Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36665 del 08/07/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 36665 Anno 2015
Presidente: PAOLONI GIACOMO
Relatore: BASSI ALESSANDRA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ACQUESTA ANTONELLA N. IL 10/06/1961
avverso la sentenza n. 1451/2014 CORTE APPELLO di
CATANZARO, del 18/12/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 08/07/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ALESSANDRA BASSI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la pa civile, l’Avv
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Data Udienza: 08/07/2015

RITENUTO IN FATTO
1. Con provvedimento del 18 dicembre 2014, la Corte d’appello di Catanzaro
ha confermato la sentenza del 16 gennaio 2014, con la quale il Tribunale di
Cosenza ha condannato Acquesta Antonella alla pena di mesi dieci di reclusione,
con revoca della sospensione condizionale già concessa nelle due precedenti
sentenze, per il reato di cui all’art. 328 cod. pen., per avere, quale ufficiale
giudiziario in servizio presso l’ufficio UNEP di Cosenza, indebitamente rifiutato di

decreto di citazione a giudizio (che avrebbe dovuto essere notificato entro il 29
gennaio 2008 e che, sebbene ricevuto dall’imputata in data 21 gennaio 2008,
veniva in effetti notificato al difensore il 7 febbraio ed all’imputato il 13 febbraio
2008).
Dopo avere ricordato i principi espressi da questa Suprema Corte nella
sentenza n. 4995 del 2010 resa in questo stesso procedimento, il giudice di
secondo grado ha ha quindi evidenziato: a) che, in riferimento a quanto
dichiarato dal teste Silvagni, l’inserimento degli atti da notificare nei cassetti
dell’ufficio riguardava per lo più gli ufficiali giudiziari temporaneamente assenti
ed era comunque pratica conosciuta dagli addetti e nota all’imputata, la quale
non ha comunque fornito una credibile spiegazione alternativa lecita agli eventi;
b) che la censura di inattendibilità della testimonianza del Silvagni è del tutto
generica ed immotivata, avendo comunque l’imputata confermato l’esistenza del
meccanismo di attribuzione degli atti negli stessi termini riferiti dal teste; c) che
la richiesta di riapertura dell’istruttoria dibattimentale è inammissibile,
trattandosi della richiesta di acquisizione di atti di altro procedimento non
qualificabili come documenti ai sensi dell’art. 234 cod. proc. pen., né come
verbali di prova ai sensi dell’art. 238 stesso codice; d) che l’esame dei testi della
lista era già stato dichiarato inammissibile in primo grado perché richiesto

intempestivamente; e) che comunque non ricorrono i presupposti per assumere
le prove ai sensi dell’art. 603, comma 3, cod. proc. pen., in quanto superflue e
non decisive; f) che la questione di legittimità costituzionale dell’art. 328 cod.
pen. è infondata atteso che la lettura giurisprudenziale resa nella sentenza n.
4995 del 2009 non realizza un’ipotesi di applicazione retroattiva della legge, ma
sostanzia una mera interpretazione di norma penale sostanziale; g) che il motivo
concernente la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche è
inammissibile in quanto aspecifico, avendo comunque il primo Giudice spiegato
le ragioni della denegata applicazione.

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notificare tempestivamente all’imputato Giannone Roberto ed al suo difensore il

2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l’Avv. Guido Siciliano,
difensore di fiducia di Giannone Antonella, e ne ha chiesto l’annullamento per i
seguenti motivi.
2.1. Violazione di legge penale e vizio di motivazione, per avere il Giudice
d’appello omesso di pronunciare sentenza assolutoria appiattendosi sulle
considerazioni svolte da questa Suprema Corte nella pronuncia di annullamento
della sentenza di non luogo a procedere resa in questo procedimento,
trascurando di considerare che, alla luce delle dichiarazioni rese dalla teste

Acquesta, non può ritenersi accertata la disponibilità da parte dell’imputata
dell’atto da notificare e manca pertanto la prova del dolo.
2.2. Mancata assunzione di prova decisiva ed, in particolare dell’esame dei
testi Piscioneri, Savastano e De Marco indicati a discarico, trattandosi contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte – di prove contrarie rispetto al teste
Silvagni indicato dall’accusa.
2.3. Questione di legittimità costituzionale dell’art. 328 cod. pen. per
violazione dei principi di cui agli artt. 3 e 25 Cost., per avere questa Corte
introdotto una nuova ipotesi incriminatrice con la nozione di rifiuto equiparato
all’inerzia, non applicabile retroattivamente in quanto la sentenza n. 4995 del
2010 è successiva al fatto reato.
3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato
inammissibile mentre il difensore dell’imputato ha insistito per l’accoglimento dei
motivi.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
2. Oltre a costituire mera replica dei motivi già dedotti in appello, sui quali la
Corte territoriale ha reso puntuale ed adeguata motivazione, le censure tendono
ad una ricostruzione alternativa dei fatti emergenti dall’istruttoria dibattimentale,
preclusa in questa Sede, dovendosi la Corte di legittimità limitare a ripercorrere
l’iter argomentativo svolto dal giudice di merito per verificarne la completezza e

la insussistenza di vizi logici íctu ocull percepibili, senza possibilità di verifica
della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (ex plurimis
Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074; ( Sez. 6, n. 43963 del
30/09/2013, P.C., Basile e altri, Rv. 258153).
3. D’altronde, la decisione in rassegna si appalesa ineccepibile in diritto
laddove – pronunciandosi proprio sulla medesima questione, investita del ricorso
avverso la sentenza di non luogo a procedere pronunciata nei confronti di
Acquesta Antonella dal Giudice all’esito dell’udienza preliminare – questa

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Silvagni, successivamente alla pronuncia della Cassazione, e dalla stessa

Suprema Corte ha sancito che il rifiuto di un atto d’ufficio si verifica non solo a
fronte di una richiesta o di un ordine, ma anche quando sussista un’urgenza
sostanziale, impositiva del compimento dell’atto, in modo tale che l’inerzia del
pubblico ufficiale assuma, per l’appunto, la valenza del consapevole rifiuto
dell’atto medesimo (Fattispecie relativa all’omessa notificazione da parte di un
ufficiale giudiziario di atti giudiziari che per ragioni di giustizia dovevano essere
notificati senza ritardo) (Sez. 6, n. 4995 del 07/01/2010, P.G. in proc. Acquesta,
Rv. 246081).

si è limitata a richiamare acriticamente il sopra delineato precedente
giurisprudenziale “interno”, ma ha valutato – sulla scorta delle doglianze mosse
nell’appello – le dichiarazioni sia del teste Silvagni, sia della stessa imputata,
confermando l’accertata ed ingiustificata inerzia della ricorrente e, quindi,
l’integrazione dell’elemento soggettivo in ordine al reato de quo, che – mette
conto rilevare – si connota in termini di dolo solo generico.
5. Conclusivamente, nel percorso logico argomentativo seguito dai decidenti
di merito nel validare la sentenza di primo grado non è ravvisabile nessuna
manifesta irragionevolezza rilevabile in questa Sede.
6.

Totalmente destituito di fondamento è anche il secondo motivo

concernente la mancata assunzione di prova decisiva con riferimento all’esame
dei testi indicati dalla difesa.
Come correttamente argomentato dalla Corte territoriale e confermato dalla
lettura degli stessi motivi d’appello e dalla trascrizione della registrazione del
verbale dell’udienza del 3 dicembre 2013 innanzi al Tribunale di Cosenza, la
difesa – in sede di richiesta di ammissione delle prove – chiedeva di sentire i
testi Rotundo Roberto, Savastano Damiano, De Marco Tinono e Mito Sergio
Piscionieri “a discarico” e non come controprova a seguito dell’ammissione di
Silvagni ex officio. Si tratta dunque di prove – come correttamente ritenuto dal

Giudice d’appello – non indicate tempestivamente nella lista ex art. 468 cod.
proc. pen., e che correttamente il Tribunale, con ordinanza dello stesso 3
dicembre, ha ritenuto di non ammettere, in quanto non attinenti ai fatti di causa
ed tardivamente richieste senza addurre alcuna plausibile giustificazione ai sensi
dell’art. 493, comma 2, cod. proc. pen.
7. Altrettanto privo di qualunque base solida è l’ultimo motivo.
Nel caso di specie non v’è materia per invocare fondatamente nessun
contrasto col dettato costituzionale laddove questa Corte, nella già citata
pronuncia n. 4995/2010 resa in questo stesso procedimento a carico di Acquesta
Antonella, si è limitata, in ossequio alla precipua funzione nomofilattica che
l’ordinamento le assegna, ad interpretare il disposto normativo dell’art. 328 cod.
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4. Contrariamente a quanto assunto dal ricorrente, la Corte territoriale non

pen., senza operare nessuna applicazione analogica o interpretazione estensiva
della norma penale.
E ciò a tacer del fatto che la pronuncia n. 4995/2010 recepisce un principio
giurisprudenziale assolutamente consolidato, affermato da questa Corte
regolatrice già a partire da un’epoca ben più risalente del tempus commissi
delicti (ex plurimis, Sez. 6, n. 5482 del 20/02/1998, Buzzanca, Rv. 210497).
8. Dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma

dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente, oltre che al

ritiene congruo determinare in 1.000,00 euro.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1000 in favore della Cassa delle
Ammende.

Così deciso in Roma il 8 luglio 2015

Il consigliere estensore

pagamento delle spese del procedimento, anche a versare una somma, che si

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