Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3681 del 11/12/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 3 Num. 3681 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: ORILIA LORENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MIGLIORE GIOSUE’ N. IL 07/06/1975
avverso la sentenza n. 260/2010 CORTE APPELLO di BRESCIA, del
30/04/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/12/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LORENZO ORILIA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 51,L4
che ha concluso per
asZkuL.-

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 11/12/2013

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza 30.4.2013 la Corte d’Appello di Brescia – per quanto ancora
interessa – ha confermato la colpevolezza del Migliore Giusuè in ordine al reato di cui
agli artt. 81 cpv cp e art. 2 commi 1 bis della legge 638/1983 (omesso versamento di
ritenute previdenziali e assistenziali) in relazione alle omissioni contributive nel periodo
compreso tra gennaio-febbraio 2004, dicembre 2004, gennaio-agosto 2005, ottobre
2005 e gennaio-luglio 2006, rideterminando la pena in mesi cinque e giorni quindici di

condotte perché, risultando contestata la recidiva specifica e reiterata, il termine era
quello decennale (in applicazione della disciplina introdotta dalla legge 251/2005,
ritenuta più favorevole) ed inoltre, dovendosi altresì considerare il periodo di tre mesi
di sospensione legale ai sensi dell’art. 2 comma 1 quater del DL n. 463/1983, la
prescrizione sarebbe maturata in data successiva.
Ha ritenuto invece che per le omissioni contributive riguardanti i mesi di
settembre, novembre e dicembre 2005 era stata già pronunciata condanna con
decreto penale 8.2.2007 emesso dal GIP di Bergamo e quindi, ravvisandosi il ne bis in
idem, andava emessa declaratoria di improcedibilità ex art. 649 cpp.
Quanto al trattamento sanzionatorio, la Corte di merito ha negato le attenuanti
generiche all’imputato e ha ritenuto di non applicare il vincolo della continuazione con
le condotte di cui al decreto penale dell’8.2.2007 (e sanzionate con la sola pena
pecuniaria), perché, pur ravvisandosi l’identità del disegno criminoso, il trattamento
sanzionatorio sarebbe meno favorevole per l’imputato, dovendosi ritenere più gravi i
fatti giudicati con la sentenza oggi impugnata, sicchè sarebbe stato operato un
aumento sulla pena detentiva e su quella pecuniaria. Quanto alla richiesta di
sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria ai sensi dell’art. 53 della legge
689/1981, la Corte di merito, ha rilevato che le dedotte difficoltà economiche,
escludevano in radice una prognosi favorevole circa l’effettiva capacità dell’imputato di
far fronte al pagamento di una sanzione pecuniaria complessiva che, per effetto della
sostituzione, sarebbe divenuta assai ragguardevole.
Infine, ha ritenuto di rimettere la decisione sull’applicazione dell’indulto – pure
invocata – alla fase esecutiva, avendo l’imputato già parzialmente usufruito di tale
istituto e risultando nel certificato penale altre condanne rispetto alle quali esso
potrebbe essere applicato.
2.

Il difensore ricorre per cassazione deducendo sei censure illustrate da

memoria difensiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con la prima censura si denunzia, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. c) e
lett. e) cpp la violazione degli artt. 598 e 599 cpp perché la Corte d’Appello ha trattato
il processo col rito camerale mentre invece avrebbe dovuto seguire il rito ordinario

reclusione e C. 470 di multa. La Corte ha escluso la prescrizione in relazione a tali

perché l’appello non riguardava solo la commisurazione della pena ma anche la
violazione del principio ne bis in idem.
Il motivo è manifestamente infondato perché, secondo la costante
giurisprudenza di questa Corte, nell’ipotesi in cui il giudizio d’appello si svolga nelle
forme del rito camerale fuori dei casi previsti dalla legge, si verifica una nullità relativa
che, a pena di decadenza, deve essere eccepita dalle parti presenti prima che venga
compiuto il primo atto del procedimento o, se non è possibile, subito dopo (tra le

244764; sez. 5, Sentenza n. 26059 del 09/06/2005 Ud. dep. 14/07/2005 Rv. 232101).
Ora, nel caso di specie, il ricorrente non ha dimostrato – e per la verità neppure
dedotto – di avere sollevato tempestivamente l’eccezione nullità e quindi essa deve
ritenersi ormai sanata.
2. Con il secondo motivo si denunzia, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. b), c)
e lett. e) cpp, l’errore di fatto che si riverbera nella decisione e quindi si traduce in
errore di diritto. Rileva in particolare che le mensilità gennaio 2004 febbraio 2004 dicembre 2004, gennaio-agosto 2005 – ottobre 2005 sono coperte da giudicato ovvero
non fanno parte del presente giudizio per cui la sentenza è nulla per ultrapetizione,
occupandosi di fatti non compresi nell’oggetto del giudizio. Gli unici fatti scoperti da
pagamento e conseguente giudicato sarebbero quelli riguardanti il 2006 dal gennaio a
giugno come anche rilevato dal Procuratore Generale.
Il motivo è anch’esso manifestamente infondato.
La Corte di merito ha rilevato che dalla semplice lettura del decreto penale
risultano coperti dal giudicato solo gli omessi versamenti delle mensilità di settembre,
novembre e dicembre 2005 e solo in relazione a tali fatti ha dichiarato non doversi
procedere.
Dall’esame degli atti (che il dedotto error in procedendo consente) ed in
particolare dal certificato penale risulta inoltre che:
– con decreto penale del GIP di Bergamo del 26.11.2005 (esecutivo il
30.4.2006) erano state considerate le omissioni contributive per i mesi ottobre,
novembre e dicembre 2003;
– con sentenza del GUP di Bergamo del 3.4.2007 (irrevocabile 1’8.6.2007) erano
state considerate le omissioni marzo novembre 2004.
3-7. Col terzo motivo si lamenta ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. b), c) e
lett. e) cpp la violazione dell’art. 99 cp e il difetto assoluto di motivazione nonché la
reformatio in peius per mancata concessione della prescrizione.
Secondo la tesi del ricorrente Migliore Giosuè, contrariamente a quanto
affermato dai giudici di appello nella sentenza, la recidiva a lui contestata (peraltro
soltanto nella forma semplice) era stata esclusa dal primo giudice come si evince
chiaramente dal procedimento da lui seguito per il calcolo finale della pena e riportato

3

tante, cfr. Sez. 6, Sentenza n. 38114 del 19/06/2009 Ud. dep. 28/09/2009 Rv.

nella sentenza di primo grado: pertanto, in mancanza di impugnazione del pubblico
ministero, la Corte d’Appello, nel ritenere la recidiva, è incorsa nella violazione del
divieto di

reformatio in peius.

Il motivo va esaminato unitamente al settimo, per evidenti ragioni di
connessione, essendo entrambe le censure finalizzate sostanzialmente ad ottenere
l’applicazione della prescrizione.
Infatti col settimo motivo il ricorrente il ricorrente denunzia ai sensi dell’art. 606

di motivazione nonché il vizio logico e giuridico.
Rileva in particolare che nonostante la richiesta della difesa e del PG , la Corte
d’Appello aveva disatteso la richiesta di prescrizione sulla base di una recidiva che
invece era stata esclusa dal tribunale, violando così il divieto di reformatio in peius.
I due motivi sono fondati.
Effettivamente, dall’esame della sentenza di primo grado risulta che il tribunale
di Bergamo, nell’applicare la pena, non aveva affatto considerato la recidiva (che pure
risultava contestata all’imputato nella forma semplice, come si evince dall’esame del
capo B dell’imputazione): infatti, partendo da una pena base di mesi quattro di
reclusione e C. 400 di multa, aveva operato solo l’aumento per la continuazione sino a
giungere, appunto, alla pena effettivamente irrogata di mesi cinque e giorni quindici di
reclusione e C. 470 di multa (il Tribunale aveva quindi, applicato solo un aumento di
mesi uno e giorni quindici di reclusione nonché di C. 70 di multa, in base alle regole
della continuazione.
Ed allora, di una tale omissione nel meccanismo di calcolo della pena, avrebbe
dovuto dolersi il Pubblico Ministero, attraverso l’impugnazione della sentenza, ma non
risulta invece nessuna doglianza della parte pubblica, sicchè la Corte d’Appello, per il
principio di devoluzione e per non incorrere nella violazione del divieto di reformatio in
peius non avrebbe dovuto ritenere sussistente tale aggravante (e per di più nella
forma specifica e reiterata).
E’ evidente che il vizio di

reformatio in peius si è riverberato anche sul calcolo

della prescrizione perché ha portato a considerare un termine più lungo, non ancora
scaduto alla data della pronuncia della decisione di appello.
Tralasciando, invece, la recidiva, alla data della sentenza di appello (30.4.2013)
risultavano sicuramente prescritte le condotte fino a giugno 2005.
Ai sensi dell’art. 2 quarto comma cod. pen. le norme sulla prescrizione entrate
in vigore per effetto della legge 5.12.2005 n. 251 (modificative degli artt. 157 e ss
cod.pen.) devono ritenersi più favorevoli per l’imputato perché, pur rimanendo
inalterato il termine massimo di sette anni e mezzo (con le interruzioni) per il delitto di
cui si discute in considerazione della pena detentiva massima prevista (cfr. art. 157
cod.pen. nelle sue diverse formulazioni) è però mutato il termine di decorrenza della
4

comma 1 lett. b), c) e lett. e) cpp proprio la violazione dell’art. 157 e ss cp e il difetto

prescrizione per il reato continuato, che non è più quello della cessazione della
continuazione (previsto dall’art. 158 nella vecchia formulazione), ma quello di
commissione di ciascun reato.
Secondo il prevalente orientamento di questa Corte, il reato di omesso
versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali ha natura di reato omissivo
istantaneo per il quale il momento consumativo coincide con la scadenza del termine
utile concesso al datore di lavoro per il versamento ed attualmente fissato, dall’art. 2,

a quello cui si riferiscono i contributi (v., da ultimo, Sez. III n. 20251, 14 maggio
2009). Va poi considerato il periodo di sospensione legale di tre mesi (ai sensi del D.L.
12 settembre 1983, n. 463, art. 2, comma 1 quater, convertito nella L. 11 novembre
1983, n. 638).
Ebbene, partendo, per evidenti ragioni di ordine logico ed assorbente, dalla
violazione della contribuzione per il mese giugno 2005, il momento consumativo va
fatto risalire al 16 luglio 2005 (giorno 16 del mese successivo) e, tenuto contro del
trimestre di sospensione legale, il termine prescrizionale ha iniziato a decorrere il 16
ottobre 2005 sicché, non ravvisandosi altri periodi di sospensione (cfr. atti) il termine
massimo di prescrizione di sette anni e sei mesi è venuto a scadere, per la condotta in
esame, il 16 aprile 2013, cioè anteriormente alla data (30 aprile 2013) in cui è
intervenuta la sentenza della Corte d’Appello oggi impugnata.
A maggior ragione si devono ritenere prescritti gli altri reati commessi in epoca
precedente e unificati col vincolo della continuazione (cioè l’omesso versamento di
contributi per i mesi di gennaio-febbraio 2004, dicembre 2004, gennaio-maggio 2005).
Alla stregua di quanto esposto, oggi risultano prescritte anche le condotte
successive fino al gennaio 2006: la prescrizione di tale ultima condotta è infatti
maturata alla data del 16.11.2013
La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata senza rinvio
limitatamente alle violazioni relative ai suindicati periodi di contribuzione, per essere i
reati estinti per prescrizione. Va invece annullata con rinvio alla Corte di Brescia per la
rideterminazione della pena.
4. Col quarto motivo si denunzia ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. b), c) e
lett. e) cpp la violazione dell’art. 62 bis e dell’art. 81 cp con riferimento alla mancata
concessione delle attenuanti generiche e al mancato riconoscimento della
continuazione con i fatti giudicati precedentemente col Decreto Penale 8.2.2007,
rilevando che la Corte d’Appello ha riconosciuto esplicitamente il vincolo della
continuazione coi fatti precedentemente giudicati col decreto penale 8.2.2007
5. Col quinto motivo si denunzia ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. b), c) ed e)
cpp la violazione dell’art. 81 cp e il difetto assoluto di motivazione, rilevandosi che la

5

comma primo, lett. b) del D.Lgs. n. 422 del 1998, al giorno sedici del mese successivo

sentenza dapprima riconosce l’identità del disegno criminoso rispetto ai fatti oggetto
del decreto penale, ma poi contraddittoriamente nega l’aumento per la continuazione.
Queste due censure, che ben si prestano a trattazione unitaria, sono infondate.
Quanto al diniego delle attenuanti di cui all’art. 62 bis cp, come già affermato
ripetutamente da questa Corte (cfr. tra le varie, Sez. 3, Sentenza n. 19639 del
27/01/2012 Ud. dep. 24/05/2012 Rv. 252900), le attenuanti generiche, nel nostro
ordinamento, hanno lo scopo di allargare le possibilità di adeguamento della pena in

effettivamente incidano sull’apprezzamento dell’entità del reato e della capacità di
delinquere dell’imputato. Il riconoscimento di esse richiede, dunque, la dimostrazione
di elementi di segno positivo.
La concessione o il diniego delle attenuanti generiche rientra nel potere
discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio, positivo o negativo che sia, deve
essere bensì motivato ma nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il
pensiero dello stesso giudice circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità
effettiva del reato ed alla personalità del reo.
Anche il giudice di appello – pur non dovendo trascurare le argomentazioni
difensive dell’appellante – non è tenuto ad una analitica valutazione di tutti gli
elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti ma, in una visione globale di ogni
particolarità del caso, è sufficiente che dia l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti e
decisivi ai fini della concessione o del diniego, rimanendo implicitamente disattesi e
superati tutti gli altri, pur in carenza di stretta contestazione (cfr. cass. cit.).
Nella fattispecie in esame, la Corte bresciana, nel corretto esercizio dei potere
discrezionale riconosciutole in proposito dalla legge ha dato rilevanza decisiva
all’esistenza di precedenti penali anche per fatti dello stesso tipo di quelli in esame e
pertanto ha negato il beneficio.
Trattasi, dunque, di motivazione succinta, ma logicamente del tutto coerente e
come tale insindacabile in questa sede, rilevandosi che esula dal giudizio di legittimità
ogni valutazione di merito ed ogni altra indagine che non sia strettamente connessa
alla peculiarità del giudizio stesso.
Quanto alla esclusione della continuazione con i fatti oggetto della precedente
condanna, la decisione della Corte di Brescia appare tutt’altro che illogica, perché
effettivamente i fatti oggetto della sentenza oggi impugnata sono stati sanzionati con
pena detentiva oltre che pecuniaria, e quindi sono da considerarsi più gravi: di
conseguenza, su tali pene (detentiva e pecuniaria) avrebbe dovuto essere operato
l’aumento per la continuazione con i fatti oggetto del decreto penale dell’8.2.2007
(che, invece, aveva applicato solo la pena pecuniaria). La Corte di Brescia questa volta
ha fatto corretta applicazione del divieto della reformatio in peius e quindi la sua scelta
non appare censurabile.

6

senso favorevole al reo, in considerazione di situazioni e circostanze particolari che

6. Col sesto motivo il ricorrente denunzia ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. b),
c) e lett. e) cpp la mancata applicazione dell’indulto ex lege 241/2006 per i fatti
commessi fino al 2.5.2006, rilevandosi che sarebbero rimasti esclusi solo i fatti di
maggio e giugno 2006, con un residuo di pena più modesto, per cui la pena residua
avrebbe potuto essere sostituita con la pena pecuniaria corrispondente.
Il motivo è infondato.
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, infatti, il ricorso per

giudice di merito abbia esplicitamente escluso detta applicazione, mentre nel caso in
cui abbia omesso di pronunciarsi deve essere adito il giudice dell’esecuzione (cfr Sez.
5, Sentenza n. 43262 del 22/10/2009 Ud. dep. 12/11/2009 Rv. 245106; Sez. 3,
Sentenza n. 25135 del 15/04/2009 Ud. dep. 17/06/2009 Rv. 243907; Sez. 4,
Sentenza n. 15262 del 14/11/2008 Ud. dep. 09/04/2009. Rv. 243631; Sez. U,
Sentenza n. 2333 del 03/02/1995 Ud. dep. 07/03/1995 Rv. 200262).
Nel caso di specie, dalla sentenza impugnata non risulta affatto una pronuncia
negativa sull’indulto, ma solo la scelta di rimettere la questione al giudice
dell’esecuzione per una migliore valutazione dell’applicabilità del beneficio
P.Q.M.
annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente agli omessi versamenti sino
al gennaio 2006 perché i reati sono estinti per prescrizione e con rinvio ad altra
sezione della Corte d’Appello di Brescia per la rideterminazione della pena. Rigetta nel
resto il ricorso.
Roma, 11.12.2013.

cassazione avverso la mancata applicazione dell’indulto è ammissibile solo qualora il

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA