Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36847 del 28/06/2018


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 36847 Anno 2018
Presidente: FIDELBO GIORGIO
Relatore: CALVANESE ERSILIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Martikova Michaela, nata nella Repubblica Ceca il 24/04/1967

avverso la sentenza del 25/01/2018 della Corte di appello di Roma

visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Ersilia Calvanese;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Luca Tannpieri, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore, avv. Guido Cardinali, che ha concluso per l’accoglimento dei
motivi, depositando istanza di liquidazione degli onorari.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Roma
dichiarava la sussistenza delle condizioni per l’accoglimento della domanda
estradizionale a fini esecutivi, presentata dal Governo della Repubblica Ceca nei
confronti di Nichiaela Martinkova.

Data Udienza: 28/06/2018

2. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione
l’interessata, a mezzo del suo difensore, deducendo i motivi di seguito enunciati
nei limiti di cui all’art. 173, disp. att. cod. proc. pen.:
– violazione di legge in relazione agli artt. 705, comma 2, lett. a), cod. proc.
pen. e 8 CEDU, non avendo considerato la Corte di appello le documentate e
gravi condizioni di salute in cui versava il convivente e compagno della ricorrente
(invalido civile), al quale quest’ultima prestava quotidiana assistenza materiale,
essendo impossibilitato economicamente a rivolgersi ad assistenza esterna; ai

privata sia bilanciata a determinati interessi pubblici (sicurezza nazionale e
pubblica, benessere economico), nella specie soccombenti rispetto alle primarie
esigenze evidenziate dalla ricorrente;
– violazione di legge in relazione agli artt. 704, comma 2, 698, comma 1,
705, comma 2, lett. a) e c) cod. proc. pen., in relazione all’art. 3 CEDU e agli
artt. 7 e 10 del Patto Internazionale sui diritti civili e politici, in quanto la Corte di
appello, pur essendo notoria la situazione di sovraffollamento e di violazione dei
diritti umani in istituti carcerari nella Repubblica ceca, non avrebbe assunto le
necessarie informazioni per verificare il trattamento penitenziario al quale sarà
sottoposta la ricorrente nello Stato richiedente.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile in ogni sua articolazione, per le ragioni di
seguito illustrate.

2. Il primo motivo non ha fondamento alcuno.
La tutela invocata dalla ricorrente non trova accoglimento neppure nel
sistema nazionale, nel quale anche l’istituto della detenzione domiciliare, che una
finalità essenzialmente umanitaria ed assistenziale, pur nella varietà delle ipotesi
previste, non contempla la situazione esposta nel ricorso.
D’altra parte, come ricorda la stessa ricorrente, l’esigenza dalla stessa
rappresentata non trova tutela assoluta neppure nelle fonti sovranazionali.
La giurisprudenza europea ha affermato da tempo che ogni sanzione penale
detentiva interferisce per sua stessa natura con i diritti tutelati dall’art. 8 CEDU e
che una generale limitazione dei diritti garantiti dalla suddetta norma
convenzionale non viola la suddetta previsione, visto che i diritti sanciti da tale
articolo non hanno natura assoluta (tra tante, Nowicka c. Polonia, 3/12/2002, §
71).

2

fini dell’art. 8 CEDU, sarebbe pur sempre necessario che l’interferenza nella vita

Quanto all’estradizione, questa Corte ha più volte affermato che, in
applicazione della Convenzione europea di estradizione, la situazione di difficoltà
e disagio derivante dall’allontanamento dell’estradando dalla sua famiglia
radicata in Italia non integra alcuna delle condizioni ostative all’estradizione
esecutiva, previste dall’art. 705, comma 2, cod. proc. pen. (tra tante, Sez. 6, n.
38137 del 24/09/2008, Vasile, Rv. 241264), spettando in ogni caso al Ministro la
valutazione di opportunità in ordine alla tutela delle situazioni rappresentate
dalla ricorrente.

differente regime accordato ai cittadini U.E., a causa – come nella specie – della
normativa transitoria prevista dalla disciplina sul mandato di arresto europeo, è
stata ritenuta più volte inammissibile dalla Corte costituzionale (sent. n. 274 del
2011; ord. n. 10 del 2012), che ha rilevato in particolare come l’intervento
richiesto dai giudici rimettenti determinerebbe la manipolazione della disciplina
del procedimento di estradizione, prevedendo la possibilità non solo di impedire,
nella fase giurisdizionale, la traditio cui mira l’estradizione, ma anche di eseguire
la pena nel nostro ordinamento, conformemente al diritto interno, inserendo così
nel procedimento di estradizione, un’anticipazione di quanto previsto dalle norme
sul m.a.e.
Anche la recente novella introdotta dal d.lgs. n. 149 del 2017, che ha
modificato l’art. 705 cod. proc. pen., ha escluso la legale possibilità della
estradizione passiva solo per ragioni di salute e o di età riguardanti l’estradando,
in presenza del rischio che la consegna provochi conseguenze di gravità
eccezionale per la sua persona.

2. Il secondo motivo è formulato in modo generico.
La ricorrente, che neppure deduce di aver sollecitato all’udienza davanti alla
Corte di appello un siffatto accertamento, non allega invero alcun argomento a
sostegno della sua censura.
Questa Corte ha invero affermato più volte in tema di estradizione per
l’estero che, ai fini dell’accertamento della condizione ostativa prevista dall’art.
698, comma 1, cod. proc. pen., è onere dell’estradando allegare elementi e
circostanze che la Corte di appello deve valutare, anche attraverso la richiesta di
informazioni complementari, al fine di accertare se, nel caso concreto,
l’interessato sarà alla consegna sottoposto, o meno, ad un trattamento inumano
o degradante, fatti salvi i casi in cui si versi in una situazione obiettiva già
rilevata da decisioni di legittimità (Sez. 6, n. 8529 del 13/01/2017, Fodorean,
Rv. 269201).

3

Va segnalato ancora come la questione di legittimità costituzionale del

Ebbene, nel caso all’esame della Corte, la ricorrente, al di là del richiamo al
fatto “notorio” attestato da numerose procedure instaurate davanti alla Corte
EDU in relazione alla situazione carceraria esistente nello Stato richiedente, non
ha allegato alcun elemento sul quale poter fondare una ragionevole affermazione
della esistenza di un pericolo, ancorché soltanto ipotetico, di trattamento
inumano e degradante del consegnando nello Stato emittente; non risulta infatti
indicata alcuna fonte conoscitiva qualificata, quali decisioni, relazioni e altri
documenti predisposti da Organi del Consiglio d’Europa o appartenenti al sistema

trattamento riservato ai detenuti nelle carceri in questione.
Per contro, è sufficiente rilevare che dalle informazioni ufficiali pubblicate sul
sito della Corte EDU(www.echr.coe.int/Documents/CP Czech_Republic ENG.pdf)
non risultano segnalate violazioni dell’art. 3 CEDU da parte dello Stato
richiedente.

3. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
La ricorrente deve, pertanto, essere condannata, ai sensi dell’art. 616 cod.
proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13
giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso
siano stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa
di inammissibilità”, deve, altresì, disporsi che la ricorrente versi la somma,
determinata in via equitativa, di duemila euro, in favore della cassa delle
ammende.
La Cancelleria provvederà alle comunicazioni di rito.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle
ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 203 disp. att. cod.
proc. pen.
Così deciso il 28/06/2018.

della Nazioni Unite che abbia in qualche modo stigmatizzato in termini negativi il

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