Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36834 del 15/05/2018


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 36834 Anno 2018
Presidente: ROTUNDO VINCENZO
Relatore: VIGNA MARIA SABINA

SENTENZA
sul ricorso proposto dal
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo
nel procedimento a carico di:
MANGIAPANE VINCENZO nato il 29/04/1954 a Cammarata
avverso l’ordinanza del 08/02/2018 del Tribunale del riesame di Palermo
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Maria Sabina Vigna;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Mariella
De Masellis, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio del
provvedimento impugnato.
Uditi i difensori, avvocato Salvatore Gugino che ha chiesto l’inammissibilita’ del
ricorso del PM. e avvocato Danilo Giracello il quale si è associato alle richieste del
codifensore.

1

Data Udienza: 15/05/2018

RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale del riesame di Palermo ha annullato
l’ordinanza del G.i.p. di Palermo con la quale era stata applicata a Mangiapane
Vincenzo la misura cautelare della custodia cautelare in carcere in ordine al reato
di cui all’art. 416-

Nostra,

bis

cod. pen. per avere fatto parte dell’associazione

Cosa

quale esponente di vertice della famiglia mafiosa di Cammarata, per

essersi messo a totale disposizione della organizzazione mafiosa, mantenendo i
contatti, organizzando e partecipando a numerosi incontri e riunioni con altri

comunicazioni con soggetti di vertice dell’organizzazione sia nella provincia di
Agrigento che di Caltanissetta Palermo, partecipando direttamente ad attività
delittuose allo scopo di finanziare l’attività illecita di

Cosa Nostra.

1.1. Il Collegio della cautela ha evidenziato che nessuna delle condotte
contestate trovava fondamento negli esiti dell’attività di indagine espletata e che
mancavano i gravi indizi di colpevolezza in ordine al concreto contributo fornito
da Mangiapane avente effettiva rilevanza causale, ai fini della conservazione o
del rafforzamento dell’associazione.

2. Avverso l’ordinanza ricorre il Procuratore della Repubblica presso il
Tribunale di Palermo il quale deduce:
2.1. Vizio di motivazione con riguardo alle complessive risultanze probatorie.
2.1.1. Il Tribunale del riesame non ha valutato alcuni segmenti del colloquio
con Giambrone, in ordine all’estorsione in danno della Cogen s.r.I., pur
apparendo gli stessi altamente indiziari nella parte in cui Giambrone fa
riferimento al noto esponente mafioso Falsone Giuseppe, con ciò dando una
chiara matrice mafiosa alla conversazione.
2.1.2. Il Tribunale non ha, inoltre, conferito rilievo alla circostanza che sia
Giambrone che Mangiapane usano il termine «nostro» nel discutere della
«competenza territoriale», che, secondo le logiche della consorteria mafiosa, li
avrebbe legittimati a ricevere il pizzo.
2.1.3. Il Tribunale del riesame ha sottovalutato la partecipazione del
ricorrente alla riunione tra elementi di spicco della consorteria.
2.1.4. Il Collegio della cautela mostra di non avere considerato l’elevata
portata indiziaria delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Quaranta
Giuseppe, il quale nel corso dell’interrogatorio del 29 gennaio 2018, nel riferire in
ordine alla famiglia mafiosa di Cammarata, ha dichiarato: «a Cammarata ci sono
pure Giambrone Calogerino, Giambrone Angelo e i Mangiapane che girano;
Giambrone Calogerino, in particolare, è ovunque».

2

membri dell’organizzazione mafiosa, consentendo il continuo scambio di

2.2. Violazione di legge in relazione agli artt. 416 bis cod. pen., 273 e 192
cod. proc. pen..
In sede cautelare è sufficiente l’emersione di qualunque elemento probatorio
idoneo a fondare una qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato.
Il Tribunale del riesame è incorso nell’errore di diritto costituito dalla
violazione del principio della valutazione unitaria della prova, essendosi limitato
ad una valutazione autonoma dei singoli elementi probatori.

1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni che saranno di seguito indicate.

2. Il primo motivo è generico perché non si confronta con le adeguate
motivazioni fornite dal Tribunale del riesame, con ciò omettendo di assolvere la
tipica funzione di una critica argomentata avverso la ordinanza oggetto di ricorso
(Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone e altri, Rv. 243838); per altro verso,
sollecita una rivalutazione di puro merito delle emergenze di indagine, non
consentita a questa Corte di legittimità

(ex plurimis Sez. U, n. 47289 del

24/09/2003, Petrella, Rv. 226074).
2.1. Ed, in particolare, il Collegio della cautela correttamente sottolinea che
dagli atti di indagine non risulta che Mangiapane abbia mai consentito il
«continuo scambio di comunicazioni con soggetti di vertice dell’organizzazione» o
abbia partecipato direttamente ad attività delittuose allo scopo di finanziare
l’attività illecita di Cosa Nostra, come indicato nel capo di incolpazione, né al
predetto è contestato alcun reato fine.
2.3. Con riferimento, poi, al settore delle estorsioni, il Tribunale evidenzia
puntualmente che non emerge da alcun atto istruttorio che l’indagato fosse
costantemente al corrente dell’attività estorsiva posta in essere dalla famiglia di
Cammarata in danno della impresa Cogen s.r.I., impegnata in quel territorio per
conto della società per azioni Reti Ferroviaria Italiana.
Quanto alla conversazione telefonica nel corso della quale Giambrone
Calogero, cognato dell’indagato, informava quest’ultimo in ordine ad un’attività
estorsiva posta in essere in pregiudizio della Cogen s.r.l. (vicenda descritta al
capo C) dell’incolpazione, ma non contestata all’odierno indagato), con
motivazione saldamente ancorata alle emergenze investigative, il Tribunale del
riesame evidenzia che, a fronte di tali confidenze, l’indagato si limitava ad
assumere un atteggiamento meramente passivo e a rispondere con una frase
(«non li cerchiamo») dalla quale si comprendeva certamente che aveva ben

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CONSIDERATO IN DIRITTO

presente che si stava parlando di un estorsione e che era sicuramente a
conoscenza della ripartizione territoriale tra le famiglie nel settore estorsivo.
Il Tribunale non sottovaluta -come sostenuto dal Pubblico ministero – tale
conversazione ma sottolinea congruamente che, per quanto indicativa di un
rapporto fiduciario tra Giambrone e l’indagato, non appare di per sé gravemente
indiziaria dell’inserimento dello stesso all’interno del sodalizio.
La valutazione non potrebbe essere diversa anche tenendo conto che nel
corso della conversazione, Giambrone fa il nome del noto esponente mafioso

E, comunque, con una valutazione del tutto logica e congruente, il Collegio
della cautela rimarca che, al di là della mera adesione morale all’iniziativa illecita
assunta da Giambrone, non risulta che l’indagato abbia apportato alcun
contributo materiale per la realizzazione né dell’estorsione in esame, né di altro
reato analogo.
In ogni caso, essendo l’unica conversazione avente ad oggetto la vicenda
estorsiva in pregiudizio della Cogen s.r.I., con una valutazione del tutto logica e
congruente, il Collegio della cautela ha ritenuto che non si potesse sostenere che
il ricorrente fosse costantemente informato sull’andamento delle estorsioni.
2.4. Il Tribunale del riesame ha, poi, correttamente evidenziato che non
risultava neppure che l’indagato avesse partecipato a riunioni tra mafiosi; vi era
stato un unico incontro casuale per strada con Giambrone e Consiglio Roberto
avente ad oggetto il mancato pagamento di alcune macchine agricole.
2.5. Quanto alla partecipazione all’incontro tra Gattuso, Scozzari, Spoto e
Giambrone, ritenuto indiziante nell’ordinanza impugnata, il Tribunale del
riesame, con motivazione immune da vizi logici, evidenzia che dalla
conversazione captata emergeva che soltanto per caso l’indagato venne invitato
ad unirsi ai predetti soggetti e che la circostanza non fu gradita da Gattuso.
2.6. Deve, sul punto, evidenziarsi che secondo l’orientamento
giurisprudenziale ispirato da una nota sentenza delle Sezioni Unite della Corte di
cassazione (Cass. Sez. U. n. 33748 del 12/7/2005, Mannino, Rv. 231670) nel
quadro di una fattispecie plurisoggettiva come quella descritta dall’art. 416-bis
cod. pen. debba tenersi conto del contributo del singolo partecipante, il quale
non può risolversi in un dato meramente formale, destinato ad essere inteso in
termini puramente astratti, ma deve essere concretamente calato all’interno del
sodalizio esaminato: in tal senso si è rilevato che deve attribuirsi all’elemento
rappresentato dal far parte dell’associazione un significato che ne valorizzi
l’incidenza sull’esistenza e sullo svolgimento dell’attività del sodalizio, cioè un
significato che non si limiti alla statica contemplazione di una qualità, ma si
risolva nell’individuazione di un ruolo dinamico e funzionale.
4

Falsone Giuseppe.

La citata pronuncia ha dunque in tal senso affermato che la condotta di
partecipazione è riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile e organica
compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare, più
che uno «status» di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in
esplicazione del quale l’interessato «prende parte» al fenomeno associativo,
rimanendo a disposizione dell’ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi.
2.7. Con motivazione immune da vizi logici censurabili in questa sede, il
Tribunale del riesame di Palermo ha sottolineato come la partecipazione di

indicatore fattuale tra i quali, esemplificando,

i

comportamenti tenuti nelle

pregresse fasi di «osservazione» e «prova», l’affiliazione rituale, l’investitura
della qualifica di

«uomo d’onore», la commissione di delitti-scopo, oltre a

molteplici, e però significativi,

facta concludentia,

idonei senza alcun

automatismo probatorio a dare la sicura dimostrazione della costante
permanenza del vincolo
2.8. Con motivazione saldamente ancorata alle obiettive risultanze
investigative, il Tribunale del riesame ha, infine, evidenziato che nessuno dei
collaboratori di giustizia escussi ha fatto riferimento all’odierno indagato quale
appartenente alla famiglia di Cammarata—San Giovanni Gemini.
Quaranta Giuseppe (che non ha riconosciuto in foto l’indagato) si è limitato
a dire che a Cammarata «ci sono i Mangiapane che girano»; si tratta di una
considerazione dal contenuto talmente generico da non rivestire alcun valore
indiziante.
In conclusione deve ritenersi che il Procuratore della Repubblica di Palermo
si limiti apoditticamente a riproporre gli argomenti che il Tribunale aveva già
motivatamente respinto, escludendo non illogicamente la gravità indiziaria del
quadro probatorio.

3. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato posto che, alla
luce di quanto sopra evidenziato, il Collegio della cautela, ha correttamente
proceduto ad una valutazione unitaria del fatto (Sez. F, n. 38881 del
30/07/2015, Rv. 264515).
Ed, in particolare, ha accertato, in un primo momento, il livello di gravità e
precisione dei singoli indizi, ciascuno isolatamente considerato, ed ha poi
proceduto al loro esame globale e unitario, senza però riuscire a dissolverne
l’indubbia ambiguità.
Proprio in considerazione dell’accertata impossibilità di fornire una lettura
complessiva del quadro probatorio in grado di chiarirne l’effettiva portata
dimostrativa e la congruenza rispetto al tema d’indagine prospettato dall’accusa

5

Mangiapane all’associazione mafiosa non potesse essere desunta da alcun

nel capo di imputazione, il Collegio della cautela ha correttamente annullato
l’ordinanza del G.i.p..

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso il 15 maggio 2018

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