Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36804 del 22/06/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 36804 Anno 2015
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: DE MARZO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TRIPODI MAURIZIO N. IL 09/11/1959
avverso Pordinanza n. 49/2015 TR1B. LIBERTA’ di CATANZARO,
del 17/03/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO;
le/sentite le conclusioni del PG Dott. AAArLiv o
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UditoiedifensortAvv.

g<-0_ CO Aì Amo r ust. k— (,,Ch A LCQ 01019 i Q-o m. dret a#0 441 44 WL 2(4i Data Udienza: 22/06/2015 Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 17/03/2015 il Tribunale di Catanzaro ha rigettato l'appello proposto nell'interesse di Maurizio Tripodi avverso la decisione del medesimo Tribunale, che aveva respinto l'istanza intesa ad ottenere l'immediata scarcerazione ai sensi dell'art. 297, comma 3, cod. proc. pen. 2. Nell'interesse del Tripodi è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico articolato motivo, con il quale si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge. (tra i quali anche la partecipazione ad un'associazione di cui all'art. 416-bis cod. pen.) e il reato di cui al titolo più risalente (un'estorsione, in relazione alla quale era inizialmente stata contestata la circostanza aggravante di cui all'art. 7 d.l. n. 152 del 1991, conv. con I. n. 203 del 1991, poi esclusa dal G.u.p., all'esito del giudizio abbreviato) sussisteva connessione ai sensi dell'art. 12 cod. proc. pen.; b) che l'indagine relativa al procedimento penale n. 6642/2009 RGNR DDA era la naturale prosecuzione del procedimento penale n. 1597/2003 RGNR DDA; c) che tutti gli elementi per giustificare l'emissione del secondo titolo custodiale erano presenti negli atti del P.M. sin dal momento del decreto di giudizio immediato del 09/12/2010, come dimostrato dal fatto che il G.i.p. aveva riconosciuto che la piattaforma indiziaria era fondata sulle intercettazioni telefoniche operate durante l'operazione Mithos e l'operazione Conte, tutte antecedenti alla data dell'arresto del 21/06/2010, e sulle dichiarazioni di Vincenzo Todaro, i cui interrogatori andavano dall'11/03/2010 al 23/06/2010, e di Domenico Todaro, interrogato il 12/03/2010 e il 15/04/2010; d) che, in ogni caso, le indagini erano state effettuate dalla medesima Procura della Repubblica e che solo per una mera scelta dell'ufficio inquirente si era pervenuti ad uno stralcio del procedimento relativo all'estorsione, ormai definito con sentenza irrevocabile; e) che il Tripodi è imputato in altro procedimento penale per il delitto di cui all'art. 416-bis cod. pen.; f) che nessun contributo decisivo avrebbero apportato i nuovi collaboratori. Considerato in diritto 1. L'articolato motivo di ricorso è infondato. Il ricorrente, infatti, riproponendo l'argomento dell'iniziale contestazione, nel più risalente procedimento, della circostanza aggravante di cui all'art. 7 d.l. n. 152 del 1991, conv. con I. n. 203 del 1991, omette di considerare che, secondo il provvedimento impugnato, il G.u.p., definendo la posizione del Tripodi in sede di giudizio abbreviato, ne ha escluso la sussistenza. Egli, d'altra parte, non indica altri profili di connessione rilevanti ai sensi dell'art. 12, lett. b) e c), certo non individuabili nella circostanza, peraltro assertivamente indicata, per la quale 1 Rileva il ricorrente: a) che tra i fatti contestati nella seconda ordinanza custodiale l'indagine relativa al procedimento penale n. 6642/2009 RGNR DDA sarebbe la naturale prosecuzione del procedimento penale n. 1597/2003 RGNR DDA. Ciò posto, secondo la ricostruzione della disciplina operante in tema di retrodatazione di cui all'art. 297, comma 3, cod. proc. pen. (v., ad es., il par. 12 della motivazione di Sez. U, n. 45246 del 19/07/2012, Polcino, Rv. 253549, quando, nei confronti dello stesso indagato, nell'ambito di diversi procedimenti, come nella specie, siano emesse più ordinanze custodiali per fatti in relazione ai quali non sussiste esiste la connessione qualificata di cui all'art. 297, comma 3, momento dell'emissione del primo titolo custodiale. Al riguardo, va poi aggiunto che, se è vero, che la ratio dell'istituto della retrodatazione sta nel reprimere il c.d. "abuso della custodia cautelare", che si verifica quando l'Autorità giudiziaria, pur essendo in possesso di tutti gli elementi per contestare più reati con un'unica ordinanza custodiale, emetta una prima ordinanza per contestare solo alcuni fatti di reato e rinvii la contestazione degli altri ad una ordinanza successiva, eludendo così la rigorosa predeterminazione legislativa della durata della custodia cautelare (è questa la ragione per cui il termine di durata della custodia cautelare relativo alla seconda ordinanza viene fatto decorrere dall'esecuzione della prima), risulta evidente la necessità di verificare se la medesima A.G. disponesse effettivamente, fin dalla emissione della ordinanza precedente, degli elementi necessari per contestare il fatto oggetto della ordinanza successiva (in questo senso, sostanzialmente, Sez. 6, n. 11807 del 11/02/2013, Paladini, Rv. 255721). Dunque, la corretta enucleazione della nozione di "desumibilità dagli atti" implica che siano considerati i presupposti richiesti dal Titolo I del Libro IV del codice di rito per l'adozione delle misure cautelari, con particolare riferimento alla sussistenza della gravità indiziaria a carico dell'indagato (art. 273 cod. proc. pen.) e delle esigenze cautelari (art. 274 ss. cod. proc. pen.), e che si verifichi se tali presupposti esistevano in seno al procedimento in cui è stata emessa l'ordinanza precedente, anteriormente all'emissione della stessa. In altre parole, la "desumibilità dagli atti" richiesta dalla legge è ben più della mera desumibilità dell'avvenuta commissione di un fatto di reato fenomenologicamente considerato; essa riguarda, essenzialmente, la sussistenza, in seno al procedimento nell'ambito del quale è stata emessa la prima ordinanza custodiale, delle condizioni per emettere, nei confronti dell'indagato, la misura oggetto della ordinanza successiva. Sul punto, questa Corte ha già affermato che la nozione di anteriore "desumibilità" delle fonti indiziarie, poste a fondamento dell'ordinanza cautelare successiva, dagli atti inerenti la prima ordinanza cautelare, non va confusa con 2 cod. proc. pen., la retrodatazione opera per i fatti desumibili dagli atti al quella di semplice "conoscenza" o "conoscibilità" di determinate evenienze fattuali. Infatti, la desumibilità, per essere rilevante ai fini del meccanismo di cui all'art. 297, comma 3, cod. proc. pen., deve essere individuata nella condizione di conoscenza, da un determinato compendio documentale o dichiarativo, degli elementi relativi ad un determinato fatto-reato che abbiano in sè una specifica "significanza processuale": ciò che si verifica allorquando il pubblico ministero procedente sia nella reale condizione di avvalersi di un quadro sufficientemente compiuto ed esauriente (sebbene modificabile nel prosieguo delle indagini) del apprezzamento prognostico della concludenza e gravità delle fonti indiziarie, suscettibili di dare luogo - in presenza di concrete esigenze cautelarì - alla richiesta ed all'adozione di una misura cautelare (così, di recente, Sez. 6, n. 11807 del 11/02/2013, Paladini, Rv. 255722). D'altra parte, è evidente che, in tema di contestazione a catena, è onere della parte, che invoca la retrodatazione della decorrenza del termine di custodia cautelare, provare la desumibilità dagli atti del primo procedimento del fatto di reato oggetto dell'ordinanza successiva (Sez. 2, n. 6374 del 28/01/2015, Schillaci, Rv. 262577). Rispetto a tali approdi interpretativi, appare evidente che le censure del ricorso non risultano fondate, giacché, quanto al menzionato requisito della "desumibilità dagli atti": a) muovono dalla constatazione che il G.i.p. autore del secondo titolo custodiale aveva riconosciuto che la piattaforma indiziaria era fondata sulle intercettazioni telefoniche operate durante l'operazione Mithos e l'operazione Conte, tutte antecedenti alla data dell'arresto del 21/06/2010, e, tuttavia, non ne illustrano il contenuto e l'autosufficienza a sorreggere il giudizio di gravità indiziaria rispetto alla contestazione del reato associativo e del reato di omicidio attribuito al Tripodi (soprattutto alla luce del fatto che, quantomeno l'operazione Mithos, secondo lo stesso ricorrente, sarebbe stata curata nel quadro di altro procedimento, ossia il n. 41787/2006 RGNR DDA di Roma e della circostanza che, secondo la ricostruzione del provvedimento impugnato, non oggetto di puntuale critica, il compendio tecnico captativo posto a base della seconda ordinanza era stato trasfuso nella nota informativa dei Carabinieri di Soverato del 12/02/2012); b) fanno riferimento alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Vincenzo Todaro e Domenico Todaro, ancora una volta, senza indicarne contenuto ed esaustività nei termini sopra ricordati e soprattutto solo assertivamente escludendo la rilevanza delle dichiarazioni di altro collaboratore, Bruno Procopio, espressamente menzionato nell'ordinanza impugnata. 3 panorama indiziarlo, tale da consentirgli di esprimere un meditato 2. Alla pronuncia di rigetto consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen. Così deciso in Roma il 22/06/2015 Il Presidente Il Componente estensore

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