Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36740 del 08/07/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 36740 Anno 2014
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: ROCCHI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LISCIANDRO SALVATORE N. IL 09/09/1975
RANELI GAETANO SALVATORE N. IL 24/08/1963
avverso la sentenza n. 1835/2012 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 06/06/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 08/07/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI
Udito il Procuratore Q nerale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la par
Udit i difensor Avv.

l’Avv

Data Udienza: 08/07/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 6/6/2013, la Corte di appello di Palermo, in parziale
riforma di quella del Tribunale di Palermo di condanna di Raneli Gaetano
Salvatore e Lisciandro Salvatore per il delitto di incendio in concorso e, il solo
Raneli, per quello di simulazione di reato, concedeva a Lisciandro Salvatore
le attenuanti generiche, riducendo la pena inflitta ad anni tre di reclusione,
confermava la sentenza di condanna nei confronti di Raneli Gaetano ed

reclusione.
Il 17/8/2005 l’esercizio commerciale di proprietà di Raneli era stato
devastato da un grave incendio doloso, che aveva anche danneggiato gli
immobili e le autovetture adiacenti e nel quale l’imputato aveva riportato gravi
ustioni. Raneli, il 9/11/2005, aveva presentato denuncia contro ignoti per tentata
estorsione e incendio, ma alcune conversazioni tra Lisciandro e i suoi familiari
registrate nella caserma dei carabinieri nelle ore immediatamente successive
al fatto e altre intercettate all’ospedale e intercorse tra Raneli e i suoi congiunti
avevano indotto il giudice di primo grado a ritenere i due imputati – tra loro
cognati – autori dell’incendio.
Il Giudice di primo grado aveva anche evidenziato l’inverosimiglianza
dell’alibi proposto, le contraddizioni tra le versioni degli imputati e l’apparente
illogicità di alcune loro condotte.

La Corte territoriale respingeva alcune eccezioni di carattere processuale.
In particolare, si riteneva correttamente negato dal Tribunale il rinvio
dell’udienza per legittimo impedimento dell’imputato Raneli in conseguenza
dell’attestazione da parte dei carabinieri di Villabate del fatto che egli si trovava
fuori dalla propria abitazione, nel suo nuovo esercizio commerciale e poi si
era allontanato alla guida del suo furgone; la Corte respingeva l’eccezione di
inutilizzabilità delle riprese video operate presso l’ospedale, atteso che esse
erano inizialmente presenti nel fascicolo del P.M. e, quindi, di esse la difesa degli
imputati era a conoscenza; riteneva, comunque, l’eccezione irrilevante in quanto
il contenuto delle videoriprese non era stato affatto utilizzato dal giudice di primo
grado.
Ancora, la Corte riteneva adeguatamente motivato il decreto del P.M. che
autorizzava l’esecuzione delle operazioni con impianti diversi da quelli della
Procura, in base all’attestazione di indisponibilità di postazioni da parte del
funzionario responsabile.

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applicava ad entrambi gli imputati il condono nella misura massima di anni tre di

Secondo la Corte, era evidente la natura dolosa dell’incendio; sul posto
era stato trovato uno zaino che conteneva una bottiglia di urina e un sacchetto
di feci; accanto ad esso vi era un casco nero e si rinvenivano numerose tracce
ematiche che proseguivano verso il marciapiede.
Il casco aveva permesso di evidenziare il profilo genetico di Raneli; in effetti,
durante una conversazione tra i due imputati e Anna Lisciandro intercettata in
ospedale, entrambi esprimevano la preoccupazione che il casco potesse essere
ricollegato alla persona di Raneli.

manomesso mentre era già aperto, non potendo essere effettuata quella
manomissione mentre il lucchetto era ancora ancorato ai due supporti di
chiusura: di conseguenza si trattava di forzatura operata da chi ne possedeva le
chiavi, con la successiva collocazione accanto alla saracinesca al fine di inscenare
il presunto attentato.
Era stato messo in evidenza un altro dato: benché Raneli fosse stato
gravemente ferito dall’esplosione e dall’incendio, tanto da correre pericolo di
vita, egli si era allontanato dal negozio sull’autovettura condotta da Lisciandro
per andare a casa della suocera; solo successivamente – vista la gravità
delle sue condizioni – era stato portato in ospedale. Un’intercettazione aveva
dimostrato che i vestiti che indossava al momento dell’esplosione erano stati
occultati. L’autovettura che lo aveva accompagnato era stata sottoposta a
lavaggio (ciò non aveva impedito di reperire tracce ematiche).
I due imputati – che avevano sostenuto di essere stati insieme a pescare si erano in realtà parlati quattro volte al telefono ad ora notturna, agganciando la
stessa “cella” che copriva anche l’area dove insisteva l’esercizio commerciale ma
non la zona dove essi avevano sostenuto essersi recati a pescare.
Le conversazioni intercettate nella caserma dei carabinieri intercorse tra
Salvatore Lisciandro e i suoi familiari facevano, infine, esplicito riferimento alla
falsità dell’alibi.
Il movente dell’incendio, poi, era ritenuto sussistente, poiché la ditta di
Raneli – nonostante l’immediato versamento di euro 130.000 dall’assicurazione
– nei mesi successivi era stata dichiarata fallita; la moglie di Raneli, nei giorni
successivi all’incendio, aveva prelevato dal conto corrente un’ingente somma,
versata in un nuovo conto e utilizzata per aprire un esercizio commerciale.
Sussisteva, quindi, la prova della responsabilità degli imputati; in particolare
Lisciandro era responsabile per avere accompagnato il cognato al negozio con
l’autovettura e averlo atteso fuori dal negozio, chiaramente conoscendo le
intenzioni dello stesso e avendole così agevolate.

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Ancora: il lucchetto rinvenuto accanto alla saracinesca aperta era stato

Sussisteva anche la simulazione di reato contestata a Raneli perché la sua
denuncia concernente le tentate estorsioni subite aveva dato luogo ad una sia
pure modesta attività investigativa, come attestato da un teste sentito in sede di
rinnovazione dell’istruzione dibattimentale.

2. Ricorre per cassazione il difensore di Raneli Gaetano Salvatore e
Lisciandro Salvatore, deducendo distinti motivi.
In un primo motivo si deduce violazione di legge processuale per nullità

gravame era stata, infatti, consegnata a Spinosa Rosalia che, contrariamente
a quanto attestato nella relata di notifica, non è affatto convivente con la
famiglia di Raneli, vivendo nell’appartamento del piano terra dell’immobile dove
l’imputato vive con la sua famiglia nell’appartamento al terzo piano.
Si tratta, per di più, di persona incapace in quanto anziana, soggetta a gravi
patologie che incidono anche sulla sua capacità di intendere.

In un secondo motivo il ricorrente deduce violazione di legge processuale.
Il Tribunale aveva utilizzato i risultati delle intercettazioni ambientali
eseguite in violazione di legge di cui le parti avevano avuto notizia all’udienza del
14/7/2010. Il riferimento è sia alle riprese video effettuate – le cui videocassette
non erano state reperite in udienza – sia alle intercettazioni ambientali, eseguite
con apparecchiature non in dotazione alla Procura della Repubblica.

In un ulteriore motivo, il ricorrente deduce erronea applicazione dell’art. 367
cod. pen..
Nessuna attività investigativa di indagine era stata posta in essere dai
Carabinieri di Villabate, che avevano completamente ignorato la segnalazione di
Raneli: si trattava, quindi, di reato impossibile.

In un quarto motivo si deduce la violazione dell’art. 420 ter cod. proc. pen..
La celebrazione dell’udienza nonostante la richiesta di rinvio per legittimo
impedimento dell’imputato Raneli aveva violato il suo diritto a partecipare al
processo.
La decisione del Tribunale era dipesa da una segnalazione dei carabinieri,
nonostante lo stesso Tribunale avesse disposto una visita fiscale.

In un ulteriore motivo si deduce la mancata assunzione di una prova
decisiva, costituita dall’assunzione dei carabinieri della Stazione di Villabate per
accertare quali erano state le attività di indagine successive alla presentazione
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della citazione in appello di Raneli: l’avviso di fissazione dell’udienza in sede di

della denuncia per tentata estorsione.

Il ricorrente deduce, poi, vizio della motivazione: la parte motiva della
sentenza si struttura attraverso una successione di passaggi spesso scoordinati e
fondati, in massima parte, su una ricostruzione di tipo congetturale: erano state
utilizzate solo le intercettazioni ambientali; inoltre i tabulati telefonici erano stati
utilizzati senza accertare se i telefoni fossero effettivamente nella disponibilità
dei due imputati.

cause dell’incendio. I Giudici del merito avevano fondato la decisione su mere
illazioni assolutamente prive di riscontro oggettivo.
Inoltre avevano svilito i contenuti probatori a discarico: il mancato
esame del materiale biologico rinvenuto nello zainetto, i possibili errori
nell’individuazione del DNA di Raneli nel casco, le cause delle lesioni riportate
da Raneli, oggetto di una consulenza tecnica della difesa, la mancanza di
motivazioni per il gesto dei due imputati.

Si deduce carenza di motivazione in punto di mancata concessione delle
attenuanti generiche a Raneli e manifesta illogicità della motivazione con
riferimento all’affermazione di responsabilità di Lisciandro Salvatore, trattata
del tutto incidentalmente e ignorando le doglianze difensive espresse nell’atto di
appello.
Il ricorrente conclude per l’annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è infondato.

L’art. 157, comma 1, cod. proc. pen., prevede che la notificazione ad
un imputato non detenuto avvenga “mediante consegna ad una persona che
conviva anche temporaneamente”.
La giurisprudenza di questa Corte ha precisato che per familiari conviventi
devono intendersi non soltanto le persone che vivono stabilmente con
il destinatario dell’atto e che anagraficamente facciano parte della sua
famiglia, ma anche quelle che, per altri motivi, si trovino al momento della
notificazione nella casa di abitazione del medesimo, purché le stesse, per la
qualifica declinata all’ufficiale giudiziario, rappresentino a quest’ultimo una
situazione di convivenza, sia pure di carattere meramente temporaneo, che
legittima nell’agente notificatore il ragionevole affidamento che l’atto perverrà

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La motivazione era viziata anche con riferimento all’individuazione delle

all’interessato (Sez. 4, n. 9499 del 05/02/2013 – dep. 27/02/2013, Petronelli,
Rv. 254758; Sez. 6, n. 4611 del 15/12/2010 – dep. 09/02/2011, Rizzo, Rv.
249341); è stata, quindi, ritenuta valida la notificazione all’imputato effettuata
presso il domicilio eletto a mani di persona capace e convivente (nella specie,
il cugino) a nulla rilevando, in assenza di comunicazione della variazione di
domicilio, il mutamento di dimora frattanto intervenuto, dovendo il rapporto di
convivenza con i familiari intendersi come basato, più che sulla continuità della
coabitazione, sulla persistenza dei vincoli che legano tra loro i membri di una

uno di essi (Sez. 2, n. 9776 del 22/11/2012 – dep. 01/03/2013, El Badaoui, Rv.
254824).

Nel caso della notificazione del decreto di fissazione dell’udienza davanti alla
Corte di appello, l’ufficiale giudiziario aveva consegnato l’atto destinato a Raneli
Gaetano Salvatore alla madre del cognato, Spinosa Rosalia.
Le due famiglie – quella di Raneli, della moglie e dei figli e quella di
Lisciandro Salvatore (fratello della moglie di Raneli) e della madre Spinosa
Rosalia – risultano risiedere entrambe nell’immobile di Via N. Bellisario, 11,
anche se la famiglia di Raneli, anagraficamente, risiede al terzo piano.
In realtà, è evidente che Spinosa Rosalia si è presentata all’Ufficiale
giudiziario come convivente del Raneli (come in sostanza è, anche se vive ad un
piano differente dello stesso immobile) e ha, quindi, permesso allo stesso di fare
ragionevole affidamento sulla consegna dell’atto a Raneli.

Lo stato di salute della Spinosa, poi, è irrilevante: l’art. 157, comma 4, cod.
proc. pen. dispone che la copia non possa essere consegnata a soggetto in stato
di manifesta incapacità di intendere e di volere: la legge non impone all’ufficiale
giudiziario il compimento di particolari indagini su tale capacità (Sez. 2, n. 2597
del 13/12/2005 – dep. 20/01/2006, Di Virgilio, Rv. 233329; Sez. 3, n. 8714 del
11/07/1997 – dep. 27/09/1997, Manzini, Rv. 209189).
Del resto, la documentazione medica prodotta unitamente al ricorso non
dimostra affatto che, al momento in cui era avvenuta la consegna, la Spinosa
fosse in manifesta incapacità di intendere e di volere: la donna, infatti, soffre
di ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia e diabete mellito; il certificato
rilasciato il 22/9/2012 contiene la diagnosi di “declino cognitivo lieve”; in
anamnesi, erano emersi “saltuari episodi di disorientamento spaziale” di breve
durata e “lievi deficit mnesici”. Si dava atto, peraltro, che “la paziente, che è
consapevole dei suoi disturbi, rimane comunque autonoma nella gestione delle
attività quotidiane”.

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stessa famiglia, che non cessano a causa del temporaneo allontanamento di

2. La sentenza impugnata motiva adeguatamente sulle ulteriori eccezioni di
carattere processuale.
L’utilizzabilità delle intercettazioni ambientali, eseguite con impianti
diversi da quelli della Procura della Repubblica, è stata ritenuta alla luce
dell’attestazione, intervenuta ad opera del Funzionario responsabile della
Procura, dell’indisponibilità di postazioni.
Il ricorrente contesta nuovamente la legittimità di tale operare, sostenendo

descrivere una situazione obiettiva riconducibile al concetto normativo
di “inidoneità degli impianti”: ma l’art. 268, comma 3, cod. proc. pen. contempla
due ipotesi, quella della “insufficienza degli impianti” e quella della “inidoneità
degli impianti”.
Il caso in questione corrispondeva alla prima ipotesi: poiché tutte le
postazioni erano occupate nell’esecuzione di intercettazioni relative ad altri
procedimenti e poiché le operazioni erano urgenti (vennero ascoltati i colloqui
tenuti durante la notte dell’incendio nella caserma dei carabinieri e quelli tenuti
qualche giorno dopo nella stanza di ospedale in cui era ricoverato Raneli), gli
impianti erano oggettivamente “insufficienti”.

Quanto alle riprese video, la Corte ribadisce che la mancata presenza
all’udienza del 14/7/2010 delle videocassette non comporta affatto che esse
non fossero state depositate nel fascicolo del P.M. nelle fasi precedenti, ed in
particolare all’atto dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari.
Il difensore non dimostra in alcun modo che quel materiale non fosse
presente (ad esempio, allegando l’indice degli atti depositati in sede di avviso di
conclusione delle indagini).
La Corte osserva, ancora, che le riprese video non sono state in alcun modo
utilizzate per la decisione, affermazione che il ricorrente non contesta affatto.

Palesemente infondato è il motivo di ricorso che ripropone la questione,
già respinta dai giudici di merito, del mancato rinvio di un’udienza davanti
al Tribunale nonostante fosse stata presentata istanza di rinvio per legittimo
impedimento per motivi di salute da parte dell’imputato Raneli.
Il ricorrente, in sostanza, addebita al Tribunale di avere superato la
certificazione proveniente dal medico curante di Raneli – che riferiva di “forte
lombosciatalgia acuta con limitazione algico funzionale agli arti inferiori …
limitazione funzionale alla deambulazione” – con l’attestazione dei carabinieri
di Villabate che avevano riferito che Raneli era stato visto nel nuovo esercizio
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che si tratta dì attestazione generica, mentre il decreto del P.M. dovrebbe

commerciale e poi era stato osservato uscire dal negozio salire sul furgone e
allontanarsi.
Secondo il ricorrente quanto attestato dai militari sarebbe “del tutto
irrilevante rispetto al thema probandum”: al contrario, pare evidente che i
militari avessero riferito al Tribunale circostanze assai rilevanti per valutare se la
lombosciatalgia certificata determinasse per Raneli una “assoluta impossibilità di
comparire all’udienza”, condizione che, appunto, è ciò che deve essere provato;
e la valutazione del Tribunale, che ha ritenuto insussistente tale impossibilità,

3. Le censure mosse avverso la motivazione della sentenza impugnata
sul merito della responsabilità dei due imputati per l’incendio doloso sono
chiaramente infondate.

Le due sentenze di merito fondano la valutazione della natura dolosa
dell’incendio e sull’attribuibilità di esso all’opera di Raneli a dati oggettivi davvero
abbondanti ed univoci e, quindi, sono tutt’altro che manifestamente illogiche: la
natura dolosa dell’incendio era stata attestata dai Vigili del Fuoco e, comunque,
la presenza dello zaino con sacchetto contenente urine e feci e le tracce di
sangue che dimostravano lo spostamento di un soggetto (Raneli) dal luogo dove
era nascosto fino a via Giulio Cesare indicavano chiaramente l’appostamento
dì un soggetto per un lungo periodo; del resto, la manomissione di uno dei due
lucchetti di chiusura della saracinesca era indicativa della forzatura dell’apertura
(il fatto che, successivamente, sia stato accettato che si trattava di messinscena
non annulla il dato, ma lo rende rilevante per attribuire l’incendio doloso a chi
poteva aprire il lucchetto con le chiavi).

Le intercettazioni ambientali sono state utilizzate dai giudici di merito
non “esclusivamente”, ma congiuntamente ad altri elementi di prova: ad
esempio, per confermare il mendacio relativo al casco da motociclista (che
conteneva il DNA di Raneli) e la consapevolezza che si trattava di oggetto assai
rischioso se attentamente analizzato dagli inquirenti; contrariamente a quanto
affermato dal ricorrente, i tabulati telefonici – utili a smentire la versione di
una battuta di pesca dei due cognati e a dimostrare che gli stessi si trovavano
davanti al negozio prima dell’esplosione e si erano sentiti durante tutta la notte
– riguardavano i telefoni in uso ai due imputati: la Corte territoriale ricorda che
nell’intercettazione ambientale del 17/8/2005 era stato Lisciandro ad affermare
che il telefono cellulare di Raneli, benché intestato ad una nipote, fosse a lui in
uso.

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appare del tutto logica.

La sentenza non elude la questione del tipo di lesioni riportate da Raneli,
fornendo ampia e logica motivazione; chiarisce ampiamente – come aveva già
fatto il Tribunale – che il movente di un incendio esisteva sicuramente.

L’affermazione della responsabilità di Lisciandro Salvatore, poi, è fondata
solidamente sulla ricostruzione di quanto avvenuto prima e dopo l’incendio:
con lo stesso in continuo contatto con il cognato, che aveva accompagnato con
un’autovettura al negozio, aveva atteso l’esecuzione dell’incendio e poi lo aveva

La motivazione concernente la mancata concessione delle attenuanti
generiche a Raneli Gaetano è ampia e logicamente fondata.

4. Il ricorso dei due imputati deve, pertanto, essere rigettato.
Ciò comporta la declaratoria di estinzione per prescrizione del delitto di
simulazione di reato contestato a Raneli e il conseguente annullamento senza
rinvio della sentenza impugnata: alla luce della pena edittale, infatti, il termine
massimo di prescrizione è di sette anni e mezzo e quindi – anche tenendo
conto del periodo di sospensione pari a complessivi mesi sette e giorni sette – è
ampiamente decorso.
Al contrario, il reato di incendio non è prescritto, tenendo conto dei predetti
periodi di sospensione.
All’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per il delitto di
simulazione di reato consegue la rideterminazione della pena inflitta a Raneli
Gaetano Salvatore, cui può procedere direttamente questa Corte atteso il
preciso calcolo esposto nella sentenza di primo grado, confermata dalla Corte
territoriale.

P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Raneli Gaetano
Salvatore limitatamente al delitto di simulazione di reato perché estinto per
prescrizione; rigetta nel resto il ricorso e ridetermina la pena in anni tre e mesi
dieci di reclusione.
Rigetta il ricorso di Lisciandro Salvatore che condanna al pagamento delle
spese processuali.

Così deciso 1’8/7/2014

onsigliere este

D E P OS !TATA
IN CANCELLERIA

3 SET 2014

I Il Pre(.

riportato via, quindi con una consapevole agevolazione dell’azione di Raneli.

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