Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36719 del 22/04/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 36719 Anno 2015
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: NOVIK ADET TONI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DE CATALDIS WALTER N. IL 28/03/1975
avverso la sentenza n. 1085/2013 CORTE APPELLO SEZ.DIST. di
TARANTO, del 27/02/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 22/04/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ADET TONI NOVIK
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
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che ha concluso per
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 22/04/2015

RILEVATO IN FATTO

1. Con sentenza emessa il 27/2/2014, la Corte di appello di Lecce, sezione
distaccata di Taranto, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di
Taranto il 28/3/2013, assolveva Walter De Cataldis dal reato contestatogli ex art.
336 cod. pen., rideterminando in anni sei mesi sei di reclusione ed euro 13.000
di multa la pena inflitta per gli altri reati per cui in primo grado era intervenuta
condanna.

rispettivamente 1’11 maggio 2012 e il 9 dicembre 2011), era stato citato a
giudizio e poi condannato per i reati di lesioni aggravate in danno di Andrea
Di Carlo; detenzione e porto illegale di un’arma da guerra e relativo
munizionamento; esplosioni pericolose in luogo pubblico, per fatti commessi
1’11 luglio 2011, oggetto del primo decreto; detenzione e porto illegale di
un’arma da guerra e relativo munizionamento; esplosioni pericolose in luogo
pubblico, per fatti commessi il 15 luglio 2011, oggetto del secondo decreto.

3. Secondo la concorde valutazione dei giudici di merito, la responsabilità
dell’imputato per i fatti commessi il 15.7.2011 si ricavava dalle deposizioni degli
ufficiali di P.G. e dalle intercettazioni telefoniche. Il 14.7.2011, intorno alle ore
23,00, militari in borghese, nel corso di una immediata attività di indagine
relativa al ferimento a colpi d’arma da fuoco di due pregiudicati (tali Grimaldi
Cosimo e Appeso Cosimo) verificatosi poco prima, si erano portati presso
l’abitazione dell’imputato e, percependo che all’interno vi era qualcuno, avevano
inutilmente intimato l’apertura della porta d’ingresso. Mentre i militari
aspettavano l’intervento dei vigili del fuoco per procedere all’apertura forzosa era
arrivata a gran velocità un’autovettura “Peugeot 407”, di colore grigio
metallizzato, il cui conducente, dopo aver ripetutamente suonato il clacson per
richiamare la loro attenzione, aveva esploso cinque colpi di arma da fuoco, i cui
bossoli venivano recuperati, dandosi immeditamente alla fuga. Le indagini,
anche sulla base di intercettazioni telefoniche, consentivano la ricostruzione della
vicenda:
-all’interno dell’abitazione si trovavano i due figli dell’imputato che, vedendo
sconosciuti che cercavano di entrare, presi dalla paura avevano telefonato alla
madre rappresentando l’evento;
– De Cataldis, a fronte di questa situazione, aveva preso l’autovettura della
sorella, Peugeot 407, ed aveva raggiunto l’abitazione e, sparato in aria colpi di
arma da fuoco, al fine di far scappare gli sconosciuti;

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2. L’imputato, con due distinti decreti di giudizio immediato (emessi


– mentre ancora i militari erano all’interno dell’abitazione era giunta una
telefonata dell’imputato che li aveva avvisati che li teneva sotto controllo;
– in merito al possesso dell’arma da fuoco, De Cataldis riferiva che quella
stessa sera uno sconosciuto aveva depositato una busta contenente la pistola
sotto un vaso; aveva riposto l’arma vicino casa e l’aveva ripresa quando era
stato avvisato della presenza di sconosciuti che cercavano di entrare nella sua
abitazione.

che era stato colpito da un colpo di pistola all’arto inferiore sinistro mentre
circolava su uno scooter. I carabinieri erano stati allertati da una telefonata
anonima di una donna che aveva riferito di aver visto, dopo l’esplosione dei colpi
d’arma da fuoco, un uomo con un vistoso tatuaggio sull’avambraccio sinistro
che si era allontanato dal luogo a piedi. La responsabilità dell’imputato veniva
desunta dalle indagini balistiche comparative tra le ogive e i bossoli rinvenuti e
sequestrati la mattina dell’11.7.2011 e quelli rinvenuti e sequestrati la notte tra il
14 e il 15.7.2011, il cui esito aveva evidenziato che l’arma utilizzata per ferire Di
Carlo era la stessa usata da De Cataldis per esplodere colpi di pistola presso la
sua abitazione. La riconducibilità a costui di questo reato si ricavava anche dalla
sentenza irrevocabile del Tribunale di Taranto del 5.7.2010, in cui si dava conto
dei contrasti tra il gruppo criminale cui apparteneva De Cataldis e quello della
vittima.

5. Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a
mezzo del difensore di fiducia, deducendo con un primo motivo violazione
dell’art. 606 comma 1 lett. c) c.p.p. per erronea applicazione della norma
processuale con riferimento all’art. 192 c.p.p.
Il collegio giudicante aveva erroneamente applicato l’art 192 c.p.p.: la
perizia espletata rappresentava la prova dell’identità tra le due armi, ma non
provava che i due reati fossero imputabili al medesimo autore. La circostanza
che nei due episodi delittuosi fosse stata usata la stessa pistola non era
sufficiente per individuare nel De Cataldis l’autore del ferimento del Di Carlo
Andrea. La certezza dell’utilizzo della medesima arma collideva con la massima
di esperienza secondo cui chi commette un delitto con l’utilizzo di un’arma
immediatamente se ne disfa, la distrugge o, comunque, di certo non la usa per
commettere un ulteriore reato. La tesi proposta dalla Corte territoriale sul
contesto in cui era maturato il delitto non aveva fornito spiegazioni in merito alle
modalità con le quali il ricorrente, uscito da poche ore dalla Casa circondariale,
peraltro di Bergamo, avrebbe ordito il piano criminoso contro i suddetti nel
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4. I fatti commessi 1’11.7.2011 erano relativi al ferimento di tale Di Carlo,

territorio tarantino. L’imputato non era stato riconosciuto dalla vittima ed era
stata erroneamente interpretata la segnalazione anonima pervenuta ai
carabinieri dopo il ferimento di Di Carlo. La Corte di appello aveva attribuito il
tatuaggio al ferito, non considerando che questi non si era allontanato a piedi ma
era stato portato in ospedale con lo scooter.

6. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione dell’art. 606 comma
1 lett. e) per manifesta illogicità e carenza motivazionale della sentenza. L’iter

valutazioni compiute sulla corrispondenza delle due armi: la perizia balistica non
comprovava che l’imputato avesse commesso il fatto di reato dell’11.07.2011.
La Corte di Appello aveva individuato una connessione cronologica e fattuale tra
gli episodi del 11 e del 15 luglio 2011 sulla base di mera congettura.
Conclude per l’annullamento della sentenza, con o senza rinvio.

CONSIDERATO IN DIRMO
1. Il ricorso è infondato e va respinto. In ordine alla gravità indiziarla, la

contestazione operata dal difensore, sotto il profilo della violazione di legge non
tiene conto che nella giurisprudenza di legittimità è stato chiarito che il
procedimento logico di valutazione degli indizi si articola in due distinti
momenti: il primo è diretto ad accertare il maggiore o minore livello di gravità e
di precisione degli indizi, ciascuno considerato isolatamente, tenendo presente
che tale livello è direttamente proporzionale alla forza di necessità logica con la
quale gli elementi indizianti conducono al fatto da dimostrare ed è inversamente
proporzionale alla molteplicità di accadimenti che se ne possono desumere
secondo le regole di esperienza; il secondo momento del giudizio indiziario è
costituito dall’esame globale e unitario tendente a dissolverne la relativa
ambiguità, posto che “nella valutazione complessiva ciascun indizio
(notoriamente) si somma e, di più, si integra con gli altri, talché il limite della
valenza di ognuno risulta superato e l’incidenza positiva probatoria viene
esaltata nella composizione unitaria, sicché l’insieme può assumere il pregnante
e univoco significato dimostrativo, per il quale può affermarsi conseguita la
prova logica del fatto … che – giova ricordare – non costituisce uno strumento
meno qualificato rispetto alla prova diretta (o storica) quando sia conseguita con
la rigorosità metolodogica che giustifica e sostanzia il principio del ed. libero
convincimento del giudice” (Cass., Sez. Un. 4 febbraio 1992, Ballan).
Le linee dei paradigmi valutativi della prova indiziaria sono state recentemente
ribadite dalle Sezioni Unite secondo cui il metodo di lettura unitaria e
complessiva dell’intero compendio probatorio non si esaurisce in una mera
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valutativo seguito dei giudici era carente e illogico con riferimento alle

sommatoria degli indizi e non può, perciò, prescindere dalla operazione
propedeutica che consiste nel valutare ogni prova indiziarla singolarmente,
ciascuna nella propria valenza qualitativa, tendente a porne in luce i
collegamenti e la confluenza in un medesimo contesto dimostrativo (Cass. Sez.
Un. 12 luglio 2005, Mannino, rv. 231678).
La struttura e l’articolazione della motivazione della sentenza impugnata si
sottraggono alla censura del ricorrente in quanto si fondano sul dato probatorio
di indubbio spessore, su cui anche il ricorrente conviene, dell’identità dell’arma

sicuramente commesso da De Cataldis. Da cui la Corte trae la conclusione,
abbastanza ovvia, che se questi era in possesso dell’arma il 15/7 non vi è
motivo di dubitare che l’arma fosse in suo possesso quattro giorni prima.
Convincimento supportato anche dalla presenza di un forte movente, costituito
dall’appartenenza della vittima ad un gruppo criminale contrapposto a quello di
cui faceva parte De Cataldis. A fronte di questi elementi di apprezzabile valore
indiziante, in stretta connessione temporale e in un contesto che evoca una
guerra tra gruppi contrapposti (il 15/7 De Cataldis ha ipotizzato che fosse in atto
un’aggressione ai danni della sua famiglia) il ricorrente oppone spiegazioni
quanto mai risibili e di mero fatto.
L’immagine di sconosciuti che depongono una busta contenente la pistola
utilizzata poco prima per un ferimento proprio davanti l’abitazione del ricorrente
evoca uno scenario di fantasia, poco coerente con la realtà degli accadimenti.
Così come è incomprensibile il successivo comportamento di costui, che per la
sua incontestata esperienza avrebbe dovuto immaginare i pericoli connessi alla
detenzione dell’arma, nel decidere di occultarla per poi successivamente
prelevarla. Così che, all’argomentazione difensiva secondo cui non corrisponde
alla massima di esperienza che chi commette un delitto con l’utilizzo di un’arma
non la usa per commettere un ulteriore reato, può agevolmente rispondersi sia,
come ha fatto la Corte, che De Cataldis ha agito sotto la spinta dell’urgenza di
difendere i figli, sia che è dimostrato che il ricorrente ha comunque conservato e
utilizzato un’arma che non poteva escludere che fosse stata utilizzata per altri
reati, con ciò dimostrando che la richiamata regola di esperienza è aleatoria.
Per quanto attiene agli ulteriori elementi addotti (recente scarcerazione di
De Cataldis, identificazione dell’uomo con il tatuaggio, allontanamento della
vittima e asserito mancato riconoscimento), il ricorrente contesta la valutazione
in fatto compiuta in sentenza che, in quanto prerogativa esclusiva del giudice di
merito, non può essere posta in discussione in sede di legittimità, per
accreditare, in linea con quanto si prospetta nel ricorso, una diversa e alternativa
interpretazione dei materiale acquisito.
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utilizzata nei due eventi delittuosi, il secondo dei quali, quello del 15/7/2011,

2. La censura con cui si deduce vizio della motivazione, è generica e
infondata. Il giudice a quo ha dato conto adeguatamente — come illustrato nel
paragrafo che precede sub 1. — delle ragioni della propria decisione, sorretta da
motivazione congrua, affatto immune da illogicità di sorta, sicuramente
contenuta entro i confini della plausibile opinabilità di apprezzamento e
valutazione (v. per tutte: Cass., Sez. I, n. 624 del 5 maggio 1967, Maruzzella,
Rv. 105775 e, da ultimo, Cass., Sez. IV, n. 4842 del 2 dicembre 2003, Elia, Rv.
229369) e, pertanto, sottratta a ogni sindacato nella sede del presente scrutinio

ricorrente, che riprendono sub specie di vizio della motivazione quanto in
precedenza dedotto come violazione di legge processuale, benché inscenati
sotto la prospettazione di vitia della motivazione, si sviluppano tutti nell’orbita
delle censure di merito, sicché, consistendo in motivi diversi da quelli consentiti
dalla legge con il ricorso per cassazione, sono inammissibili a’ termini
dell’articolo 606, comma 3, cod. proc. pen.

3.

Ne consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al

pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processua li.
Così deciso in Roma, il 22 aprile 2015
Il Consigliere estensore

di legittimità; laddove le deduzioni, le doglianze e i rilievi residui espressi dal

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