Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36716 del 22/04/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 36716 Anno 2015
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: CAVALLO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LATTE FRANCESCA N. IL 07/08/1955
avverso la sentenza n. 12707/2010 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
21/03/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 22/04/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ALDO CAVALLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. qogebece, kl2.4042._
che ha concluso per eQ,

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 22/04/2015

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza deliberata il 21 marzo 2014 la Corte di Appello di Napoli per quanto ancora assume rilevanza nel presente giudizio di legittimità – ha
dichiarato la dottoressa Francesca Latte, medico chirurgo specialista in pediatria
e neuropsicologia infantile nonché legale rappresentante della Medical Service
s.a.s., società gerente il Centro Polispecialistico San Paolo con sede in Napoli,
colpevole, a titolo di colpa, del delitto di tentata somministrazione di medicinali

del delitto doloso (capo D della rubrica), dichiarando invece estinti per
prescrizione sia la contravvenzione prevista e punita dall’art. 193 R.D. n.
1265/1934, contestata al capo B della rubrica (apertura ed esercizio abusivo di
un centro polispecialistico nel quale venivano praticate prestazioni sanitarie non
autorizzate con finalità speculative) sia quella prevista e punita dall’art. 63 del
d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 (violazione dell’obbligo di tenuta dei libri di carico e
scarico delle materie stupefacenti e di trasmissione annuale dei dati al Ministero
della Sanità) contestata al capo C della rubrica, condannandola, previa
concessione delle attenuanti generiche, alla pena di giustizia.
1.1 Nel premettere che la contestazione mossa alla Latte scaturiva
dall’attività investigativa svolta dai Carabinieri del N.A.S. di Napoli, concretatasi,
tra l’altro, in un sopralluogo nella struttura sanitaria eseguito il 10 ottobre 2008,
da cui era emerso, tra l’altro:
a) che presso il centro polispecialistico erano state certamente praticate
delle prestazioni mediche non autorizzate, eseguite dal dottor Vincenzo Accardo
che aveva effettuato interventi chirurgici di medicina estetica in anestesia
generale e/o endovenosa non autorizzati dalla legge;
b) la presenza nella struttura di alcune confezioni (venti) di medicinale
anestesiologico dotato di azione stupefacente;
c) la presenza, nel poliambulatorio, di alcuni farmaci imperfetti (nove),
rinvenuti in due armadietti ed all’interno di un frigorifero ubicato in un locale
attiguo alla sala operatoria;
la Corte territoriale riteneva:
– quanto alle contravvenzioni dichiarate prescritte, che non sussistevano gli
elementi per mandare assolta l’imputata, non essendo dubitabile che la Latte, in
quanto legale rappresentante della Medical Service s.a.s. e direttore del Centro
Polispecialistico San Paolo rivestiva una “posizione di garanzia” perché titolare
dei poteri e doveri di vigilanza e di organizzazione tecnico-sanitaria demandati
dalla normativa di settore (D.M. 5 agosto 1977 – d.P.R. 14 gennaio 1997 delibera Giunta regionale Campania n. 7301 del 31 dicembre 2001) al

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guasti o imperfetti, così modificata l’originaria imputazione formulata nei termini

”responsabile organizzativo” della struttura, nello specifico, per altro,
(formalmente) non designato;
– quanto al delitto di tentata somministrazione di medicinali imperfetti
perché scaduti di validità, che sussisteva la penale responsabilità dell’imputata,
in concorso con il coimputato Accardo, sia pure relativamente ai soli nove
farmaci rinvenuti all’interno della struttura sanitaria di cui trattasi, dovendo
ritenersi infondate le deduzioni difensive secondo cui, in relazione a tale
contestazione, era ravvisabile l’esclusiva e diretta responsabilità del solo

Accardo (che aveva stipulato con il poliambulatorio un contratto per l’utilizzo
della sala operatoria), da individuarsi, per altro, come l’unico responsabile delle
attività cliniche o chirurgiche svolte, non rivestendo la prevenuta la qualità di
direttore sanitario della struttura, confliggendo tale assunto con il dato che alla
Latte, in quanto legale rappresentante della società gerente e responsabile
amministrativa del centro, deve riconoscersi senz’altro la qualità di direttrice
sanitaria, con la conseguenza che, ai sensi del citato D.M. 5 agosto 1977, proprio
all’imputata competeva “oltre alla vigilanza sul comportamento del personale
addetto ai servizi sanitari ed alla regolare tenuta del registro di carico e scarico
degli stupefacenti” anche “la vigilanza sulla scorta dei medicinali e dei prodotti
terapeutici (art. 19)”;
– quanto alla qualificazione della condotta contestata come integrante
l’ipotesi della fattispecie tentata e non già di quella consumata, che pur
configurandosi il delitto contestato alla Latte come un reato di pericolo, integrato
da qualsiasi comportamento che renda probabile o possibile la concreta
utilizzazione del medicinale guasto, senza che sia neccessario provare l’effettiva
somministrazione dello stesso, doveva ritenersi senz’altro configurabile l’ipotesi
del tentativo, conformemente all’orientamento espresso da questa Corte (Sez. 1,
n. 3198 del 12/01/1999 – dep. 09/03/1999, P.M. in proc. Camoirano, Rv.
212633) precisando in particolare i giudici di appello che tale diversa
qualificazione del fatto a titolo colposo non violava il principio di correlazione tra
imputazione e sentenza, non comportando esso una trasformazione radicale del
fatto nei suoi elementi essenziali.

2. L’imputata ha proposto impugnazione avverso l’indicata sentenza, per il
tramite del proprio difensore, chiedendone l’annullamento con o senza rinvio.
2.1 Con un primo motivo d’impugnazione si deduce violazione della legge
penale, fondandosi la decisione impugnata sull’errato presupposto di fatto che la
Latte, rivestendo la qualifica di direttore sanitario all’interno del presidio
ambulatoriale, sarebbe titolare di poteri e doveri di vigilanza costituenti una
posizione di garanzia rilevante ex art. 40 cpv. cod. pen., senza considerare che,
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coimputato, risultando i medicinali imperfetti di esclusiva titolarità del dottor

nel caso di specie, non è applicabile il D.M. 5 agosto 1977, le cui disposizioni in
tema di direzione sanitaria riguardano le case di cura private (ovvero quelle
strutture sanitarie che “provvedono al ricovero di cittadini italiani o stranieri a fini
diagnostici, curativi o riabilitativi”) e non certamente il Centro Polispecialistico
San Paolo, struttura nella quale le prestazioni sanitarie venivano effettuate in
regime ambulatoriale.
A sostegno della tesi secondo cui alla Latte non può attribuirsi la qualifica di
direttore sanitario, nel ricorso si evidenzia in particolare:

per le strutture quali il Centro Polispecialistico San Paolo che erogano prestazioni
di assistenza specialistica in regime ambulatoriale;
2°) che la delibera della Giunta Regionale n. 3958 del 7 agosto 2001
dispone che è il Comune a rilasciare, per le strutture accreditate, l’autorizzazione
all’esercizio dell’attività sanitaria con provvedimento indicante il nome ed i titoli
accademici del direttore sanitario, ove richiesto dai requisiti minimi organizzativi
approvati dalla Giunta Regionale;
3°) che il modulo allegato alla delibera n. 3958 del 7 agosto 2001 non
prevede la nomina del direttore sanitario;
4°) che la delibera n. 7301 del 31 dicembre 2001 alla sezione A, relativa ai
requisiti minimi strutturali, tecnologici ed organizzativi per le strutture che, come
il Centro Polispecialistico San Paolo, erogano prestazioni di assistenza
specialistica in regime ambulatoriale, si limita a disporre la presenza, durante lo
svolgimento dell’attività ambulatoriale, di almeno un medico specialista della
branca, indicato quale responsabile delle attività cliniche e chirurgiche svolte
nell’ambulatorio e, nel caso di di ambulatori polispecialistici, l’individuazione tra i
medici specialisti di un responsabile delle attività organizzative, senza nulla
statuire, però, in ordine alla nomina di un direttore sanitario;
5°) che l’autorizzazione rilasciata dal Comune di Napoli al Centro
Polispecialistico San Paolo è stata volturata ad altro medico senza l’attribuzione
della predetta qualifica.
Da tali elementi discende allora, secondo la ricorrente, che la qualifica di
direttore sanitario alla Latte contenuta nel decreto sindacale risulta
evidentemente inficiata dall’erroneo convincimento che la Medical Service s.a.s.
fosse una casa di cura convenzionata con il SSN per cui sarebbe stata necessaria
la nomina del direttore sanitario, con la conseguenza, in diritto, che i giudici di
merito avrebbero dovuto escludere qualsiasi posizione di garanzia in capo alla
ricorrente ed assolverla da tutti i reati contestati, anche quelli dichiarati
prescritti.
2.2 Con un secondo motivo d’impugnazione si deduce violazione di legge e
vizio di motivazione, con riferimento alla qualificazione giuridica del fatto
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1°) che il d.P.R 14 gennaio 1997 non prevede la figura del direttore sanitario

contestato come tentativo, decisione ritenuta illegittima in quanto espressione di
un incongruo fenomeno di “semplificazione probatoria della fattispecie” nel senso
che la Corte, individuata la fattispecie astratta come reato omissivo colposo nella
forma tentata, ha fatto derivare dalla prova dell’omissione automaticamente la
prova della colpa e viceversa.
Tale decisione, in particolare, viola secondo la ricorrente i principi in tema di
responsabilità penale personale, di reati di posizione e di punibilità del tentativo,
contestandosi in particolare che l’assunzione di una posizione di garanzia possa

sempre da un giudizio sulla contrarietà della condotta dell’imputato al dovere di
diligenza, prudenza e perizia.
Al riguardo si evidenzia come la giurisprudenza, in tema di detenzione di
medicinali scaduti nell’ambito dei reparti ospedalieri, al fine di valutare la
eventuale responsabilità dei sanitari operanti nella struttura ospedaliera ai vari
livelli della catena gerarchica, si sia posta la necessità di verificare la sussistenza
di comportamenti di effettiva inosservanza delle norme prevenzionali di
diligenza, prudenza o perizia; indagine questa obiettivamente complessa, che
deve tener conto dei poteri di controllo, delle sfere di vigilanza riferibili ai singoli
sanitari, al fine di calibrare correttamente il giudizio di prevedibilità ed evitabilità
del fatto e di evitare forme di responsabilità di posizione, in contrasto con l’art.
27 comma 1 della Costituzione.
Tale indagine risulta totalmente assente nel caso di specie, non evidenziando
la decisione gli effettivi profili di colpa dell’imputata, tenuto conto che i farmaci
scaduti sono stati rinvenuti all’interno di un frigorifero di tipo casalingo ubicato
nella “tisaneria” e destinato unicamente a contenere bibite da consumare.
Ulteriore profilo di illegittimità della decisione impugnata viene ravvisato in
ricorso nella circostanza che mentre la Latte è stata assolta dal reato di lesioni
colpose, per non aver commesso il fatto con riferimento al mancato controllo del
coimputato Accardo la conferma di una sua condanna per tentata
somministrazione di medicinali guasti o imperfetti significherebbe riconoscere
una posizione di garanzia relativamente ai reati di pericolo, esclusa invece per i
reati di evento.
2.3 Con l’ultimo motivo di impugnazione si deduce, infine, attraverso il
richiamo di pertinenti arresti giurisprudenziali anche della Corte Europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo (sentenza dell’Il dicembre 2007, Drassich ci
Italia) – la nullità della sentenza, per violazione della regola di correlazione tra
l’imputazione contestata e la sentenza (art. 521 cod. proc. pen.), osservando, in
sintesi, che nel caso di specie non solo non sussiste il richiesto nucleo comune
tra fatto addebitato e fatto ritenuto, ma è avvenuto, invero, che i giudici di
appello, a sorpresa, nell’impossibilità di ravvisare una condotta dolosa dell’im
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essere sufficiente, da sola, ad integrare una responsabilità colposa che dipende

putata, hanno individuato un fatto del tutto nuovo (ovvero una condotta colposa)
su cui non vi è mai stato contraddittorio tra le parti, a nulla rilevando,
evidentemente, la minore gravità del fatto ritenuto rispetto a quello contestato.

Considerato in diritto

1. Il ricorso proposto nell’interesse di Latte Francesca è fondato nei limiti
meglio precisati in prosieguo.

d’impugnazione il cui esame assume carattere preliminare.
Ed invero, secondo il consolidato indirizzo interpretativo di questa Suprema
Corte, il principio di correlazione fra contestazione e sentenza risulta violato
allorché vi sia una sostanziale innmutazione del fatto contestato, tale da
determinare uno “stravolgimento” dell’imputazione originaria. Quando il fatto
accertato in sentenza si trovi cioè, rispetto a quello contestato, in rapporto di
ontologica eterogeneità o incompatibilità, nel senso che viene a realizzarsi una
vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali
dell’addebito nei confronti dell’imputato posto in tal modo di fronte ad un fatto
“nuovo”, rispetto al quale non ha alcuna possibilità di effettiva difesa.
Ne consegue che non vi è immutazione, ma solo diversa qualificazione
giuridica, quando la condotta inizialmente contestata resta identificabile in quella
ritenuta in sentenza, che della prima ha mantenuto i connotati distintivi
fondamentali, come ad esempio accade quando fra le due condotte vi è un
rapporto di continenza, (cfr. sez. 1, 27.10.1997 n. 9958, Carelli ed altri, RV
208935; sez. 3, 13.7.1999 n. 11861, Firrincieli, RV 215551).
Orbene, nel caso in esame, al di là della difforme individuazione in grado di
appello delle norme del codice penale, asseritamente violate dall’imputata (gli
artt. 56, 443 e 452 cod. pen.), la condotta penalmente sanzionata, seppure
qualificata come colposa, non risulta affatto significativamente difforme rispetto
a quella contestata, risultando in effetti sempre quella della detenzione per la
somministrazione di farmaci scaduti.
1.2 Quanto poi alle argomentazioni difensive sviluppate nel primo motivo
d’impugnazione e volte, nelle loro policromtarticolazioni, ad escludere in radice
la configurabilità di una responsabilità penale dell’imputata, non potendo
riconoscersi alla stessa la veste di direttore sanitario della struttura
poliambulatoriale e quindi un’effettiva posizione di garanzia, ritiene il Collegio
che nessun effettivo profilo di illegittimità è ravvisabile sul punto nella decisione
impugnata, avendo la Corte territoriale correttamente evidenziato: in fatto, come
la dottoressa Latte rivestisse la qualità di direttore responsabile del Centro
Polispecialistico San Paolo e di legale rappresentante della società Medical
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1.1 Privo di fondamento deve ritenersi, anzitutto, il terzo ed ultimo motivo

Service di Latte Francesca s.a.s., gerente l’attività nel centro, ciò emergendo, in
particolare, dal decreto sindacale n. 23/45 del 24 aprile 2007 in atti; in diritto,
che per l’univoca elaborazione giurisprudenza di questa Corte (in termini, Sez. 4,
n. 38991 del 10/06/2010 – dep. 04/11/2010, Quaglierini e altri, Rv. 248849) «si
delinea una posizione di garanzia a condizione che: (a) un bene giuridico
necessiti di protezione, poiché il titolare da solo non è in grado di proteggerlo;
(b) una fonte giuridica – anche negoziale – abbia la finalità di tutelarlo; (c) tale
obbligo gravi su una o più persone specificamente individuate; (d) queste ultime

siano ad esse riservati mezzi idonei a sollecitare gli interventi necessari ad
evitare che l’evento dannoso sia cagionato», condizioni senz’altro tutte
sussistenti nel caso di specie.
1.3 Tanto precisato risulta però preliminare ed assorbente il rilievo che
illegittimamente la decisione impugnata ha inquadrato la detenzione colposa di
specialità medicinali imperfette ascritta alla ricorrente, all’interno dello schema
di tentativo di somministrazione.
Ed invero la decisione impugnata è pervenuta a tale inquadramento, in base
ad una frettolosa ed errata interpretazione del contenuto del precedente
giurisprudenziale ivi citato (Sez. 1, n. 3198 del 12/01/1999 – dep. 09/03/1999,
P.M.in proc. Camoirano, Rv. 212633) che a sua volta richiamava, con riferimento
ad altra questione (ovvero per escludere la equiparabilità della mera detenzione
per la somministrazione, come tale non punibile, alla detenzione per il
commercio, normativamente sanzionata) altro precedente arresto di questa
Corte (Sez. 1, n. 4140 del 10/02/1995 – dep. 14/04/1995, P.M. in proc. Sciutto
ed altri, Rv. 200793), nei E quale, in realtà, non si afferma affatto la
configurabilità di un tentativo di detenzione per la somministrazione – di per sé
astrattamente configurabile – nell’ipotesi di detenzione colposa di medicinali
guasti od imperfetti.
1.3.1 Al riguardo, del resto, è appena il caso di rammentare che secondo
l’unanime dottrina penalistica, il delitto tentato è reato strutturalmente doloso.
Per quanto ad una considerazione rigorosamente oggettiva, e soprattutto
con riferimento ai reati colposi di evento, si potrebbe sostenere, in via
puramente teorica, l’astratta compatibilità ontologica tra colpa e tentativo, il dato
positivo contenuto nell’articolo 56 cod. pen. costituisce uno sbarramento
insuperabile per la praticabilità di una simile opzione applicativa.
Ed infatti, come sostenuto da autorevole dottrina in sede di commento alla
sentenza Sciutto, «l’estremo della direzione degli atti verso la realizzazione del
progettato delitto, secondo la ricostruzione dogmatica fornita dalla più
accreditata dottrina e dalla giurisprudenza prevalente, non è soltanto “requisito
di essenza”, esclusivamente collocabile a livello della fattispecie obiettiva, ma
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cke

siano dotate di poteri atti ad impedire la lesione del bene garantito, ovvero che

refluisce altresì sul piano della conformazione dell’elemento soggettivo del delitto
tentato, escludendo addirittura la configurabilità di un tentativo commesso con
dolo eventuale; il “raggiungimento del pravo fine” (utilizzando la classica
definizione prospettata in dottrina), presuppone una consapevole orientazione
teleologica della condotta, come tale logicamente inconciliabile con l’estremo
della “controvolontà”, quale requisito tipico di caratterizzazione normativa della
fattispecie colposa ex articolo 43, terzo comma, cod. pen.».

l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata in ordine alla ritenuta
fattispecie di cui agli artt. 56, 443 e 452 cod. pen. perché il fatto non è previsto
dalla legge come reato.

P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata in ordine alla ritenuta fattispecie
di cui agli artt. 56, 443 e 452 cod. pen. perché il fatto non è previsto dalla legge
come reato; rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 22 aprile 2015.

3. Alla stregua delle considerazioni sin qui svolte s’impone, in conclusione,

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