dichiarata l’assenza
dell’imputato a norma dell’art. 420-bis cod. proc. pen., come modificato dalla
legge 28 aprile 2014, n. 67”.
“Ai procedimenti contumaciali trattati secondo la normativa antecedente alla
entrata in vigore della legge 28 aprile 2014, n. 67, continua ad applicarsi la
disciplina della restituzione nel termine per proporre impugnazione dettata
dall’art. 175, comma 2, cod. proc. pen. nel testo previgente”.

11. Alla dichiarazione di inammissibilità consegue, in base alla generale
previsione dell’art. 592 cod. proc. pen. – attesa, come detto, la natura di mezzo
di impugnazione straordinario della richiesta in esame – la condanna al
pagamento delle spese processuali.

8

giudiziaria italiana (art. 175, comma 2-bis, secondo periodo, cod. proc. pen.).

P.Q.M.

Dichiara la richiesta inammissibile e condanna il richiedente al pagamento
delle spese processuali.

Così deciso il 17/07/2014.

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