Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36771 del 25/06/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 36771 Anno 2013
Presidente: ZAMPETTI UMBERTO
Relatore: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
CARMIGNANI STEFANO ADOLFO MARIO N. IL 31/01/1966
avverso l’ordinanza n. 884/2012 TRIB. SORVEGLIANZA di NAPOLI,
del 08/03/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA
SILVIO BONITO;

Data Udienza: 25/06/2013

La Corte, ritenuto in fatto e considerato in diritto:
1. Con ordinanza dell’08.03.2012 il Tribunale di sorveglianza di
Napoli rigettava l’istanza proposta da Carmignani Stefano Adolfo
Kario volta alla sospensione della esecuzione della pena ai sensi
dell’art. 147 c.p. ed all’applicazione della detenzione domiciliare ai
sensi dell’art. 47 ter co. 1 0.P., sul rilievo che gli accertamenti
medici peritali avevano escluso l’incompatibilità delle patologie
denunciate dall’istante con il regime di detenzione carceraria e che
esse patologie non implicavano, con la detenzione, artt14~sofferenze contrarie al senso di umanità.
2. Propone ricorso per cassazione il predetto interessato,
personalmente, chiedendo l’annullamento della impugnata
ordinanza perché viziata, secondo prospettazione difensiva, da
difetto di motivazione.
Deduce, in particolare il ricorrente di essere gravemente ammalato,
che le patologie accertate si sono ultimamente aggravate, che i
presidi sanitari carcerari non sono adeguati a curarlo, che ha scisso
ogni legalkiri la criminalità organizzata.
3. La doglianza è manifestamente infondata.
L’ordinanza impugnata si appalesa infatti motivata in termini
giuridicamente corretti e logicamente coerenti.
Va preliminarmente chiarito che il differimento della pena, secondo
la disciplina portata dagli artt. 146 e 147 c.p., può essere
provvedimento necessitato ovvero facoltativo e ciò, evidentemente,
sulla base della ricorrenza o meno di determinati requisiti.
Nel caso in esame il giudice a quo ha rigettato l’istanza del
ricorrente sulla semplice considerazione che le risultanze
diagnostiche della relazione sanitaria di ufficio erano nel senso
della compatibilità delle condizioni di salute dell’interessato con lo
stato di detenzione. Siffatta affermazione, peraltro, è stata poi
supportata dalla descrizione delle patologie riscontrate, e dalla
motivazione a sostegno delle conclusioni riportate, per le quali si
esclude che nel caso di specie ricorra sia l’ipotesi di differimento
obbligatorio disciplinato dall’art. 146 n. 3 c.p., peraltro non
richiesto dall’interessato, sia quella del differimento facoltativo di
cui al successivo art. 147 n. 2 c.p., posto che è proprio il requisito
della incompatibilità detentiva con lo stato di salute dell’istante
quello distintivo tra la prima e la seconda ipotesi, in cui il
codificatore ha ontemplato la fattispecie secondo la quale, pur

i,

4. Il ricorso va dichiarato pertanto inammissibile ed alla declaratoria
di inammissibilità consegue sia la condanna al pagamento delle
spese del procedimento, sia quella al pagamento di una somma in
favore della Cassa delle ammende, somma che si stima equo
determinare in euro 1000,00.

ti?

potendosi astrattamente ritenere la compatibilità tra patologie
accertate e stato di detenzione, purtuttavia la presenza di una “grave
infermità fisica” può consentire il differimento di quest’ultima.
Ne consegue che la questione di diritto posta dalla disciplina
relativa al differimento facoltativo è quella di definire i confini della
riconosciuta discrezionalità (“L’esecuzione della pena può essere
differita” recita la norma di riferimento).
Orbene, sul punto non è mancata l’adeguata elaborazione
giurisprudenziale di questa Corte, la quale ha ripetutamente
affermato il principio che il giudice investito della delibazione della
domanda per l’applicazione dell’art. 147 c.p. deve tener conto,
indipendentemente dalla compatibilità o meno dell’infermità colle
possibilità di assistenza e cura offerte dal sistema carcerario, anche
dell’esigenza di non ledere comunque il fondamentale diritto alla
salute e il divieto di trattamenti contrari al senso di umanità, previsti
dagli artt. 32 e 27 Cost., circostanza questa che ricorre, ad esempio,
allorché, nonostante la fruibilità di adeguate cure anche in stato di
detenzione, le condizioni di salute accertate diano luogo ad una
sofferenza aggiuntiva, derivante proprio dalla privazione dello stato
di libertà in sè e per sè considerata, in conseguenza della quale
l’esecuzione della pena risulti incompatibile coi richiamati principi
costituzionali (cfr. Cass., Sez. I”, 28/09/2005, n.36856; Sez. 1^,
28.10.1999, Ira). E ciò considerando, inoltre, che detta sofferenza
aggiuntiva è comunque inevitabile ogni qual volta la pena debba
essere eseguita nei confronti di soggetto in non perfette condizioni
di salute, di tal che essa può assumere rilievo solo quando si
appalesi, presumibilmente, di entità tale — in rapporto appunto alla
particolare gravità di dette condizioni — da superare i limiti della
umana tollerabilità (Cass.,Sez.1^, 20.05.2003, n. 26026;
10.12.2008, n. 48203).
Ed invero, il giudice a quo ha indicato correttamente le ragioni del
diniego impugnato e sul punto la motivazione non è censurabile
dappoichè corretta giuridicamente e logica nel suo dipanarsi
argomentatiymQme dimostrato dalla sintesi innanzi riportata, dalla
quale emerWcIlie,sulla base di un giudizio medico del personale
penitenziario, deve escludersi quella sofferenza aggiuntiva oltre i
limiti di sopportabilità giustificativa dell’applicazione della
invocata disciplina di favore.

P. Q. M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000,00
in favore della Cassa delle ammende.
Roma, addì 25 giugno 2013

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