Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36780 del 27/04/2018


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Penale Ord. Sez. 4 Num. 36780 Anno 2018
Presidente: IZZO FAUSTO
Relatore: BRUNO MARIAROSARIA

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
GALANTINO MICHELE nato il 30/09/1972 a MILANO

avverso l’ordinanza del 12/07/2017 del GIP TRIBUNALE di REGGIO CALABRIA

sentita la relazione svolta dal Consigliere MARIAROSARIA BRUNO;

Data Udienza: 27/04/2018

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Reggio Calabria, con
ordinanza emessa in data 12/7/2017, rigettava l’opposizione proposta da
Galantino Michele, avverso il provvedimento di diniego di ammissione al
patrocinio a spese dello Stato.
2.

Avverso tale provvedimento, proponeva ricorso per Cassazione il

L’atto di impugnazione, privo di partizioni, conteneva diverse doglianze che,
ai sensi dell’art. 173, dísp. att. cod. proc. pen., possono essere riassunte come
segue.
2.1 La difesa lamentava che il giudice aveva espresso una motivazione solo
apparente e contraddittoria, assumendo, da un lato, che ai fini dell’accertamento
dei requisiti di legge si può fare riferimento anche alle presunzioni semplici di cui
all’art. 2729, cod. civ., dall’altro, omettendo di indicare da quali concreti
elementi, avesse tratto il convincimento della esistenza di un tenore di vita
diverso da quello dichiarato dall’istante.
2.2 A carico del Galantino era stata elevata contestazione riguardante il
reato associativo di cui all’art. 74 d.P.R. 309/90 – con ruolo di promotore,
organizzatore e finanziatore – e taluni reati fine, aventi ad oggetto la violazione
della disciplina in materia di stupefacenti. I giudici di merito, secondo il
ricorrente, avrebbero incentrato il provvedimento di diniego, unicamente, sui
titolo di reato di cui risponde il ricorrente nell’ambito del giudizio in cui è stata
richiesta l’ammissione al patrocinio gratuito. Ciò determinerebbe una violazione
dei principio di non colpevolezza, non essendo intervenuto alcun accertamento
irrevocabile in ordine alla commissione di tali reati.
2.3 Non si sarebbe tenuto conto dell’intervento della Corte costituzionale
che, con sentenza n. 139, del 16/4/2010, ha dichiarato la illegittimità
costituzionale dell’art. 76, comma 4-bis, d.P.R. 115/2002, nella parte in cui
stabilisce che non è ammessa prova contraria alla presunzione introdotta con
legge 24 luglio 2008, n. 125, per i soggetti che abbiano riportato condanna
definitiva per i reati indicati nella stessa norma.
2.4 Non sarebbe stato rispettato l’art. 6, par. 3, lettera c), Corte EDU
secondo cui, gli indizi possono assurgere a rango di prova presuntiva, solo ove i
requisiti di gravità, precisione e concordanza, indicati dall’art. 2729, cod. civ.
siano valutati con rigore e con adeguato riferimento a fatti noti, dai quali risalire,
con precise deduzioni logiche, ai fatti ignoti.

2

difensore di Galantino Michele, ai sensi dell’art. 99, comma 4, d.P.R. 115/2002.

2.5 Il provvedimento impugnato sarebbe da ritenersi illogico ed in contrasto
con la ratio dell’istituto del gratuito patrocinio e dei principi costituzionali ad esso
sottesi, contenuti negli artt. 3 e 24 Cost.
3.

Il ricorso, per le ragioni che saranno di seguito illustrate, risulta

inammissibile.
In primo luogo, sì osserva, l’impugnazione è stata proposta nelle forme del
rito civile, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., come richiamato nella
intestazione. Sul punto, questa Corte, ha avuto modo di stabilire il seguente

giudice) civile contro un provvedimento assunto in un procedimento penale
(ancorchè gli atti siano poi stati eventualmente trasmessi d’ufficio al giudice
penale), vertendosi in un’ipotesi di carenza di giurisdizione e non potendosi, di
conseguenza, applicare la disposizione di cui all’art. 568 comma quinto cod.
proc. pen. che disciplina il caso di incompetenza del giudice adito. (Nella
fattispecie, relativa ad opposizione avverso decreto di pagamento a favore di
consulente tecnico, erroneamente proposta davanti al giudice civile, la Corte alla luce del principio – ha ritenuto che il Tribunale civile avrebbe dovuto limitarsi
a dichiarare il ricorso improcedibile o inammissibile, senza trasmettere gli atti al
Presidente del Tribunale per la fissazione dell’udienza davanti al giudice penale)»
(Cass. Sez. 4, Sentenza n. 22483 del 26/04/2007, Murgia, Rv. 237011).
4. Prescindendo dal dato formale ed esaminando nel merito le questioni
proposte dalla difesa, le stesse risultano parimenti inammissibili perché
manifestamente infondate.
Le censure avanzate dalla difesa, riportate nei paragrafi 2.1, 2.2, 2.4 della
premessa, ineriscono, sotto diversi profili, a vizi di motivazione del
provvedimento impugnato. In proposito, occorre rammentare, che il ricorso per
cassazione ex art. 99, comma 4, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 è ammesso
esclusivamente per violazione di legge. Riguardo alla nozione di violazione di
legge, le Sezioni unite, chiamate ad affrontare il tema con riferimento all’analoga
previsione normativa di cui all’art. 325, comma 1, cod. proc. pen., hanno chiarito
che in tale nozione rientrano la mancanza assoluta di motivazione e la presenza
di una motivazione soltanto apparente. Invero, in tali casi, si realizzerebbe
l’inosservanza dell’art. 125, comma 3, cod. proc. pen., che impone l’obbligo della
motivazione di tutti i provvedimenti giurisdizionali (Sez. U., n. 25080 del 28-52003, Pellegrino, Rv. 224611). Non vi rientra, invece, l’illogicità manifesta, la
quale può essere dedotta, nel giudizio di legittimità, soltanto tramite Io specifico
e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e) dell’art. 606 cod. proc. pen.
(Sez. U., n 2 del 28-1-2004, Ferrazzi, RV ).

3

principio: «È inammissibile l’impugnazione proposta secondo il rito (e davanti al

Pertanto, ove il ricorso per cassazione sia limitato alla sola violazione di
legge, come nel caso in esame, le censure che attengono alla motivazione del
provvedimento, vengono in rilievo solo sotto il profilo dell’assenza di motivazione
e della presenza di una motivazione apparente.
Tale ultimo vizio, è ravvisabile allorché la motivazione espressa dal giudice
sia completamente priva dei requisiti minimi di coerenza e di completezza, al
punto da risultare inidonea a rendere comprensibile l’iter logico seguito dal
giudice di merito, oppure, nel caso in cui le linee argomentative siano talmente

(Sez. U., n.5876 del 28/01/2004 Rv. 226710). In linea con tali principi, si è
recentemente affermato, come la motivazione apparente, sia riconoscibile in
provvedimenti nei quali il ragionamento del giudice è del tutto avulso dalle
risultanze processuali o si avvale di argomentazioni di puro genere o di
asserzioni apodittiche o di proposizioni prive di efficacia dimostrativa (così Sez.
5, n. 9677 del 14/07/2014, Rv. 263100).
Alla luce di tale premesse, le ragioni di censura avanzate dalla difesa del
Galantino, appaiono palesemente inammissibili nella parte in cui attengono agii
asseriti difetti logici della motivazione, secondo una prospettiva di censura non
consentita dall’art. 99 d.P.R. 115/99, che limita l’ambito di ricorribilità alle sole
violazioni di legge.
Quanto all’ipotesi della motivazione apparente, occorre rilevare come il
provvedimento impugnato sia assistito da adeguata motivazione, che è sorretta
da argomenti plausibili, coerenti e aderenti alle risultanze in atti. In particolare, Il
giudice del provvedimento impugnato, richiamando le argomentazioni contenute
nel provvedimento opposto, ha rilevato che: ai fini del riconoscimento del
gratuito patrocinio a spese dello Stato, l’apprezzamento del giudice, non è
limitato alla valutazione dei redditi dichiarati ed accertati, dovendosi tenere
conto anche dei redditi non soggetti ad imposta per varie ragioni, tra cui
rientrano, certamente, quelli che derivano da attività illecite; che la esistenza di
tali redditi può essere desunta facendo ricorso agli ordinari mezzi di prova,

ivi

comprese le presunzioni semplici di cui all’art. 2729, cod.civ.; che sulla persona
di Galantino, pende la grave accusa di essere promotore di un’associazione
finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e che l’imputato annovera

un

precedente specifico in materia di stupefacenti; che, sulla base di tali elementi, è
possibile desumere che il Galantino tragga sostentamento anche da redditi
illeciti; che la presunzione di superamento dei limiti di reddito, valevoli ai fini
dell’ammissione al patrocinio gratuito, avvalorata da tali argomentazioni, non è
stata superata da idonee allegazioni.

4

scoordinate, da rendere oscure le ragioni che hanno giustificato il provvedimento

Nel ragionamento espresso dal giudice, dunque, non si ravvisa il vizio di
motivazione apparente di cui si duole la difesa, essendo, tale ragionamento,
sorretto da una intima coerenza.
Il richiamo alla sentenza della Corte costituzionale non è pertinente al caso
in esame, che non rientra nella previsione di cui all’art. 76, comma 4 bis d.P.R.

115/2002. La pronuncia della Corte costituzionale, come è noto, ha fatto venire
meno il carattere di assolutezza della presunzione, stabilita dalla legge stessa,
del superamento dei limiti di reddito, nelle ipotesi di cui al richiamato articolo per

norma.
Il ragionamento presuntivo adottato dal giudice del provvedimento
impugnato, non trae fondamento dall’art. 76, comma 4 bis d.P.R. 115/2002, ma

dalla valutazione delle condizioni di vita del ricorrente, le quali, alla stregua delle
considerazioni del giudice, lasciavano fondatamente ritenere che il Galantino
vivesse anche di proventi illeciti, che andavano cumulati a quelli leciti dichiarati,
ai fini della determinazione del reddito rilevante per l’ammissione al beneficio.
Tale presunzione, come è stato rilevato in atti, avrebbe potuto essere vinta
da idonee allegazioni che non risultano essere state offerte dal ricorrente.
Né può dirsi violato il principio di non colpevolezza dell’imputato, in quanto
la considerazione della tipologia di reati contestati all’imputato, viene in rilievo,
unicamente, quale elemento presuntivo dal quale desumere il reale tenore di vita
dell’imputato ai fini della valutazione della ricorrenza delle condizioni per il
riconoscimento del beneficio.
5. Alla inammissibilità del ricorso, consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte
Costituzionale n.186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non sussistono elementi
per ritenere che il ricorrente abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità, segue, a norma dell’art. 616 cod.
proc. pen. l’onere del versamento di una somma, in favore della Cassa delle
Ammende, determinata, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del
ricorso stesso, nella misura di euro 4.000,00.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro quattromila in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso il 27 aprile 2018
Il Consigliere estensore
ariarosaria Bruno
,

I soggetti già condannati con sentenza definitiva per i reati indicati nella stessa

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