Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36781 del 03/07/2015

Penale Sent. Sez. 4 Num. 36781 Anno 2015
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: D’ISA CLAUDIO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:
SS

OO

n. il 18.02.1936
n. IL 20.10.1941

avverso la sentenza n.2206/2014 della Corte d’appello di Ancona del 17.07.2014
Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso

Udita all’udienza pubblica del 3 luglio 2015 la relazione fatta dal Consigliere dott.
Claudio D’Isa
Udito il Procuratore Generale nella persona del dott. Sante Spinaci che ha concluso
per il rigetto del ricorso.
L’avv. Walter Massucci, difensore degli imputati, insiste nell’accoglimento dei motivi
del ricorso.

Data Udienza: 03/07/2015

RITENUTO IN FATTO
SS e  OONvenivano chiamati a rispondere

dinanzi al Tribunale ettellm Sezione distaccata di Sant’Elpidio a Mare (FM) del delitto di
cui all’art. 589 cod.pen., per aver cagionato, per colpa, la morte della minore NF, deceduta a seguito della caduta dalla scala a chiocciola mentre era in braccio
alla nonna PP; scala realizzata dalla azienda degli imputati, costruttori
di scale in legno. L’incidente è avvenuto presso la abitazione di famiglia in Porto
Sant’Elpidio il 18.6.2004 ed ai prevenuti è stata attribuita la responsabilità
dell’occorso ritenendo la scala costruita con omissioni di progettazione e di calcoli

anche in relazione all’ancoraggio dell’accessorio parapetto e, conseguentemente, si è
ritenuto che la morte sia avvenuta per colpa specifica e generica dei costruttori del
predetto manufatto.
La Corte d’appello, adita dagli imputati, ha dichiarato n.d.p. nei loro confronti
.
.
per essere il reato estinto per prescrizione.61,01 944./9,1

ricorrentt premetto che la Corte territoriale, nel dichiarare l’estinzione del

reato,(in violazione dell’art. 129, co. H c.p.p che impedisce valutazioni di merito sulla
colpevolezza dell’imputato, proprio in ragione del principio del “favor rei” introdotto e
tutelato dalla norma e dal principio della S.U. di cui alla sentenza n. 35490 del
28.05.2009) invece di verificare come non si rilevino evidenti motivi di assoluzione,
introduce tutta una serie di argomentazioni dirette a dimostrare la colpevolezza degli
imputati ed evita di valutami/ pur evidenti, prove scientifiche che dimostrano
l’innocenza degli stessi.
Quindi, con il primo motivo, si denuncia contraddittorietà e manifesta illogicità
della motivazione in relazione alla sussistenza dell’elemento soggettivo “colpa”,
erroneamente ritenuta ,”cg Ipa specifica”, per l’applicazione in malam partem della
normativa della prevenzi ne”Will lavoro stante il divieto di applicazione di una norma
penale per analogia.
Si contesta, in sostanza, l’affermazione della Corte secondo cui appare
corretto il richiamo / contenuto nell’imputazione / alle normative specifiche in materia,

strutturali e con inosservanza di norme di prevenzione per gli incidenti sul lavoro,

pur se contenute in norme finalizzate alla prevenzione degli infortuni sul lavoro,
poiché persistono analoghe esigenze di sicurezza con riferimento ad un manufatto
destinato a civile abitazione.
Erronea per i ricorrenti è l’applicazione al caso di specie dell’art. 26 del d:P.R.
547/55 che detta una serie di norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro4ytu tt,(
l’articolo citato stabilisce i requisiti che un parapetto deve avere in tali luoghi e
durante l’attività di cantiere. Nel caso di specie, tuttavia, la scala a chiocciola ed il
parapetto sono stati realizzati non in un luogo di lavoro, bensì all’interno di una
privata abitazione quale scala secondaria e di conseguenza non può ritenersi

applicabileka suddetta normativa, in applicazione, si ripete, del principio che vieta
l’applicazione analogica di norme in malam partem.
Parimenti dicasi per quanto riguarda il richiamo, sempre sotto il profilo di
colpa specifica, all’art. 26 circa i requisiti e le modalità di realizzazione del parapetto,
laddove si è individuato primariamente l’elemento di colpa nella omessa redazione di
una progettazione esecutiva della scala con i relativi calcoli strutturali statici per un
corretto dimensionamento del corpo scale, dei parapetti, degli ancoraggi, adottando
un coefficiente di sicurezza che fosse in grado di assorbire le normali sollecitazioni di
esercizio.

omessa valutazione della “nuova perizia” introdotta dalla difesa con l’atto di appello
ed acquisita quale elemento probatorio dalla Corte di merito che attesta la evidente
insussistenza dell’elemento oggettivo anche in punto di colpa generica.
Nel caso di specie, onde valutare la sussistenza di una condotta colposa degli
imputati di natura generica i era necessario verificare la violazione delle regole della
buona arte, dell’esecuzione dell’opera a regola d’arte su cui parametrare la
sussistenza di condotte definibili come negligenti, imprudenti ed imperite; bisognava
far ricorso alle cc.dd. direttive UNI, vigenti, e proprio ad esse il manufatto costruito
dalla “OO e XX snc” risulta essere perfettamente conforme, come ha
rilevato il collegio peritale, composto da esperti del Dipartimento di Ingegneria
Meccanica dell’Università Politecnica delle Marche, incaricato dalla difesa. Ebbene, la
Corte, sebbene abbia acquisito la perizia ed abbia interloquito sulla stessa, ha
ritenuto non rilevanti le risultanze peritali in quanto la relazione non è stata fondata
sull’apprezzamento del dato fattuale dello stato finale del parapetto. Tale circostanza
per i ricorrenti è del tutto non veritiera e frutto di grave e censurabile errore come
emerge dallo stesso paragrafo 3 della relazione dal titolo “Descrizione dello stato
residuale”, essendo stato il parapetto, sottoposto a giudiziale sequestro, esaminato
direttamente dai periti previa autorizzazione del Tribunale. Il risultato scientifico che
è stato tratto è che il parapetto presenta uno stato di deformazione incompatibile
con la forza vettoriale che poteva esprimere una persona durante una caduta
accidentale e che il C.T. del P.M. ha calcolato in circa 30,24 Kg/m. In sostanza, i
periti hanno accertato che la situazione del parapetto è stata creata ad arte da chi ha
voluto simulare le tracce del reato per il quale è iniziato il procedimento penale a
carico degli imputati: una manomissione a fini illeciti.
A riprova del dato di rilievo oggettivo si riportano, estrapolate dall’atto di
appello, le gravissime incongruenze emerse nelle testimonianze rese dai nonni russi
della piccola vittima, a conferma che la prova dell’innocenza degli imputati, era del
tutto “evidente” se solo si fossero esaminate le prove a discarico così come
emergenti dal materiale probatorio disatteso dalla lettura unidirezionale colpevolista
contraddittoriamente adottate dalla Corte marchigiana.

Con il secondo motivo si denuncia altro vizio di motivazione in relazione alla

CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi esposti sono infondati e determinano il rigetto del ricorso.
Preliminarmente, non può non condividersi la motivazione della sentenza di
appello, laddove la Corte del merito, nel dichiarare estinto il reato contestato per
prescrizione, ha richiamato il principio di diritto, affermato da questa Corte a SS.UU.
con sentenza n.35490 del 28.05.2009, da adottare anche e soprattutto in sede del
giudizio di legittimità, pure qualora si censuri l’esatta applicazione di esso in appello.
Ed, infatti, in presenza di una declaratoria di improcedibiltà per intervenuta
prescrizione del reato è precluso alla Corte di Cassazione un riesame dei fatti

motivazione. Il sindacato di legittimità circa la mancata applicazione del secondo
comma dell’art. 129 c.p.p. deve essere circoscritto all’accertamento della ricorrenza
delle condizioni per addivenire ad una pronuncia di proscioglimento nel merito con
una delle formule prescritte: la conclusione può essere favorevole al giudicabile solo
se la prova dell’insussistenza del fatto o dell’estraneità ad esso dell’imputato risulti
evidente sulla base degli stessi elementi e delle medesime valutazioni posti a
fondamento della sentenza impugnata, senza possibilità di nuove indagini ed
ulteriori accertamenti che sarebbero incompatibili con il principio secondo cui
l’operatività estintiva, determinando il congelamento della situazione processuale
esistente nel momento in cui è intervenuta, non può essere ritardata: qualora,
dunque, il contenuto complessivo della sentenza non prospetti, nei limiti e con i
caratteri richiesti dall’art. 129 c.p.p., l’esistenza di una causa di non punibilità più
favorevole all’imputato, deve prevalere l’esigenza della definizione immediata del
processo.
La Corte anconetana, pur nei limiti della valutazione consentita dall’art. 129
c.p.p.. ha preso in esame le censure poste a base del gravame di merito, riproposte
anche con l’odierno ricorso, e le relative argomentazioni, con cui è stata motivata la
infondatezza delle stesse, vanno pienamente condivise.
Innanzitutto, appare del tutto fuorviante, rectius non conferente, affermare
da parte del ricorrente che la Corte, più che escludere elementi evidenti
dell’innocenza degli imputati, come richiede la disposizione del richiamato art. 129
c.p.p., ha fatto riferimento ad elementi probatori che conducono alla affermazione
della responsabilità del medesimo, non considerando che essi sono, rispettivamente,
aspetti delle due facce della stessa medaglia.
Invero, nel momento in cui si indicano gli elementi di prova, di fatto e logici,
che determinano la responsabilità di un soggetto riguardo ad un determinato reato,
criticando la valenza difensiva di quelli prospettati a suo favore, inevitabilmente, per
conseguenza logica, si rileva la non evidenza dell’innocenza dell’imputato.

finalizzato ad un eventuale annullamento della decisione per vizi attinenti alla sua

Ancora in via preliminare, stante la specifica censura avanzata dai ricorrenti,
non è stata affatto riconosciuta una colpa specifica per la violazione di norme
dettate in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tant’è che non è oggetto
di contestazione l’aggravante del cui al secondo comma dell’art. 589 cod. pen., ma il
riferimento a tale normativa, come sottolineato dalla Corte d’appello, è stato fatto
solo per evidenziare in che modo le carenze strutturali riscontrate nella scala a
chiocciola de qua corrispondano alla mancata osservanza di quelle regole di
costruzione atte a garantire analoghe esigenze di sicurezza, che devono persistere
anche in riferimento ad un manufatto destinato ad abitazione familiare. E solo in tal

cui avrebbero dovuto uniformarsi i costruttori della scala per renderla sicura dai
futuri utilizzatori.
Relativamente ad altra censura, non risponde alla realtà processuale il non
avere tenuto in conto da parte della Corte territoriale le osservazioni formulate dal
perito di parte, contenute nella relazione depositata nel giudizio di gravame. Infatti, i
giudici di appello rilevano che la valutazione tecnica sulla resistenza e sicurezza del
parapetto e sulle sollecitazioni di forza che esso era in grado di supportare non è
stata fondata sull’apprezzamento del dato fattuale dello stato finale del parapetto
desumibile dall’inclinazione di esso, così come emerge dalla documentazione
fotografica in atti. Diversamente, da tale dato il consulente della difesa ritiene che
l’inclinazione riscontrata non può corrispondere alla forza impressa da una persona
che, scendendo dalla scala, sia inciampata, ma da ben altra forza che lascia
supporre, fondatamente, una manomissione artefatta di essa. Sul punto la Corte del
merito, oltre a rilevare che la denuncia presentata dagli imputati circa la dolosa
modifica dello stato dei luoghi non ha avuto esito processuale essendo stata oggetto
di archiviazione, dopo un’approfondita disamina dei rilievi del perito di ufficio, ing.
Schiavo, conclude con l’affermare che la connessione tra le accertate criticità della
scala a chiocciola e la carenza di progettazione, la pericolosità del parapettoringhiera è stata valutata dal perito mediante la verifica delle caratteristiche di
costruzione, e non con riferimento all’inclinazione dello stesso visibile nella
documentazione fotografica. La visione di tali foto evidenzia le caratteristiche del
parapeto-ringhiera ancorato soltanto alla base, con modalità tali da non garantire la
robustezza a causa dei vincoli cedevoli sulla base, come oggettivamente accertati.
A tal riguardo, la giurisprudenza costante di questa Corte ammette, in virtù
del principio del libero convincimento del giudice e di insussistenza di una prova
legale o di una graduazione delle prove la possibilità del giudice di scegliere fra varie
tesi, prospettate da differenti periti, di ufficio e consulenti di parte, quella che ritiene
condivisibile, purché dia conto con motivazione accurata ed approfondita delle
ragioni del suo dissenso o della scelta operata e dimostri di essersi soffermate sulle
tesi che ha ritenuto di disattendere e confuti in modo specifico le deduzioni contrarie

senso la colpa è stata qualificata specifica, avuto riguardo alle tecniche di costruzione

delle parti, sicché, ove una simile valutazione sia stata effettuata in maniera congrua
in sede di merito, è inibito al giudice di legittimità di procedere ad una differente
valutazione, poiché si è in presenza di un accertamento in fatto come tale
insindacabile dalla Corte di Cassazione, se non entro i limiti del vizio motivazionale
(Sez. 4, Sentenza n. 34747 el 17/05/2012 Ud. Rv. 253512;Sez. 4, Sentenza n.
45126 el 06/11/2008 Ud. Rv. 241907Cass. sez. IV 20 maggio 1989 n.7591
rv.181382).
Orbene, come già posto in rilievo, la Corte territoriale rifacendosi “per
relationem” alle argomentazioni svolte dal perito ing. Schiavo, ha dato ampia

rilievi mossi dai consulenti di parte.
In conclusione, l’impugnata sentenza, offre ampie garanzie di motivazione
circa la non sussistenza della evidenza della prova dell’innocenza degli imputati.
Al rigetto del ricorso segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese
processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma alla pubblica udienza del 3 luglio 2015.

contezza di valutazione dei risultati peritali ivi compresa la parte riguardante i

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