Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36746 del 29/05/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 36746 Anno 2015
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: TARDIO ANGELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CITRO CRISTINA, nata il 12/02/1948
avverso l ‘ordinanza n. 987/2013 CORTE APPELLO di MILANO del
13/03/2014;

sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. Angela Tardio;
lette le conclusioni del Procuratore Generale dott. Giulio Romano,
che ha chiesto respingersi il ricorso.

Data Udienza: 29/05/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 13 marzo 2014 la Corte di appello di Milano, in
funzione di giudice dell’esecuzione, ha revocato nei confronti di Citro Cristina, su
richiesta del Procuratore Generale presso la stessa Corte, il beneficio della
sospensione condizionale della pena concesso con la sentenza di condanna del
29 marzo 2007 del G.u.p. del Tribunale di Avellino per fatto commesso il 4 luglio

unificazione di pene concorrenti della Procura Generale di Milano), in dipendenza
della commissione il 13 aprile 2010 dei fatti di cui alla sentenza del 18 gennaio
2011 del G.u.p. del Tribunale di Milano, parzialmente riformata dalla Corte di
appello di Milano il 24 ottobre 2011 e, a seguito del rinvio disposto da questa
Corte, con sentenza del 6 maggio 2013, irrevocabile il 17 settembre 2013
(riportata sub 2 dello stesso provvedimento di unificazione di pene concorrenti),
sussistendo le condizioni di cui all’art. 168, comma 1, n. 1, cod. pen.
Con la stessa sentenza la Corte ha respinto l’istanza del difensore di
dichiarare condonata, ai sensi della legge n. 241 del 2006, la pena irrogata con
la sentenza di condanna sub 1), ostandovi la condanna alla pena di anni due,
mesi tre e giorni sedici di reclusione ed euro trecentosessanta di multa, inflitta
con ,la sentenza di condanna sub 2) per un reato (capo A) non colposo commesso
nei cinque anni dalla entrata in vigore della legge n. 241 del 2006.
Secondo la Corte, non era condivisibile l’assunto difensivo alla cui stregua
dalla sanzione suindicata doveva detrarsi quella di mesi quattro di reclusione
inflitta dal primo Giudice per il reato di cui al capo B), ritenuto in continuazione,
non avendo la sentenza di secondo grado del 6 maggio 2013 preso in
considerazione, nel ricalcolare la pena, l’aumento ex art. 81 cpv. cod. pen. per
detto reato.

2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo
del suo difensore, l’interessata Citro, che ne chiede l’annullamento sulla base di
due motivi.
2.1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606,
comma 1, lett. e), cod. proc. pen., mancanza, contraddittorietà e/o manifesta
illogicità della motivazione con riguardo al contestato diniego del condono.
Secondo la ricorrente -che ripercorre le vicende relative alla sentenza del 18
gennaio 2011 del G.u.p. del Tribunale di Milano e gli interventi sul trattamento
sanzionatorio operati nel giudizio di appello, prima e dopo la sentenza del 6
febbraio 2013 di questa Corte che aveva annullato, limitatamente alla
2

2005, irrevocabile il 12 maggio 2007 (riportata sub 1 del provvedimento di

determinazione della pena, la prima sentenza della Corte di appello del 24
ottobre 2011- la Corte di appello quale giudice dell’esecuzione doveva detrarre la
pena di mesi quattro di reclusione, inflitta dal primo Giudice per il capo B) della
imputazione e non modificata sul punto dalla sentenza della Corte di appello,
che, come emerge dal suo contenuto, non ha fatto riferimento espresso al fatto
che la pena base fosse afferente solo al capo A) e ha indicato unicamente la
pena finale al netto della concessione delle attenuanti.
Operando, invece, detta detrazione dalla pena complessivamente irrogata

di multa, la pena per il reato più grave di cui al capo A), rimanendo al di sotto
dei due anni, non impediva la concessione dell’indulto.
2.2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606,
comma 1, lett. b), cod. proc. pen., inosservanza ed erronea applicazione degli
artt. 1 legge n. 241 del 2006 e 81 cod. pen., per la mancata concessione
dell’indulto.
Secondo la ricorrente, la Corte di appello, nel rigettare la sua richiesta, si è
posta in aperto contrasto con la giurisprudenza di questa Corte, secondo la
quale, nel caso in cui il giudice dell’esecuzione abbia ravvisato il vincolo della
continuazione, al fine della revoca dell’indulto non può tenersi conto della pena
complessivamente inflitta, ma, escluso l’aumento per la continuazione, si deve
avere riguardo unicamente alla pena inflitta per la più grave delle violazioni
unificate ex art. 81 cod. pen.
Nella specie, non essendo stata riformata la sentenza di primo grado in
relazione all’aumento per la continuazione del capo B) della imputazione,
necessariamente rimasto quantificato in mesi sei di reclusione, ridotti poi a mesi
quattro per la scelta del rito abbreviato, la pena per il reato più grave di cui al
capo A) è rimasta al di sotto dei due anni di reclusione, rendendo possibile la
concessione del beneficio dell’indulto.

3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato articolata
requisitoria scritta, concludendo per il rigetto del ricorso, poiché la pena
“ostativa” all’indulto di cui alla sentenza del 6 maggio 2013 non risulta in
concreto comprensiva dell’aumento per la continuazione, che, pertanto, non può
essere “scomputato” al fine dell’applicazione del condono alla precedente
condanna.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è destituito di fondamento.

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pari ad anni due, mesi tre e giorni sedici di reclusione ed euro trecentosessanta

2. La decisione della Corte di appello, che ha ritenuto non fondata la
richiesta di applicazione dell’indulto ai sensi della legge n. 241 del 2006 con
riguardo alla sentenza del 29 marzo 2007 del G.u.p. del Tribunale di Avellino, per
essere ostativa la condanna, superiore a due anni, inflitta -per delitto non
colposo commesso nei cinque anni dalla entrata in vigore della stessa legge- con
la sentenza 6 maggio 2013, non è affetta dai vizi di motivazione e di violazione
di legge denunciati dal ricorrente.
La tesi difensiva, secondo cui la pena detentiva finale, inflitta con detta

ritenuta comprensiva dell’aumento della pena -rideterminata per il reato di cui
al capo A)- come già fissato in mesi quattro di reclusione, con la sentenza di
primo grado, per il reato di cui al capo B), è, invero, priva di giuridico pregio e
non è congruente con le emergenze fattuali in atti.
2.1. Risulta dall’esame degli atti, che l’ordinanza ha illustrato e che la
ricorrente ha allegato al suo ricorso e ha in esso richiamato, che:
– con la sentenza del 18 gennaio 2011 il G.i.p. del Tribunale di Milano ha i
dichiarato la predetta colpevole dei reati ascrittile ai capi A) e B) della rubrica,
che ha unificato sotto il vincolo della continuazione, condannandola, previa
concessione delle attenuanti generiche ritenute equivalenti alle aggravanti
contestate, alla pena di anni quattro e mesi dieci di reclusione ed euro ottocento
di multa, già applicata la diminuente del rito e comprensiva di mesi quattro di
reclusione per la continuazione;
– la Corte di appello di Milano, con sentenza del 24 ottobre 2011, in parziale
riforma della sentenza di primo grado, ha riconosciuto all’appellante Citro
l’ulteriore circostanza attenuante di cui all’art. 62 n.6 cod. pen., che ha
dichiarato, unitamente alle già concesse attenuanti generiche, prevalente sulle
contestate aggravanti, e ha ridotto la pena inflittale in anni tre, mesi cinque e
giorni dieci di reclusione ed euro cinquecentoquaranta di multa;
– questa Corte, con sentenza del 6 febbraio 2013, ha annullato detta
sentenza nei confronti della ricorrente limitatamente alla determinazione della
pena, rilevando che il Giudice di appello, in seguito alla concessione
dell’attenuante dell’avvenuto risarcimento del danno, aveva “proceduto in modo
analitico al nuovo calcolo della pena, non calcolando la riduzione obbligata per la
scelta del rito, nonché l’aumento per la continuazione”;
– la Corte di appello di Milano, in sede di rinvio, con sentenza del 6 maggio
2013, ha confermato la concessione dell’attenuante di cui all’art. 61 n. 6 cod.
pen. e il giudizio di prevalenza delle attenuanti sulle aggravanti e ha
rideterminato la pena inflitta alla ricorrente in anni due, mesi tre e giorni sedici di
reclusione ed euro trecentosessanta di multa, cui è pervenuta operando la

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sentenza, pari ad anni due, mesi tre e giorni sedici di reclusione, deve essere

riduzione per il rito dalla pena di anni tre, mesi cinque e giorni dieci di reclusione
ed euro cinquecentoquaranta di multa.
2.2. Tali emergenze fattuali rendono conto in termini univoci, come
condivisibilmente rappresentato dal Procuratore Generale nella sua requisitoria,
che la pena di anni tre, mesi cinque e giorni dieci di reclusione, analiticamente
calcolata dalla Corte di appello con sentenza del 24 ottobre 2011, non
comprendeva l’aumento per la continuazione, secondo quanto statuito con la
sentenza di annullamento, e che la pena di anni due, mesi tre e giorni sedici di

non teneva conto della continuazione ed operando solo la riduzione per il rito”, è
divenuta definitiva.
2.3. È, pertanto, del tutto coerente il percorso argomentativo seguito dalla
Corte di appello, che ha logicamente giustificato il rigetto della richiesta di
applicazione del condono, evidenziando che il giudice del rinvio, nel
rideterminare la pena, ha tenuto presente il solo reato di cui al capo A) senza
prendere in considerazione l’aumento per la continuazione con il reato di cui al
capo B), e ha rimarcato, correttamente interpretando i principi normativi
applicati, che tale aumento, non calcolato, non poteva essere scomputato dalla
pena inflitta che non lo comprendeva, e che detta pena, non inferiore a due anni
e relativa a delitto non colposo commesso entro il quinquennio dalla data di
entrata in vigore della legge concessiva dell’indulto, era ostativa all’invocato
indulto.

3. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato, con condanna della ricorrente
al pagamento elle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, il 29 maggio 2015

Il Consigliere estensore

reclusione, “successivamente ottenuta in sede di rinvio partendo da quella che

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