Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36825 del 03/07/2018


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 36825 Anno 2018
Presidente: DI STEFANO PIERLUIGI
Relatore: TRONCI ANDREA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
SAVARESE ELISA, nata 1’01/04/1942 a Sorrento

avverso la sentenza del 18/12/2015 della CORTE d’APPELLO di NAPOLI

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;

sentita la relazione svolta dal consigliere Andrea Tronci;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sost. Simone Perelli, che ha concluso
chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;

udito il difensore, avv. Paolo Ciannella, in sostituzione dell’avv. Paolo Cerruti, che
ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1.

Il difensore di fiducia di Elisa SAVARESE propone tempestiva

impugnazione avverso la sentenza indicata in epigrafe, con cui la Corte d’appello
di Napoli, in parziale riforma della pronuncia emessa dal Tribunale di Torre

Data Udienza: 03/07/2018

Annunziata, ha dichiarato estinti per prescrizione i fatti di peculato commessi
dalla prevenuta fino a tutto il 17.10.2002, per il resto confermando la
declaratoria di colpevolezza della stessa, con rideterminazione della pena a suo
carico in misura di anni tre e mesi tre di reclusione. Tanto in relazione alla
somma di cui si appropriava la prevenuta, nelle vesti di dirigente scolastico
dell’Istituto I.T.I.S. ELIA di Castellammare di Stabia, “per stipulare con il gestore
telefonico ‘Wind’ un contratto per il noleggio di sette apparati radiomobili e per
l’abbonamento di tredici schede SIM e per l’abbonamento di tredici schede SIM,

2.

Il legale ricorrente articola quattro motivi a sostegno del proposto ricorso,

che di seguito si sintetizzano, nel rispetto e nei limiti posti dall’art. 173 disp. att.
cod. proc. pen.
2.1

Il primo di essi è incentrato sulla dedotta violazione delle regole di

competenza, nonché sulla carenza e/o contraddittorietà della relativa
motivazione: a fronte di un capo d’accusa connotato da una formulazione
definita “infelice e fuorviante”, atteso che “si indicano, alternativamente, quali
luoghi di consumazione del reato Avellino (luogo di stipula del contratto) e
Castellammare di Stabia (luogo di utilizzo dei telefoni e delle schede)”, la Corte
distrettuale ha “ritenuto fondata la tesi espressa sul punto dal Tribunale di Torre
Annunziata, proponendo una lettura a contrario dell’art. 8 c.p.p.”, asseritamente
non in linea, in realtà, con la “sibillina” motivazione adottata, laddove – in tesi anche ad assumere come riferimento il “traballante schema accusatorio, in tutti i
casi la competenza territoriale si radicherebbe in Avellino”. Ciò in quanto si
assume che, “pur volendo fare riferimento al momento appropriativo della
somma (così come sostenuto dai giudici di merito ma non condiviso affatto dalla
difesa), questo debba, al più, essere individuato nel momento (e nel luogo) in cui
fu stipulato il contratto … perché l’esborso della somma è conseguenza
necessaria ed indefettibile del potere contrattuale posto in capo al dirigente
scolastico e da questi illegittimamente esercitato”; mentre, per il resto, non
sarebbe agevole, avuto riguardo all’oggetto della contestata appropriazione,
individuare con esattezza il luogo di utilizzazione delle

res, con conseguente

ricorso “alle regole suppletive di cui all’art. 9 c.p.p.”., che porterebbero, ancora
una volta, a radicare la competenza in Avellino, luogo di residenza dell’imputata.
2.2 Il secondo profilo di doglianza deduce che la declaratoria di colpevolezza
nei confronti della prevenuta sarebbe fondata “non già sulla dimostrazione
dell’uso privato ed improprio dei telefoni, quanto piuttosto ed unicamente sulla
asserita violazione della procedura amministrativa adottata in relazione alla
stipula del contratto e sulla successiva gestione del sistema di telefonia”: donde

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destinandoli poi ad uso privato”.

la ritenuta violazione di legge, con riferimento al disposto della norma
incriminatrice ex art. 314 cod. pen., e la carenza di motivazione, in relazione al
motivo di appello a suo tempo formalizzato. Con l’ulteriore puntualizzazione che
la violazione di legge, ancorché subordinatamente, viene eccepita anche per via
del mancato inquadramento del fatto in seno alla fattispecie del peculato d’uso,
quale disciplinata dal secondo comma dell’art. 314 cod. pen., con le connesse
implicazioni sul piano del termine prescrizionale da applicarsi nel caso in esame.
2.3 Il tema della corretta qualificazione giuridica della vicenda è altresì al

la pretesa “mancanza di motivazione sul punto” – la omessa “derubricazione del
contestato reato di peculato nel delitto di cui all’art. 323 c.p.”, tenuto conto che
“non ogni condotta di distrazione può costituire peculato, ma solo quelle che si
concretino in una forma di appropriazione, qualora dell’appropriazione se ne
ravvisino concretamente gli elementi caratterizzanti”, qui non sussistenti, al di là
dello sterile ed insufficiente richiamo alla massima di legittimità in cui si si
sostiene essersi risolta la motivazione svolta in proposito dalla Corte partenopea.
2.4 Esaurisce il novero delle doglianze la contestazione della “mancanza di
motivazione in ordine allo specifico motivo di appello con cui veniva chiesta la
riduzione della pena inflitta”, poiché negata sulla scorta del riferimento a
“numerosi e specifici precedenti giudiziari”, che non trova riscontro nello
“immacolato” certificato penale a carico della SAVARESE, risultando così palese
“l’ennesima e vistosa lacuna in punto di motivazione”.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.

Il ricorso è inammissibile, alla stregua delle considerazioni che seguono.

2.

Relativamente alla prima e preliminare questione di rito, dato atto – in

conformità all’osservazione difensiva – della scarsa intelligibilità del riferimento,
operato dalla sentenza impugnata, a contrario, al criterio dettato dall’art. 8 del
codice di rito, ai fini della determinazione della competenza nell’ipotesi di reato
permanente, sta di fatto che, consistendo pacificamente la condotta incriminata
dall’art. 314 cod. pen. nell’appropriazione del denaro o della cosa mobile altrui, è
a tale momento – ed alla connessa interversione del possesso che lo connota che deve aversi riguardo al fine di stabilire la consumazione del reato e, per
l’effetto, la correlata competenza per territorio. Essendo appena il caso di
puntualizzare che i dati che nella fattispecie si desumono dalla concreta
formulazione del capo d’accusa sono espliciti nel significare che i luoghi indicati
concernono quello di conclusione del contratto e quello di utilizzo delle

res che

centro del terzo motivo di censura, con il quale si contesta – anche eccependosi

hanno costituito oggetto del contratto medesimo, onde è in tali limiti che gli
stessi vanno apprezzati.
Tanto premesso, non può che convenirsi con la Corte distrettuale, là
dove, al di là della non coordinata premessa di cui sopra, individua il luogo di
commissione della “condotta significativa della contestata appropriazione,
dell’interversione del possesso”, in quel di Castellammare di Stabia, sede
dell’istituto scolastico di cui l’odierna ricorrente era dirigente e dei cui fondi si è
appropriata, in funzione del pagamento delle fatture emesse dal gestore

telefonia, avente ad oggetto anche quattro linee telefoniche fisse, risultate
estranee alla contestazione (v. pag. 3 della sentenza di primo grado). Mentre la
correlazione ‘contratto – pagamento del corrispettivo’ non riveste affatto la
valenza attribuitale dal difensore ricorrente, poiché l’assunzione dell’obbligazione
pecuniaria non comporta in alcun modo che la provvista per l’adempimento sia
tratta dal denaro pubblico, mediante l’indebita appropriazione dello stesso.
3.

Manifestamente infondata e, insieme, generica è la seconda censura, in

tema di legittimità della statuizione di colpevolezza del’imputata.
L’assunto difensivo omette di considerare che la rilevata carenza di
qualsivoglia “provvedimento amministrativo di carattere autorizzatorio quanto al
contratto di noleggio di telefonia” stipulato dalla SAVARESE s’inserisce su un ben
preciso compendio fattuale, che la sentenza di primo grado ha puntualmente
sintetizzato e che, in assenza di confutazioni di sorta ad opera dell’interessata,
costituisce l’imprescindibile premessa anche del discorso giustificativo sviluppato
dalla Corte partenopea. Premessa consistente nelle seguenti ed indiscusse
circostanze, così come elencate dal Tribunale (e, per vero, richiamate anche
dalla Corte distrettuale, seppur senza la medesima efficacia, anche grafica: v.
pag. 4 della motivazione della sentenza impugnata):
a)

“l’ascrivibilità alla preside SAVARESE della decisione di dotare la scuola di
telefoni cellulari”, essendo il costo del collegamento alla rete di telefonia
fissa assicurato dalla competente Provincia, che pone quindi a disposizione
dell’istituto una somma forfettaria, cui attingere per far fronte alle spese di
funzionamento della scuola (così come alla prevenuta deve ricondursi in via
esclusiva la decisione di disnnettere tredici delle quattordici schede di cui al
succitato contratto, in coincidenza con l’ispezione interna disposta dal
Provveditorato);

b)

“l’inesistenza di qualsivoglia atto formale nel quale la preside giustificasse
tale decisione e la scelta del contraente e precisasse i criteri in base ai quali
si erano individuati il numero delle schede e degli apparecchi da acquistare,
11%

telefonico con cui aveva in precedenza concluso un più ampio contratto di

le ragioni per le quali tali schede ed apparecchi telefonici erano stati
assegnati a determinati soggetti e le modalità dell’utilizzo consentito”;
c)

“l’inesistenza di atti formali di consegna e, successivamente, di restituzione
degli apparecchi cellulari e delle schede” (restituzione avvenuta dopo un
anno – un anno e mezzo dalla loro informale assegnazione, secondo le
dichiarazioni rese dai diretti interessati, diversi dall’odierna ricorrente, e
riportate nella parte motiva della sentenza del primo giudice, pur essendo
continuato a rimanere in vita il contratto di noleggio per la totalità degli

d)

“la rilevante entità (oltre diecimila euro di spesa complessiva) del traffico
telefonico sviluppato dalle utenze della ‘rete’ (specie negli anni 2001-2003)”;

e)

“l’inesistenza di una delibera del Consiglio d’Istituto che – almeno in sede di
approvazione del ‘programma annuale’ – prendesse in specifica
considerazione ed autorizzasse ex professo una spesa così significativa”
(peraltro disposta in assenza di una previa indagine di mercato e, tanto
meno, dell’indizione di un’apposita gara: v. pag. 18 sentenza Tribunale);

f)

“la riconducibilità a SAVARESE Elisa, ABAGNALE Mario, BUONOCORE Ciro ed
ESPOSITO Mario … ” – nell’ordine, dopo l’imputata, docente, assistente
tecnico e custode dell’istituto diretto dalla SAVARESE all’epoca dei fatti – “…
delle utenze mobili dalle quali era stato prodotto il più consistente traffico
telefonico”.
Donde la correttezza e linearità logica della ribadita conclusione di

un’attività svoltasi in assoluto “riserbo”, in quanto “volta a coprire il notevole
depauperamento delle somme in dotazione all’istituto, delle quali la SAVARESE
si era appropriata”, come viepiù confermato, per un verso, dalla ritenuta
inconsistenza della giustificazione fornita dalla ricorrente, di aver inteso così
garantire migliori contatti con i più stretti collaboratori – quale discendente, in
aggiunta alla già evidenziata carenza di regole di utilizzo degli apparecchi, dal
numero esiguo di “conversazioni tra le schede Wind di cui al contratto stipulato
dalla SAVARESE”, come pure dalla documentata, ricorrente effettuazione delle
chiamate, provenienti dalle schede di cui trattasi, “in orari serali o notturni” – e,
per altro verso, dalla riscontrata assenza di rendicontazione delle spese in
questione, “fatte confluire – verosimilmente proprio al fine di evitare qualsivoglia
controllo – nel calderone della generica voce ‘spese telefoniche’, a sua volta
inserita nelle spese di funzionamento ordinario” (ivi, pag. 18). Ciò con cui il
ricorso proposto non si confronta affatto, così legittimando il già enunciato rilievo
di genericità, in aggiunta a quello di manifesta infondatezza della doglianza testé
scrutinata.

apparecchi di telefonia mobile);

4.

Del tutto privi di pregio sono anche i profili, oggetto del secondo e terzo

motivo di ricorso, che ineriscono alla qualificazione giuridica dei fatti.
Quanto al peculato d’uso, ad escludere la possibilità di inquadrare la
presente vicenda in seno al paradigma normativo delineato dall’art. 314 co. 2
cod. pen., sta la constatazione che l’invocata fattispecie si risolve in una forma di
abuso del possesso – giusta l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte,
di cui alla parte motiva della sentenza n. 19054 del 20.12.2012 – dep.
02.05.2013, ric. Vattani ed altro – laddove, nel caso in esame, il possesso non

contrario, la risultante dell’indebito fatto appropriativo allo stesso contestato. Né,
per altro verso, appare minimamente fondato il richiamo al disposto dell’art. 323
cod. pen.
A tale ultimo proposito, lo stesso ricorso dà atto – senza muovere
obiezione alcuna al riguardo – del punto d’approdo dell’elaborazione
giurisprudenziale formatasi dopo la riforma del 1990, secondo cui “Nel delitto di

peculato il concetto di ‘appropriazione’ comprende anche la condotta di
‘distrazione’ in quanto imprimere alla cosa una destinazione diversa da quella
consentita dal titolo del possesso significa esercitare su di essa poteri
tipicamente proprietari e, quindi, impadronirsene” (così, da ultimo, Sez. 6, sent.
n. 25258 del 04.06.2014, Rv. 260070, richiamata anche dalla Corte
distrettuale). Il che – diversamente, questa volta, da quanto opinato dal legale
ricorrente – non esaurisce affatto l’ambito della motivazione della sentenza
impugnata sul punto, atteso che l’enunciato principio di diritto va doverosamente
coordinato con l’affermazione ulteriore e finale del giudice d’appello, adesiva a
quanto già rappresentato dal Tribunale, nel senso che “l’oggetto ‘dissimulato’ del
contratto concluso dall’odierna appellante consisteva in una gestione
assolutamente privatistica degli impianti di telefonia, a spese della Pubblica
Amministrazione … “.
5.

Anche il motivo ultimo, in punto di pena, non sfugge alla identica

valutazione già formulata per i precedenti.
La Corte territoriale ha dato ampiamente conto delle ragioni alla base del
trattamento sanzionatorio adottato nei confronti dell’imputata, nell’ambito del
quale sono stati correttamente apprezzati – come già da parte del Tribunale anche gli specifici precedenti “giudiziari” a carico della SAVARESE che, appunto
perché tali, sono perfettamente compatibili con l’assenza di pregiudizi definitivi
risultante dal certificato penale in atti a carico della prevenuta, essendo anzi
esplicita la pronuncia di primo grado nel significare essere la predetta SAVARESE
“imputata in numerosi processi definiti in primo grado o in corso di trattazione

costituisce il prerequisito della condotta del soggetto agente, bensì, tutt’al

dinanzi alle sezioni collegiali del tribunale di Torre anmnunziata e dinanzi alla
sezione distaccata di Castellammare di Stabia”.
6.

Alla anticipata declaratoria seguono le statuizioni previste dall’art. 616 del

codice di rito, nella misura di giustizia di seguito indicata, quanto alla sanzione
contemplata dalla seconda parte del primo comma della citata disposizione.
P.Q.M.

spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della cassa delle
ammende.
Manda alla cancelleria per le comunicazioni di cui all’art. 154 ter disp. att. cod.
proc. pen.
Così deciso in Roma, il 3 luglio 2018
Il consigliere estensore

IVpresidente

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle

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