Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36715 del 22/04/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 36715 Anno 2015
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: CAVALLO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
ROMA
nei confronti di:
CARAUS ILIE N. IL 24/08/1982
avverso la sentenza n. 1570/2013 CORTE APPELLO di ROMA, del
07/02/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 22/04/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ALDO CAVALLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 90-9AZALQL tt~,01,5″.
che ha concluso per j9. 44ea-c> ote-e- tt.

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv. +: Ciet(” 011Ce4″ 1;1’A4′.42

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Data Udienza: 22/04/2015

Ritenuto in fatto

1. Il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di
Roma impugna per cassazione, la sentenza di quella Corte territoriale deliberata
il 30 settembre 2013 nei confronti del cittadino moldavo Caraus The, nella parte
in cui:
– ha assolto il predetto imputato, con la formula per non aver commesso il
fatto, dal reato di tentato omicidio in danno del cittadino rumeno Ion Gabriel

Urdea (capo B) e di concorso nella illegale detenzione e nel porto in luogo
pubblico di una pistola (capo C), reati commessi il 28 ottobre 2010 in RomaOstia; nonché dal reato di concorso nella detenzione illegale e nel porto in luogo
pubblico di una ulteriore pistola (capo E), fatto commesso in Roma-Vitinia, il 24
ottobre 2010;
– ha dichiarato non doversi procedere nei confronti del medesimo imputato
per il reato di minacce in danno dei cittadini rumeni Ion e Teodor Urdea (capo D)
commesso in Roma-Vitinia, il 24 ottobre 2010, per mancanza di querela, esclusa
per lui l’aggravante dell’arma.

2. Come precisato dal PG ricorrente, la Corte territoriale, infatti, evidenziato
preliminarmente il legame esistente tra i fatti di cui ai Capi D ed E e quelli
successivi di cui ai capi B e C, era pervenuta alla pronuncia di proscioglimento
del Caraus in quanto, pur ritenendo pacifica la presenza dell’imputato in loco (il
litorale di Ostia) al momento dell’esplosione dei tre o quattro colpi di pistola in
direzione dei cittadini rumeni Ion Gabriel Iuganaru e Ion Urdea, ivi convocati dal
Caraus e da un suo connazionale, successivamente identificato nel coimputato
Donogoa Anatolie, per non meglio precisati chiarimenti, aveva valutato un
elemento di prova non tranquillante il riconoscimento fotografico dell’imputato
come l’autore degli spari operato, a distanza di due giorni dai fatti, dal teste
oculare Cabitza, sia perché a tale riconoscimento, non aveva fatto seguito una
ricognizione formale, sia anche perché lo stesso non era stato preceduto da note
descrittive del feritore “individualizzanti”, indicative cioè di una sicura
memorizzazione da parte del teste delle caratteristiche fisiche dello sparatore,
sia infine perché tale riconoscimento, come dichiarato dal Cabitza in
dibattimento, era stato formulato in termini di elevata ma non assoluta certezza;
sia infine perché le parti offese del delitto sub B avevano concordemente
dichiarato, nel corso delle indagini preliminari, che ad esplodere i colpi di pistola
che li ferirono non fu il Caraus (da essi indicato con le generalità di Iabanji Ilie)
ma la persona che ad esso si accompagnava, e cioè lo Anatoli, e che anzi lo
Iabanji, avvedutosi che l’Anatoli aveva estratto una pistola nel corso della

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Iuganaru e dal delitto di lesioni aggravate in danno del cittadino rumeno Ion

discussione, aveva cercato di dissuaderlo dal farne uso e di arrestarne l’azione
gridandogli di non sparare; affermazioni significativamente confortate da
analoghe dichiarazioni della teste Urdea Aurelia (moglie di uno dei fratelli Urdea,
Petru), che aveva assistito ai fatti del 24 ottobre e da quelle della teste de relato
Urdea Mariana (moglie di Urdea Teodor).
2.1 Ciò posto, nel ricorso, con un primo motivo d’impugnazione, si censura
la sentenza impugnata, sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di
motivazione, in relazione al proscioglimento del Caraus dalle imputazioni di cui ai

stretto collegamento esistente tra i due episodi (quello del 24 e quello del 28
ottobre); (b) la sicura presenza in loco del Caraus nel parcheggio di Vitinia in
occasione del primo scontro, provata dalle attendibili dichiarazioni delle testi
Mariana e Aurelia Urdea, laddove la circostanza che le suddette abbiano
attribuito al Donoaga il materiale possesso della pistola, non esclude,
evidentemente, il concorso del Caraus, organizzatore e protagonista del
chiarimento, nella illegale detenzione e nel porto in luogo pubblico dell’arma.
2.2 Con un secondo motivo d’impugnazione si censura la sentenza
impugnata, sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione,
anche in relazione alla pronuncia di proscioglimento del Caraus dalle imputazioni
di cui ai capi B e C, avendo i giudici di appello del tutto incongruamente
svalutato il riconoscimento fotografico operato solo due giorni dopo i fatti dal
teste oculare Cabitza, non considerando che al teste non era stata richiesto di
operare una ricognizione formale e che era del tutto comprensibile la circostanza
che il predetto teste si fosse riservato un margine di incertezza, per altro assai
minimo, nel riconoscimento, specie ove si consideri il dato della sicura presenza
in loco dell’imputato e dell’esistenza di uno strettissimo legame tra tale ultimo
episodio e quello in Vitinia del 24 ottobre 2010, sicché, in conclusione, la
decisione di prosciogliere il Caraus dalle imputazioni a lui ascritte, andava
annullata, in quanto viziata da una non meditata valutazione delle risultanze
processuali.

Considerato in diritto

1. L’impugnazione proposta dal Procuratore Generale della Repubblica
presso la Corte d’Appello di Roma è basata su motivi infondati e va quindi
rigettata.
1.1 Deducendo in realtà il PM ricorrente, al di là di una non meglio precisata
inosservanza della legge penale e di una pretesa violazione delle regole sulla
valutazione delle prove, un vizio di motivazione, non è superfluo precisare, in
primo luogo, che in sede di ricorso per cassazione sono rilevabili esclusivamente

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capi D ed E, non avendo i giudici di appello adeguatamente valutato: (a) lo

i vizi di motivazione che incidano sui requisiti minimi di esistenza e di logicità del
discorso argomentativo svolto nel provvedimento e non sul contenuto della
decisione (in tal senso, Sez. 6^, Sentenza n. 1434 del 4/6/1996, Rv. 205656).
In particolare questa Corte ha da tempo chiarito che «il controllo di
legittimità sulla motivazione è diretto ad accertare se a base della pronuncia del
giudice di merito esista un concreto apprezzamento degli indizi di colpevolezza e
se la motivazione non sia puramente assertiva o palesemente affetta da vizi
logici» (così Sez. 6^, Sentenza n. 1762 del 1/6/1998, Rv. 210923).

consistenza degli indizi sia le eventuali incongruenze logiche che non siano
manifeste, ossia macroscopiche, eclatanti, assolutamente incompatibili con altri
passaggi argomentativi. Ne consegue che non possono trovare ingresso in sede
di legittimità i motivi di ricorso fondati su una diversa prospettazione dei fatti né
su altre spiegazioni, per quanto plausibili o logicamente sostenibili, formulate dal
ricorrente.
1.2 Alla stregua di tali principi, se pure deve riconoscersi, quanto al primo
motivo d’impugnazione relativo al proscioglimento del Caraus dalle imputazioni
di cui ai capi D ed E, che il fatto storico della presenza dell’imputato in località
Vitinia il 24 ottobre 2010 in occasione della commissione del reato di minaccia
con arma in danno di Ion e Teodor Urdea, rappresenta un dato non controverso
nel presente giudizio, nessun profilo di illegittimità è tuttavia fondatamente
ravvisabile nella decisione impugnata per avere i giudici di appello ritenuto
insussistente una prova certa ed inconfutabile di un corso, anche solo morale,
dell’imputato nella detenzione e nel porto illegale dell’arma, ferma la
derubricazione, operata già dal primo giudice, del fatto contestato sub D nel
reato di minaccia, perseguibile a querela di parte, attesa l’esclusione
dell’aggravante dell’uso dell’arma.
Al riguardo deve infatti rilevarsi che i giudici di appello, contrariamente a
quanto sostenuto nell’atto di impugnazione, non risultano essere incorsi in
alcuna violazione delle regole di valutazione della prova avendo evidenziato, al
riguardo, per un verso, che le testi Urdea Aurelia e Urdea Mariana, con
dichiarazioni disinteressate e della cui attendibilità non vi era quindi ragione di
dubitare in modo preconcetto, avevano escluso che fosse stato proprio l’odierno
ricorrente ad estrarre l’arma ed a minacciare con la stessa Ion e Teodor Urdea
attribuendo invece tale condotta ad un’iniziativa del solo coimputato Donoaga
Anatolie; per altro verso, che tali dichiarazioni avevano trovato significativa
conferma in quelle rese autonomamente dalle persone offese, al di fuori di ogni
possibile condizionamento.

Restano pertanto escluse da tale controllo sia l’interpretazione e la

In assenza di elementi certi dimostrativi dell’esistenza di un previo accordo
tra l’odierno ricorrente ed il Donoaga, accertato che l’unico elemento indiziante a
carico dell’imputato era rappresentato, quindi, dalla sola sua presenza sul luogo
di commissione dei fatti, non è superfluo rammentare che, per costante
giurisprudenza (in termini, Sez. 2, n. 28855 del 08/05/2013 – dep. 08/07/2013,
Bielatowicz e altro, Rv. 256465), la presenza fisica allo svolgimento dei fatti
integra un’ipotesi di concorso morale penalmente rilevante qualora si attui in
modo da realizzare un rafforzamento del proposito dell’autore materiale del reato

l’evento del reato ed abbia partecipato ad esso esprimendo una volontà
criminosa uguale a quella dell’autore materiale, condizioni queste in alcun modo
provate incontrovertibilmente nel presente giudizio, ma al contrario
motivatamente escluse dai giudici di appello, in base alle indicate dichiarazioni
testimoniali.
1.3 Considerazioni non dissimili vanno svolte anche con riferimento alle
censure mosse dal PM ricorrente alla decisione di prosciogliere del Caraus anche
dalle imputazioni di cui ai capi B e C.
Se è pur vero, infatti, che l’individuazione di un soggetto – sia personale sia
fotografica – è una manifestazione riproduttiva di una percezione visiva e
rappresenta, perciò, una specie del più generale concetto di dichiarazione; di
modo che la sua forza probatoria non discende tanto dalle modalità formali del
riconoscimento, bensì dal valore della dichiarazione confermativa, alla stessa
stregua della deposizione testimoniale (in termini, Sez. 2, Sentenza n. 47871 del
28/10/2003, dep. 15/12/2003, Rv. 227079, imp. Tortora), sta di fatto, però, che
nel presente giudizio i giudici di appello, con argomentazioni sul punto del tutto
plausibili e logiche, hanno adeguatamente illustrato le ragioni per cui il
riconoscimento, di tipo fotografico, del ricorrente come colui che il 28 ottobre
2010 fece fuoco all’indirizzo dello Juganaru e dell’Uredea operato dal teste
Cabitza, doveva ritenersi elemento di prova non tranquillante, in quanto
avvenuto a distanza di due giorni dal fatto, non seguito da esperimento di
riconoscimento formale di persona e di dubbia attendibilità, sia perché preceduto
da note descrittive che evidenziavano la mancata percezione o quanto meno
memorizzazione di elementi specifici “caratterizzanti ed individualizzanti” (colore
degli occhi, forma e dimensioni del naso, della bocca, delle labbra) sia, infine,
per la scarsa affidabilità del suo autore, che in sede dibattimentale aveva reso
dichiarazioni contraddittorie, rimarcando, per altro, l’esistenza di margini
d’incertezza, sia pure ridotti, dell’operato riconoscimento.
Nessun profilo d’illegittimità è quindi ravvisabile nella decisione impugnata
per avere ritenuto il riconoscimento fotografico operato dal teste Cabitza un

e da agevolare la sua opera, sempre che il concorrente si sia rappresentato

elemento di prova non decisivo, specie ove si consideri che per consolidata
giurisprudenza di questa Corte (in termini,

ex multis, Sez. 2, n. 45787 del

16/10/2012 – dep. 23/11/2012, Abbate e altri, Rv. 254353) l’individuazione
fotografica, pur se ribadita in dibattimento (eventualità questa, per altro, che
non ricorre nel caso di specie), può essere determinante, anche in difetto di
ulteriori riscontri, ai fini dell’affermazione di responsabilità dell’imputato in ordine
al fatto contestato, soltanto quando presenti caratteri di certezza assoluta e
risulti ancorata non soltanto a mere rappresentazioni o sensazioni del

Nè, per altro verso, con riferimento agli ulteriori elementi di prova indiziaria
prospettati a carico dell’imputato nel precedente grado di giudizio (accertata
presenza dell’imputato sul luogo del delitto in occasione di un incontro da lui
stesso sollecitato), i giudici di appello risultano essere incorsi in una violazione
delle regole di valutazione della prova (art. 192 cod. proc. pen.) così come
sostenuto nell’atto di impugnazione, avendo evidenziato, al riguardo, per un
verso, che le stesse persone offese Juganaru e dell’Uredea, con dichiarazioni
della cui attendibilità non vi era ragione di dubitare in modo preconcetto,
avevano escluso che fosse stato proprio l’odierno ricorrente ad esplodere dei
colpi di pistola nei loro confronti, precisando che al contrario l’imputato, quando
si accorse che il Donoaga Anatolie aveva estratto un’arma, aveva cercato di
impedire il loro ferimento; per altro verso, che tali dichiarazioni avevano trovato
significativa conferma in quelle rese dalla teste Urdea Aurelia e dalla teste Urdea
Mariana.
Nessun profilo di illegittimità è allora ravvisabile nella decisione impugnata
laddove, con riferimento all’affermata insussistenza di elementi di prova
sufficienti per ravvisare, al di là di ogni ragionevole dubbio, un corso, anche solo
morale, dell’imputato nella consumazione anche dei reati contestati ai capi B e C,
ove si consideri che, come già evidenziato in precedenza, la sola presenza fisica
allo svolgimento dei fatti non integra un’ipotesi di concorso morale penalmente
rilevante allorquando non vi è prova che l’imputato abbia agito in modo da
realizzare un rafforzamento del proposito dell’autore materiale del reato e da
agevolare la sua opera; eventualità in alcun modo provate incontrovertibilmente
nel presente giudizio, ma al contrario motivatamente escluse dai giudici di
appello, in base alle indicate dichiarazioni testimoniali.
In proposito, del resto, è appena il caso di rammentare che la regola
«dell’al di là di ogni ragionevole dubbio» introdotta dalla legge 20 febbraio 2006
n. 46 impone al giudice un metodo dialettico di verifica dell’ipotesi accusatoria
secondo il criterio del «dubbio» e comporta che la verifica dell’ipotesi accusatoria
da parte del giudicante deve essere effettuata in maniera da scongiurare la
sussistenza di dubbi interni (l’autocontraddittorietà o la sua incapacità

dichiarante, ma ad elementi oggettivi.

esplicativa) o esterni alla stessa (l’esistenza di una ipotesi alternativa dotata di
razionalità e plausibilità pratica).
In conclusione, in presenza di un apprezzamento logicamente motivato
compiuto dai giudici di merito relativamente all’insufficienza degli elementi di
prova raccolti a carico dell’imputato Ilie Caraus a fondare una pronuncia di
colpevolezza dello stesso oltre ogni ragionevole dubbio, nessun profilo di
illegittimità è fondatamente ravvisabile nella decisione sul punto, con la

P. Q. M.

Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 22 aprile 2015.

conseguenza che la sentenza impugnata va senz’altro confermata.

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