Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36687 del 30/06/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 36687 Anno 2015
Presidente: PAOLONI GIACOMO
Relatore: CARCANO DOMENICO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FAGROUCH AHMED N. IL 02/05/1985
avverso l’ordinanza n. 2101/2014 TRIBUNALE di RIMINI, del
09/01/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. DOMENICO
CARCANO;
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Data Udienza: 30/06/2015

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Ritenuto in fatto
1.11 difensore di fiducia di Ahmed Fagrouch propone ricorso contro l’ordinanza con la
quale il Tribunale di Rimini che ha rigettato la richiesta di messa alla prova prevista dall’art.168
bis c.p., poiché i delitti per il quale si procede, lesioni aggravate commesse al fine di eseguire il
delitto di resistenza aggravata, sono esclusi quoad poenam da quelli per i quali può essere
disposta la “sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato”.

gli stessi “limiti editali” stabiliti dall’art.550, comma 1, c.p.p., anche nella parte in cui richiama
l’art. 4 c.p.p. per la definizione della pena massima, nonché ai delitti elencati nel secondo
comma dell’art.550 c.p.p.. Ne consegue che si tien conto, per la determinazione della pena
stabilita dalle legge, delle “aggravanti per le quali la legge prevede una specie di pena diversa
da quella ordinaria” e di quelle “ad effetto speciale”.
Il precetto normativo sarebbe, in tal modo definito, anzitutto in applicazione del criterio
ermeneutico letterale, stabilito dall’art.12 delle disposizioni preliminari al codice civile, e poi
dalla voluntas legislatoris ricostruita sulla base dei lavori parlamentari e, tra questi, ricompresi
i pareri del servizio studi del Senato.
In tale ultimo atto parlamentare, secondo il tribunale, è detto chiaramente che il nuovo
art.168 bis c.p., al pari di altri istituti collegati alla determinazione della pena, tra i quali vi è
“il tempo di prescrizione” e poi l’applicazione delle “misure cautelari”, è sempre operativa la
disposizione che impone di tener conto al fine di determinare la pena massima, delle
“aggravanti per le quali la legge prevede una specie di pena diversa da quella ordinaria” e di
quelle “ad effetto speciale”.
Il tribunale ha, dunque, rigettato l’istanza di “sospensione del procedimento con messa
alla prova dell’imputato”, poiché l’aver commesso le lesioni per eseguire l’altro reato di
resistenza, configura l’aggravante ad “effetto speciale” di cui agli artt.585, comma 1 e 576,
comma 1 n. 1, c.p..
Ciò comporta che la pena della “reclusione da tre mesi a tre anni”, prevista per le
lesioni, in ragione dell’anzidetta aggravante ad effetto speciale, è aumentata “da un terzo alla
metà” e, dunque, una pena massima di quattro anni e sei mesi di reclusione.
Pertanto, la pena massima, in tal modo, supera il perimetro sanzionatorio previsto
dall’art.168 bis c.p. per la ritenuta operatività dell’art. 278 c.p.p..
2. Il difensore deduce:
2.1. Errata applicazione della legge sostanziale, e vizio di motivazione, in relazione agli
artt. 12 e 14 delle disposizioni sulla legge in generale, 168 bis e 464 bis c.p. e 550 per avere il
tribunale rigettato la richiesta dell’imputato, tenendo conto nel calcolo edittale, con
motivazione illogica e contraddittoria, la circostanza aggravante ad effetto speciale.
Il Tribunale rigetta l’istanza di messa alla prove, integrando l’art.168

bis c.p., in

violazione della chiara formulazione della norma, per la quale opera un criterio quantitativo,

Ad avviso del tribunale, l’applicabilità dell’istituto de quo è riferibile ai delitti puniti con

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collegato ali’ entità della “pena edittale”, e un criterio qualitativo ratione materia, riferito ai
reati indicati nel secondo comma dell’art.550 c.p.p., non riferibile in entrambi i casi a un
aumento di pena per circostanze aggravanti.
Vi è un chiaro contrasto con la volontà del legislatore che determina una restrizione
dell’ambito di applicazione dell’istituto, la cui norma che lo ha introdotto, parla di “pena
edittale”, senza nulla aggiungere. Quando il legislatore ha voluto fare riferimento, in altri
moduli deflattivi, alle circostanze del reato lo ha fatto espressamente, come previsto per la

Tale voluntas legis trova riscontro nelle disposizioni previste nella stessa legge n. 67 del
2014, in cui è espressamente stabilito per la depenalizzazione e per la non punibilità del fatto
in ragione della particolare tenuità , che si tien conto ai fini della pena anche delle circostanze
aggravanti.
Il percorso motivazionale del giudice è del tutto contorto, per una serie di inferenze e
passaggi sillogistici in contrasto con quanto dianzi esposto.
Si riporta in ricorso l’atto parlamentare cui fa riferimento l’ordinanza impugnata, e si
argomenta che, sulla premessa secondo cui le circostanze aggravanti devono essere
considerate solo se espressamente previsto, interpretare il testo della norma in applicazione
dell’art.12 preleggi, non si sarebbe potuto che giungere a una soluzione diametralmente
opposta rispetto a quella del Tribunale, accogliendo l’istanza di messa alla prova.
Il riferimento a una interpretazione sistematica è assolutamente illogico e viola il
principio ubi lex voluit dxit, ubi noluit tacuit.
L’errore in cui è incorso il Tribunale nel far ricorso all’art.12 delle preleggi è dovuto
anche al fatto che la norma introdotta con l’art.168 bis c.p. e talmente chiara da non richiedere
da escludere la necessità di interpretazioni che si rilevano peraltro vietate dall’art.14 delle
stesse preleggi là esclude l’interpretazione in malam partem.
Altra questione posta è che si tien conto di un atto parlamentare, ma non degli altri
contenuti nel dossier n. 89, là dove il Senato scrive in termini ìnequivoci che “la formulazione”
dell’art.168 bis c.p.p. “esclude che abbiano qualsiasi rilievo, ai fini dell’applicabilità dell’istituto
medesimo, tutte le circostanze aggravanti, incluse quelle per le quali la legge stabilisce una
pena di specie diversa da quella ordinaria e quelle ad effetto speciale.

Considerato in diritto
Il ricorso è infondato.
Questione preliminare da risolvere è quella dell’autonoma impugnabilità dell’ordinanza di
diniego della “sospensione procedimento con messa alla prova”, tenuto conto che vi è una
pronuncia di questa Corte, condivisa dal Procuratore generale con le conclusioni scritte,
secondo cui l’ordinanza con la quale il giudice del dibattimento rigetta l’istanza di sospensione
del processo per la messa alla prova dell’imputato è impugnabile, ai sensi dell’art. 586 c.p.p.,
solo unitamente alla sentenza (Sez. V, 15 dicembre 2014,dep. 6 febbraio 2015, n. 5673).

durata dei tempi di prescrizione e per le regole dettate al fine di determinare la competenza.

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A fronte di tale principio di diritto, vi sono altre decisioni di questa Corte nel senso che
l’ordinanza di rigetto dell’istanza è autonomamente impugnabile dall’imputato con ricorso per
cassazione, in quanto il tenore letterale dell’art. 464-quater, comma settimo, c. p. p., che
include nella disciplina dell’autonoma ricorribilità qualsiasi provvedimento decisorio, sia esso
ammissivo o reiettivo della richiesta in questione, sottrae questo alla previsione generale di cui
all’art. 586 c.p.p.( Sez. 5, febbraio 2015,dep. 4 giugno 2015 , n. 24011; Sez. II, maggio
2015, dep. 19 maggio 2015, n. 20602; Sez. III, 24 maggio 2015,dep. 26 giugno 2015,

La Corte ritiene condivisibile tale ultima regola

juris che, oramai tendenzialmente

maggioritaria, ha il pregio di essere nelle parole della disposizione che la racchiude.
2.Risolta positivamente l’ammissibilità del ricorso, la questione da affrontare è il nucleo
centrale del nuovo istituto: quali i criteri per definire il perimetro della sanzione penale che
rende ammissibile la richiesta di “messa alla prova”.
Anche qui vi è un precedente secondo cui, ai fini dell’individuazione dei reati attratti dalla
disciplina della “probation” di cui agli artt. 168 bis e seguenti c.p., in ragione del mero
riferimento alla pena edittale, deve guardarsi unicamente alla pena “edittale” massima prevista
per la fattispecie base, prescindendo dal rilievo che nel caso concreto potrebbe assumere la
presenza della contestazione di qualsivoglia aggravante, comprese quelle ad effetto speciale
(Sez. VI, 9 dicembre 2014,dep. 1 febbraio 2015, n. 6453).
Un principio di diritto che questo Collegio ritiene di non condividere, perché asistematico
rispetto agli altri istituti che, pur esprimendosi nel senso di tener conto “della pena stabilita
dalla legge per il reato per il quale si procede”, riconducono a unità il sistema con norme volte
a stabilire i criteri di determinazione della pena, quali quelle previste dagli artt. 4, 278, 379 e
550 del codice di procedura penale.
Tali criteri non possono che trovare applicazione anche nell’ipotesi prevista dall’art.168 bis
c.p. altrimenti il criterio “quantitativo”, oltre che essere asistematico rispetto alle ipotesi dianzi
indicate, si porrebbe in palese contrasto con il criterio “qualitativo”, attuato con l’espresso
richiamo al secondo comma dell’art. 550 c.p.p., là dove il legislatore ha effettuato una precisa
scelta di “indicare normativamente”, i delitti per i quali è ammesso il nuovo istituto della
“messa alla prova”, per delitto puniti anche con pena prevista anche da aggravanti “per le quali
la legge prevede una specie di pena diversa da quella ordinaria” e per quelle “ad effetto
speciale”. Tale scelta si spìega con la

voluntas legis di tenere conto ai fini del criterio

“quantitativo” della regola stabilita dal primo comma dell’art. 550 c.p.p., ivi compreso
l’espresso richiamo all’art. 4 c.p.p., là dove si prevede che “si ha riguardo alla pena stabilita
dalla legge per ciascun reato consumato o tentato”, id est alla “pena edittale”, stabilendo però
poi che “non sì tiene conto della continuazione, della recidiva e delle circostanze del reato ” – in
tal modo, colmando una lacuna di notevole importanza per l’operatività dell’istituto – e poi, al
pari delle altre disposizioni dianzi indicate, si stabilisce che si tiene conto, ai fini della

n.27071).

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determinazione della pena, delle “aggravanti per le quali la legge prevede una specie di pena
diversa da quella ordinaria” e per quelle “ad effetto speciale”.
Il sistema ha così una sua completezza e coerenza, rispettando la logica complessiva della
legge di rendere applicabile “la messa alla prova”, per tutti quei delitti per i quali si procede a
citazione diretta a giudizio dinanzi al giudice in composizione monocratica.
In conclusione, l’art. 168 bis c.p. riproduce integralmente il “perimetro normativo”
previsto dell’art. 550, commi 1 e 2, c.p.p. per individuare i delitti per i quali possa essere

criterio “qualitativo”, nel senso di stabilire “normativamente” i delitti per i quali non rileva che
la pena sia anche stabilite da “aggravanti per le quali la legge prevede una specie di pena
diversa da quella ordinaria” o da quelle “ad effetto speciale”. Mentre, resta fermo il criterio
“quantitativo” soggetto ai limiti di pena stabiliti e determinati ex art. 4 c.p.p. richiamato
dall’art. 550 , comma 1 c.p.p. e implicitamente fatto proprio dall’art.168 bis c.p. per le ragioni
anzidette.
4.11 tribunale ha, dunque, correttamente rigettato l’istanza di “sospensione del
procedimento con messa alla prova dell’imputato”, poiché l’aver commesso le lesioni per
eseguire l’altro reato di resistenza, configura l’aggravante ad “effetto speciale” di cui agli
artt.585, comma 1 e 576, comma 1 n. 1, c.p..
Ne discende che la pena della “reclusione da tre mesi a tre anni”, prevista per le lesioni, in
ragione dell’anzidetta aggravante ad effetto speciale, è aumentata “da un terzo alla metà” e,
dunque, la pena massima è di quattro anni e sei mesi di reclusione; pena massima, in tal
modo, supera il perimetro sanzionatorio previsto dall’art.168 bis c.p., determinato ex art. 4
c.p.p.

3. Il ricorso è dunque infondato e va rigettato con la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 30 giugno 2015.

richiesta “la sospensione del processo con la messa alla prova”, in tal modo caratterizzando il

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