Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36705 del 14/07/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 36705 Anno 2015
Presidente: PAOLONI GIACOMO
Relatore: BASSI ALESSANDRA

Data Udienza: 14/07/2015

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BRANCA EDMONDO N. IL 20/04/1979
avverso l’ordinanza n. 1417/2014 TRIB. LIBERTA’ di REGGIO
CALABRIA, del 10/01/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALESSANDRA BASSI;
sentite le conclusioni del PG Dott.

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RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 10 gennaio 2015, il Tribunale, sezione del riesame, di
Reggio Calabria ha confermato l’ordinanza del Gip presso il Tribunale della stessa
città del 13 dicembre 2014, con la quale è stata applicata a Branca Edmondo la
misura della custodia in carcere in relazione al reato di partecipazione ad
associazione di stampo ‘ndranghetistico di cui all’art. 416-bis, commi 1, 2, 3, 4,
e 5, e 8, cod. pen. con ruolo di organizzatore della articolazione territoriale,
svolgendo in particolare compiti di rilievo alle dirette dipendenze del capo

1.1. Il Tribunale ha premesso che l’esistenza di una associazione mafiosa
nota come cosca Tegano, storicamente collegata alla cosca De Stefano, operante
prevalentemente nel locale di Archi di Reggio Calabria, risulta provata da diverse
sentenze di condanna definitive, acquisite ai sensi dell’art. 238-bis cod. proc.
pen., nonché dalle sentenze non ancora irrevocabili emesse nei procedimenti
cosiddetti “Archi” e “Astarea”, comunque utilizzabili ai fini del giudizio ex art. 273
cod. proc. pen. Il Collegio ha quindi preso in esame le risultanze delle
investigazioni condotte nei procedimenti di “Il padrino”, “Agathos”, “Archi” e
“Astrea”, aventi ad oggetto le dinamiche interne alla cosca Tegano e la gestione
della latitanza di Tegano Giovanni da parte di diversi fiancheggiatori, in
particolare della famiglia di Siciliano Giancarlo, nonché gli incontri, con modalità
segrete, degli appartenenti alla consorteria durante la latitanza del capo, ed ha
chiarito che dette risultanze sono costituite dal contenuto delle intercettazioni
telefoniche ed ambientali, dai servizi di o.c.p. della P.G., dalle attività di video
sorveglianza presso gli esercizi commerciali “Mercatone della frutta 2” e “banco
dei meloni”, dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia – in particolare di
Moio Roberto – nonché dalle intercettazioni dei colloqui in carcere dei detenuti
Tegano Giovanni e Crudo Michele. Il Tribunale ha dunque ricordato i principi in
materia di associazione mafiosa ed ha evidenziato come, con riferimento alla
cosca Tegano, siano ravvisabili tutti gli elementi caratterizzanti la fattispecie
delineata dall’art. 416-bis cod. pen., con le aggravanti contestate di cui ai commi
quarto e quinto.
1.2. Con specifico riguardo alla posizione di Branca Edmondo detto Eddy, il
Collegio ha dato atto delle evidenze d’indagine, comprendiate nella richiesta del
pubblico ministero, costituite dagli accertamenti circa i collegamenti familiari del
Branca con Tegano Giovanni – suo suocero per avere sposato la figlia Angela (v.
pagina 20 dell’ordinanza), dalle dichiarazioni rese da Moio Roberto, che ha
indicato l’indagato come appartenente alla consorteria criminale (v. pagine 20 e
seguenti), da Villani Consolato, che ha confermato l’intraneità di Branca alla

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crimine Giovanni Tegano.

cosca, e da Fiume Antonino (v. pagina 22), dalle intercettazioni dei colloqui in
carcere di Branca con Tegano Giovanni e con Crudo Michele, cognato del
ricorrente (v. pagine 22 e seguenti), dalle intercettazioni dei colloqui in carcere
di Polimeni Carmine (v. pagina 30), dalle acquisizioni dell’indagine cd. “il
padrino”, in particolare dalle intercettazioni da cui si evince che Branca si
occupava di favorire la latitanza del Tegano e di scambiarne le “ambasciate”,
consentendo al capo cosca di continuare a gestire l’associazione criminale (v.
pagine 30 e seguenti).

indagini emerga un serio ed evidente quadro di gravità indiziarla della
partecipazione di Branca Edmondo all’associazione, con ruolo di organizzatore,
alle dirette dipendenze del capo crimine Tegano Giovanni, con il compito di
gestire la struttura associativa durante la latitanza e la carcerazione del predetto
Tegano, di Crudo Michele e di Polimeni Carmine nonché di incontrare i capi delle
famiglie di ‘ndrangheta per affrontare le varie problematiche riguardanti
l’associazione (v. pagine 33 e seguenti). Il Tribunale ha, in particolare, posto in
risalto come alle dichiarazioni del collaboratore Moio si aggiungano le
dichiarazioni del Villani, seppur meno circostanziate di quelle del primo
collaboratore, riscontrate dai comprovati incontri di Branca con diversi partecipi
dell’associazione nonché dalle video riprese, dalle intercettazioni telefoniche,
ambientali e dei colloqui in carcere, elementi conoscitivi di portata probatoria
autosufficiente.
1.3. Con riguardo alle esigenze cautelari, il Tribunale ha posto in luce come
nella specie operi la presunzione prevista dall’art. 275, comma 3, cod. proc.
pen., non superata in mancanza di elementi suscettibili di comprovare
l’inesistenza delle esigenze cautelari normativamente presunte.
2. Avverso l’ordinanza ha presentato ricorso ex art. 311 cod. proc. pen.
l’Avv. Francesco Calabrese, difensore di fiducia di Branca Edmondo, e ne ha
chiesto l’annullamento per violazione di legge penale e vizio di motivazione in
relazione agli artt. 273 cod. proc. pen. e 416-bis cod. pen., per avere il Tribunale
riconosciuto valenza indiziarla alle dichiarazioni rese da Moio Roberto, sebbene
del tutto generiche e non storicizzate, ed alle dichiarazioni rese da Villani
Consolato, altrettanto generiche laddove il collaborante ha riferito
esclusivamente che l’odierno ricorrente era “legato” ai Tegano; per avere il
Tribunale assegnato valenza indiziaria alle attività di video sorveglianza presso
esercizi commerciali, non essendo possibile comprendere quale sia il “contenuto
ontologico” degli incontri ripresi; per avere il Tribunale assegnato rilevanza alle
intercettazioni dei colloqui tra l’assistito ed il detenuto Crudo Michele; per avere
il Collegio erroneamente ritenuto Branca intraneo al gruppo criminale per di più
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Tirando le fila di tali emergenze, il Collegio ha evidenziato come dalle

con un ruolo direttivo, non potendo ciò trarsi dalle dichiarazioni del Moio, né da
nessun altro elemento emerso dalle indagini.
3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato
inammissibile, mentre il difensore di Branca ha insistito per l’accoglimento del
ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
2. Ed invero, a discapito della mole – constando di 21 pagine -, il ricorso

genericità degli argomenti sviluppati a sostegno delle censure, laddove vengono
richiamati i principi affermati da questa Corte – noti al Collegio e non calati sul
singolo caso oggetto di scrutinio di legittimità – e non sono esposte le specifiche
ragioni di fatto e di diritto per le quali gli elementi raccolti nel corso delle indagini
e valorizzati dai decidenti della cautela non possano ritenersi integrare il
requisito di gravità indiziaria del reato associativo.
L’evidenziata genericità delle censure riverbera di per sé in termini di
inammissibilità del ricorso, laddove i motivi di ricorso in cassazione devono
essere specifici e quindi, pur nella libertà della loro formulazione, devono
indicare con chiarezza le ragioni di fatto e di diritto su cui si fondano le censure,
al fine di delimitare con precisione l’oggetto del gravame ed evitare, di
conseguenza, impugnazioni generiche o meramente dilatorie (Cass. Sez. 6, n.
1770 del 18/12/2012, P.G. in proc. Lombardo, Rv. 254204).
3. Ad ogni buon conto, nessun vizio logico o giuridico è ravvisabile nel
compendio argomentativo sviluppato dal Tribunale calabrese a sostegno del
requisito ex art. 273 cod. proc. pen., laddove si è puntualmente dato conto delle
evidenze a carico ed, in particolare, delle dichiarazioni dei collaboratori di
giustizia Moio, Villani e Fiume, delle registrazioni dei colloqui in carcere di
Polimeni, Crudo e Tegano e delle risultanze d’indagine del procedimento “Il
padrino” (si richiama al riguardo il sunto della motivazione del provvedimento

presentato nell’interesse di Branca Edmondo si contraddistingue per la totale

impugnato sopra svolto nel punto 1.2. del ritenuto in fatto, con gli specifici
richiami alle pagine dell’ordinanza in verifica).
Il giudice della impugnazione cautelare ha proceduto alla valutazione di detti
elementi in modo unitario e globale, alla luce di condivisibili massime
d’esperienza, così da formare un quadro di elevata probabilità di colpevolezza, in
perfetta aderenza al disposto dell’art. 192 cod. proc. pen.
Le considerazioni di segno contrario sviluppate dal ricorrente, oltre ad essere
connotate da genericità, sono comunque volte ad una rilettura degli elementi di
fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata, in via

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esclusiva, al giudice di merito, dovendosi la Corte di legittimità limitare a
ripercorrere l’iter argomentativo svolto dal giudice di merito per verificarne la
completezza e la insussistenza di vizi logici ictu °cui/ percepibili, senza possibilità
di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (ex
plurimis Cass. Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074).
4. Incensurabile in questa Sede è anche l’apparato motivazionale in punto di
esigenze cautelari e di misura più adeguata a farvi fronte.
4.1. Oltre a doversi ribadire la genericità delle doglianze sviluppate sul

di costituzionalità e, di recente, dell’intervento legislativo con la novella con L. n.
47/2015, l’ambito della doppia presunzione – di pericolosità, jurís tantum, e di
adeguatezza della sola custodia in carcere, juris et de jure

prevista dall’art.

275, comma 3, cod. proc. pen. sia stato fortemente ridimensionato e nondimeno
essa continua ad operare nei casi di contestazione – fra gli altri reati – del delitto
di partecipazione ad associazione mafiosa. Come il Giudice delle leggi e la Corte
Europea per i diritti dell’uomo hanno avuto modo di chiarire, rispetto al tale reato
la presunzione deve ritenersi non arbitraria né irrazionale in quanto risponde a
dati di esperienza generalizzati riassunti nella formula dell’id quod plerumque
accidit, laddove la deroga alle disposizioni di carattere generale in materia segnatamente ai principi di individualizzazione della risposta cautelare e di
extrema ratio della misura carceraria – si giustifica in ragione di una solida legge
statistica, tenuto conto del “coefficiente di pericolosità per le condizioni di base
della convivenza e della sicurezza collettiva che agli illeciti di quel genere è
connaturato” (C. Cost. n. 450/1995) e del fatto che la carcerazione provvisoria
delle persone accusate del delitto in questione “tende a tagliare i legami esistenti
tra le persone interessate e il loro ambito criminale di origine, al fine di
minimizzare il rischio che esse mantengano contatti personali con le strutture
delle organizzazioni criminali e possano commettere nel frattempo delitti” (Corte
EDU sentenza 6/11/2003, Pantano contro Italia).
4.2.

Sulla scorta delle considerazioni che precedono, allorchè sussistano

gravi indizi di colpevolezza della fattispecie partecipazione ad associazione
mafiosa, in forza della presunzione di adeguatezza della sola custodia in carcere,
il giudice è tenuto ad applicare la misura di maggior rigore, salvo che, sulla base
degli elementi acquisiti, non ritenga di poter escludere in radice la sussistenza
delle esigenze cautelari. In particolare, come questo giudice nomofilattico ha
avuto modo di chiarire, per il partecipe all’associazione di tipo mafioso la
presunzione di pericolosità sociale che, a norma dell’art. 275, comma 3, cod.
proc. pen. impone la misura della custodia cautelare in carcere, può essere
superata soltanto qualora risulti concretamente dimostrato che l’associato abbia
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punto dal ricorrente, mette conto rammentare come, a seguito di plurimi scrutini

stabilmente rescisso i suoi legami con l’organizzazione criminosa o che
comunque ve ne sia allontanato (Sez. 6, n. 32412 del 27/6/2013, Cosentino, Rv.
255751; Sez. 6, 8 luglio 2011, n. 27685, Mancini Rv. 250360; Sez. 6,
21/10/2010, n. 42922, Lo Cicero, Rv. 248801). Ne deriva che la prova contraria,
costituita dall’acquisizione di elementi dai quali risulti l’insussistenza delle
esigenze cautelari, si risolve nella ricerca di quei fatti che rendono impossibile (e
perciò stesso in assoluto e in astratto oggettivamente dimostrabile) che il
soggetto possa continuare a fornire il suo contributo all’organizzazione per conto

eventi risolutivi si sono verificati, persiste la presunzione di pericolosità ( Sez. 6,
n. 46060 del 14/11/2008, Verolla, Rv. 242041; Sez. 2, n. 53675 del
10/12/2014, Costantino, Rv. 261621).
4.3. Il Tribunale calabrese ha fatto buon governo dei sopra delineati principi
laddove ha argomentato, con motivazione completa e coerente, la sussistenza
delle condizioni per mantenere nei confronti di Branca la misura di maggior
rigore e, soprattutto, l’assenza di elementi per poter affermare che questi abbia
rescisso i legami con la compagine criminale di appartenenza (v. pagine 37 e
seguenti dell’ordinanza).
5. Dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma
dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente, oltre che al pagamento
delle spese del procedimento, anche a versare una somma, che si ritiene
congruo determinare in 1.000,00 euro.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1000 in favore della cassa delle
ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp.
att. cod. proc. pen.

Così deciso in Roma il 14 luglio 2015

Il consigliere estensore

Il Presidente

della quale ha operato, con la conseguenza che, ove non sia dimostrato che detti

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