Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3683 del 11/12/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 3683 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: ANDREAZZA GASTONE

SENTENZA

sul ricorso proposto da : De Simone Nicolino, n. a Mereto di Tomba il
03/02/1959;

avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano in data 07/03/2013;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Gastone Andreazza;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale G. Izzo, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio della
sentenza;

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’Appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di
Milano di condanna di De Simone Nicolino per il reato previsto dall’art. 167,
comma 2, legge 30/06/2003 n. 196 per avere comunicato e fatto pubblicare i
dati personali di Calzolari Simone sulle riviste “Chiamami” e “Contatti”.

2. Ha proposto ricorso l’imputato congiuntamente al proprio amministratore di
sostegno (come tale nominato dal Tribunale di Voghera in data 21 settembre

Data Udienza: 11/12/2013

2011) lamentando in primo luogo la contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato e dai verbali del
procedimento di primo grado e in particolare dall’assunzione della testimonianza
della persona offesa. Premette anzitutto che l’imputato aveva chiesto a due
riviste mensili di annunci erotici di pubblicare una sua inserzione alla ricerca di
prestazioni “hard core” inserendo il numero di telefono intestato alla figlia,

chiamate in risposta agli annunci venivano inoltrate all’ignaro Calzolari. Ciò
posto, rileva che : la persona offesa ha dichiarato di non conoscere
minimamente l’imputato; l’imputato soffre da tempo immemore di disturbi
dell’attenzione e della personalità; l’imputato ha inviato lo stesso testo a due
distinte riviste, accludendo il proprio documento di riconoscimento per essere
certo di essere identificato, da tutto ciò derivando esservi dunque stato mero
errore nella comunicazione del numero di telefono inserito nell’atto; l’imputato
non avrebbe mai potuto trarre alcun vantaggio dalla pubblicazione di un numero
telefonico diverso dal suo ed appartenente ad uno sconosciuto; altrettanto
certamente l’imputato non può avere agito con la finalità, richiesta dalla norma,
di arrecare danno ad altri, non avendo egli mai conosciuto minimamente la
persona offesa, con conseguente mancanza del dolo; di qui la inconfigurabilità
del reato contestato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è fondato quanto al lamentato vizio di motivazione inerente
l’elemento soggettivo del reato addebitato.
Va anzitutto premesso, in linea generale, che anche il numero di utenza
telefonica rientra tra i dati personali come definiti dall’art. 4 lett. b) del d. Igs. n.
106 del 2003 come richiamati dall’art. 167 comma 2 (Sez. 3, 46203 del
23/10/2008, Marchini ed altro, Rv. 241787) e che l’assoggettamento alla norma
in tema di divieto di diffusione di dati sensibili riguarda tutti indistintamente i
soggetti entrati in possesso di dati i quali sono tenuti a rispettare la privacy di
altri soggetti con i primi entrati in contatto, al fine di assicurare un corretto
trattamento di quei dati senza arbitrii o pericolose intrusioni (Sez. 3, n. 21839
del 17/02/2011, R., Rv. 249992).
Non sussistendo, dunque, alcuna questione, del resto neppure sollevata, in
ordine all’elemento oggettivo del reato, va rilevato, quanto all’elemento
soggettivo dello stesso, che l’art. 167, comma 2, del d. Igs. n. 196 del 2003
prevede che la condotta di illecito trattamento dei dati debba essere tenuta “al
2

tuttavia errando nell’inserire l’ultima cifra di detto numero, tanto che tutte le

fine di trarne per sè o per altri profitto o di recare ad altri un danno”, in tal modo
venendo chiaramente configurata la necessaria sussistenza di un dolo specifico
(cfr., Sez.3, n. 30134 del 28/05/2004, Barone, Rv. 229472; Sez. 3, n. 28680 del
26/03/2004, Modena, Rv. 229465). Ne deriva che della sussistenza di un tale
elemento psicologico il giudice debba dare una congrua e logica motivazione.
Nella specie, la Corte milanese ha in primo luogo correttamente posto in rilievo,

che, in virtù di un necessario onere di allegazione, l’imputato è tenuto a fornire
all’ufficio le indicazioni e gli elementi necessari all’accertamento di fatti e
circostanze ignoti che siano idonei, ove riscontrati, a volgere il giudizio in suo
favore, fra i quali anche l’errore di fatto, Sez. 2, n. 20171 del 07/02/2013, Weng
e altro, Rv. 255916), che l’imputato non ha neppure offerto gli estremi del
numero di telefono che avrebbe voluto far pubblicare in luogo di quello
pretesamente inserito per errore, non consentendo così neppure di verificare,
per la somiglianza o meno dei due numeri, il fondamento dell’errore in cui egli
sarebbe incorso.
Quanto però alla sussistenza del dolo specifico, la sentenza impugnata ha
ritenuto, testualmente, che “l’elemento soggettivo, una volta appurato che De
Simone non conosceva Calzolari e quindi ignorava se i messaggi erotici fossero
graditi, va oltre la pura coscienza e volontà e si arricchisce di un ovvio aspetto di
finalizzazione specifica necessariamente tenuto presente dall’agente”; parrebbe,
dunque, che la Corte territoriale abbia tratto la prova della finalità in particolare
di danneggiare la persona offesa dal fatto che quest’ultima non era conosciuta
dall’imputato, in tal modo, tuttavia, pervenendo a desumere il dolo specifico,
ovvero la finalità di danneggiare il terzo, dalla sussistenza, in realtà, del ben
diverso dolo eventuale, ovverossia l’accettazione del rischio che si potesse
danneggiare il terzo stesso, di cui non era, infatti, come specificato dalla stessa
Corte, conosciuto il gradimento circa la ricezione di messaggi erotici.
Sennonché, così facendo, da un lato la sentenza parrebbe confondere due
concetti (dolo specifico e dolo eventuale) tra loro ben diversi e, dall’altro, non
parrebbe comunque tenere conto del fatto che, come già affermato più volte da
questa Corte, la strutturale intenzionalità finalistica della condotta tipica rende
incompatibile la forma del dolo eventuale, che postula l’accettazione solo in via
ipotetica, seppure avverabile, del conseguimento di un risultato (vedi, con
riferimento al reato di cui all’art. 285 c.p., Sez. 2, n. 25436 del 06/06/2007, P.G.
in proc. Lauro, Rv. 237153; con riferimento al reato di cui all’art. 422 c.p., Sez.
1, n. 5914 del 29/01/1990, Cicuttini, Rv. 184126; Sez.1, n. 11074 del
05/07/1998, Capone, Rv. 179714).
3

sul presupposto di un onere in tal senso di De Simone (vedi, infatti, nel senso

La sentenza impugnata va pertanto annullata sul punto con rinvio ad altra
sezione della Corte d’Appello di Milano per nuovo giudizio che tenga conto,
quanto alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, di quanto appena
evidenziato.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di
Milano.
Così deciso in Roma, 1’11 dicembre 2013
Il Con 2Iier est.

Il Presidente

P.Q.M.

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