Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36714 del 17/04/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 36714 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto
da Zucchi Mauro, nato il 29 luglio 1963
nei confronti delle parti civili
Tolomeo Maria, Di Venosa Angela, Muggeo Annamaria, Di Lernia Vincenzo,
Trovato Concetta, Dell’Oglio Leonarda
avverso la sentenza del Tribunale di Trani del 26 settembre 2012;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Fulvio
Baldi, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Data Udienza: 17/04/2014

RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza del 26 settembre 2012, il Tribunale di Trani ha – per quanto
qui rileva – condannato l’imputato alla pena dell’ammenda, nonché al risarcimento del
danno alle costituite parti civili, da liquidarsi in sede civile, in relazione al reato di cui
all’art. 659 cod. pen., perché, quale titolare di un esercizio pubblico, diffondeva
musica ad elevato volume fino alle due di notte, disturbando il riposo di una pluralità
di persone abitanti nelle vicinanze, anche con gli schiamazzi prodotti dagli avventori

2.

– Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore,

impugnazione qualificata come appello, con la quale lamenta che il Tribunale avrebbe
fondato la responsabilità penale sull’esposto presentato dalle parti civili e sulle
testimonianze rese, nonché sull’accertamento fonometrico svolto dell’Agenzia
regionale per la protezione dell’ambiente. Il giudice non avrebbe considerato, però, le
dichiarazioni di un teste a discarico, né lo stato dei luoghi della zona del porto, nella
quale il locale si trovava, all’epoca del presunto reato. Secondo la prospettazione
difensiva, non era possibile distinguere, tra le tante fonti di rumore, compresi il
traffico e i motori dei pescherecci, quella che creava fastidio dopo la mezzanotte e, in
ogni caso, il locale dell’imputato aveva gli apparecchi tarati secondo la normativa
vigente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – L’impugnazione, che deve essere qualificata come ricorso per cassazione,
essendo stata proposta avverso una sentenza di condanna alla sola ammenda,
inappellabile ai sensi dell’art. 593, comma 3, cod. proc. pen., è inammissibile.
Dal tenore generale della stessa non è possibile evincere, neanche in via
interpretativa, censure che siano riconducibili alle categorie di cui all’art. 606 cod.
proc. pen., non avendo la difesa rilevato violazioni di legge né mosso alcuna puntuale
critica al costrutto logico-argomentativo della sentenza impugnata. Nell’atto
d’impugnazione ci si limita, infatti, a contestare genericamente la valenza probatoria
delle testimonianze raccolte e degli accertamenti fonometrici svolti dall’Agenzia
regionale per la protezione dell’ambiente e ad affermare, altrettanto genericamente,
che nella stessa zona del locale dell’imputato vi sarebbero numerose altre fonti di
rumore, impossibili da distinguere dall’impianto hi-fi del locale.
Si tratta, con tutta evidenza, di rilievi non sufficientemente specifici e comunque
riferiti al merito della responsabilità penale; profilo insindacabile in questa sede. La
motivazione della sentenza impugnata risulta, del resto, pienamente logica e

del locale.

coerente, perché prende le mosse dalle convergenti testimonianze dei soggetti
abitanti nella zona, dalle quali risulta che il locale aumentava nell’orario notturno il
volume del suo impianto stereo rendendo impossibile il riposo; circostanza
puntualmente confermata in sede di perizia fonometrica, laddove è emerso che la
musica diffusa dal locale aveva una differenza con il rumore ambientale e residuo di
gran lunga superiore al limite stabilito dal d.P.C.m. 14 novembre 1997 per il periodo
notturno.

2007 (in presenza di cause di sospensione per complessivi giorni 172). A fronte di un
ricorso inammissibile, quale quello in esame, trova infatti applicazione il principio,
costantemente enunciato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la
possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod.
proc. pen., ivi compresa la prescrizione, è preclusa dall’inammissibilità del ricorso per
cassazione, anche dovuta alla genericità o alla manifesta infondatezza dei motivi, che
non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione (ex multis, sez. 3, 8
ottobre 2009, n. 42839; sez. 1, 4 giugno 2008, n. 24688; sez. un., 22 marzo 2005, n.
4).
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale
e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte
abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma
dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del
versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente
fissata in C 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 17 aprile 2014.

4. – Né può essere dichiarata la prescrizione del reato, commesso il 23 maggio

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