Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36717 del 22/04/2015

Penale Sent. Sez. 1 Num. 36717 Anno 2015
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: NOVIK ADET TONI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Y.Z.
X.C.
avverso la sentenza n. 388/2014 CORTE APPELLO di MILANO, del
05/05/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 22/04/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ADET TONI NOVIK

 

Data Udienza: 22/04/2015

RILEVATO IN FATTO
1. Y.Z. e X.C. erano stati condannati alla pena di anni
16 di reclusione ciascuno per reati in materia di stupefacenti. A seguito di ricorso
per cassazione, la Sezione Prima di questa Corte annullava la sentenza di
secondo grado, rilevando la fondatezza delle censure mosse dalle difese degli
imputati con riguardo al capo 9), concernente un quantitativo di oltre 10 kg. di
eroina, rinvenuto in possesso di tale A.R.. La Corte di merito era stata

2. Con la sentenza emessa il 21/12/2011, in sede di giudizio di rinvio, la
Corte di appello di Milano aveva assolto i ricorrenti dall’imputazione sub 9),
rideterminando la pena in complessivi anni 14 e mesi 8.

3.

Detta sentenza era stata impugnata per cassazione dai difensori di

Y.Z. e X.C. che avevano lamentato la mancanza di motivazione, con
riguardo al tema delle circostanze attenuanti generiche, la cui negazione da
parte del primo giudice era stata oggetto di specifica doglianza negli originari
motivi di appello.

4. Accogliendo il ricorso, la Sezione Quinta di questa Corte ha rilevato che la
Corte di appello di Milano avrebbe dovuto rivalutare la concedibilità o meno ai
ricorrenti delle circostanze attenuanti ex art. 62 bis cod. pen., tema questo che
dalla lettura della sentenza non risultava in alcun modo affrontato, malgrado le
espresse indicazioni della Sezione Prima di questa Corte sopra richiamate.

5. Con sentenza emessa il 5 maggio 2014, la Corte di appello di Milano,
quale giudice di rinvio, ha ritenuto non concedibili le attenuanti generiche e
confermato la pena irrogata. A ragione della decisione, ha rilevato che gli
imputati erano stati ritenuti responsabili di reato associativo finalizzato al
narcotraffico, nel cui contesto ricoprivano posizioni di vertice, e che la gravità
delle condotte, protrattesi per non pochi mesi sovrintendendo personalmente agli
acquisti ed alla importazione in Italia della droga, non consentivano la
mitigazione della pena. Si argomentava ancora che entrambi si erano avvalsi
della facoltà di non rispondere; Y.Z. aveva precedenti specifici; la formale
incensuratezza di X.C. era priva di rilievo. Questi elementi non erano superati
dalla risalenza nel tempo dei fatti e dalla documentazione prodotta, attestante
l’inserimento in un regolare contesto sociale e lavorativo.

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quindi richiesta di riesaminare all’esito anche il trattamento sanzionatorio

6. La sentenza è stata impugnata con distinti ricorsi per cassazione dagli
imputati, a mezzo dei difensori di fiducia, che ne chiedono l’annullamento. Con
motivi sovrapponibili i ricorrenti deducono:
7.1. Violazione di legge processuale e vizio di motivazione in relazione alla
mancata concessione delle attenuanti generiche. La sentenza aveva adottato le
medesime argomentazioni e gli stessi elementi ostativi adottati in precedenza,
già ritenuti incompleti o illogici dal giudice di legittimità.
7.2. Violazione di legge sostanziale e vizio di motivazione per aver, ai fini del

alla gravità del fatto e del reato, trascurando gli altri parametri previsti dall’art.
133 cod. pen. che, se correttamente valutati, avrebbero dovuto portare ad una
diversa valutazione della personalità dei ricorrenti. Si rileva che in sede di
richiesta di condanna il pubblico ministero aveva chiesto la concessione delle
attenuanti generiche. Per X.C. non era stata considerata l’incensuratezza; per
entrambi gli imputati si menzionano le condizioni familiari; le regolari condizioni
di vita; il corretto comportamento mantenuto durante la detenzione.
7.3. Violazione di legge sostanziale e vizio di motivazione in relazione alla
mancata concessione delle attenuanti generiche. Non era stato considerata la
risalenza nel tempo dei reati, le modalità non violente dell’azione, l’assoluzione
dal più grave capo di imputazione. Era stato valorizzato l’indice relativo alla
posizione rivestita nell’associazione, ma senza specificare le ragioni per cui
questo elemento era ostativo alla concessione delle attenuanti. La gravità del
reato era stata già tenuta in considerazione ai fini della quantificazione della
pena. Era stato valorizzato il dato che le condotte si erano articolate per non
pochi mesi, nonostante che dagli atti processuali emergesse che i fatti si erano
svolti in poco più di quattro mesi.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono manifestamente infondati e vanno dichiarati inammissibili.
Per quanto attiene ai primi due motivi, nella sentenza di questa Corte emessa il
7/4/2011 si legge che per la Corte territoriale il diniego ad X.C. delle
attenuanti generiche si era fondato sulla oggettiva gravità delle condotte.
L’imputato, si era detto, avvalendosi della facoltà di non rispondere aveva
certamente esercitato un legittimo diritto, ma aveva dimostrato di non volere
collaborare in alcun modo con la giustizia.
Per gli stessi motivi era stata respinta la richiesta di Y.Z.,
aggiungendosi che non appariva sufficiente per la concessione delle attenuanti
generiche il comportamento serbato dall’imputato prima della commissione dei

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rigetto della concessione delle attenuanti generiche, fatto riferimento soltanto

fatti. La Corte di legittimità non aveva preso in esame il motivo relativo alle
generiche perché assorbito dalla decisione di annullamento.

2. La sentenza impugnata nel giudizio di rinvio ha fatto corretta applicazione
dei principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità in relazione alla
concedibilità delle attenuanti generiche. Dette attenuanti, nel nostro
ordinamento, hanno lo scopo di allargare le possibilità di adeguamento della
pena in senso favorevole al reo, in considerazione di situazioni e circostanze

della capacità di delinquere dell’imputato. Il riconoscimento di esse richiede,
dunque, la dimostrazione di elementi di segno positivo. La concessione o il
diniego delle attenuanti generiche rientrano nel potere discrezionale del giudice
di merito, il cui esercizio, positivo o negativo che sia, deve essere bensì motivato
ma nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso
giudice circa adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato e
dalla personalità del reo. Il giudice non è tenuto ad una analitica valutazione di
tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli dedotti dalla parte, nè ha l’onere di
confutare specificamente la possibile valenza di ogni elemento invocato dalla
difesa ma, in una visione globale di ogni particolarità del caso, è sufficiente che
dia l’indicazione di quelli ritenuti decisivi ai fini della concessione o del diniego,
rimanendo implicitamente disattesi e superati tutti gli altri.
Nella fattispecie in esame, la Corte di merito, nel corretto esercizio del
potere discrezionale riconosciutole in proposito dalla legge -in carenza di congrui
elementi di segno positivo- ha dato rilevanza decisiva alla gravità dei fatti, alla
gravità e pluralità delle condotte perpetrate dai ricorrenti, al ruolo di rilievo nel
consesso criminale, anche in rapporto all’arco temporale interessato, deducendo
logicamente prevalenti significazioni negative dalla personalità degli stessi, e per
Y.Z. anche dai precedenti penali. La prospettazione nei ricorsi di ragioni
diverse ai fini della concedibilità delle attenuanti previste dall’art. 62 bis
costituisce un tipico motivo di merito non ammesso nel giudizio di legittimità.

2. Quanto all’ultimo motivo, si osserva che nell’esercizio del suo potere
discrezionale il giudice può utilizzare più volte lo stesso fattore, per giustificare le
scelte operate in ordine agli elementi la cui determinazione è affidata al suo
prudente apprezzamento. Ciò che è richiesto, come nel caso di specie in
relazione alla gravità del reato, è che il fattore stesso presenti un significato
polivalente.

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particolari che effettivamente incidano sull’apprezzamento dell’entità del reato e

3. Ne consegue l’inammissibilità dei ricorsi e la condanna dei ricorrenti al
pagamento delle spese del procedimento nonché al versamento ciascuno in
favore della Cassa delle Ammende, di una somma determinata, equamente, in
Euro 1000,00, tenuto conto del fatto che non sussistono elementi per ritenere
che “la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione
della causa di inammissibilità”. (Corte Cost. 186/2000).

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e ciascuno al versamento della somma di Euro 1000,00 alla
Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 22 aprile 2015
Il Consigliere estensore

P.Q.M.

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