Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36656 del 04/06/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 36656 Anno 2015
Presidente: CONTI GIOVANNI
Relatore: FIDELBO GIORGIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Vittorio TORTELLO, nato a Imperia il 21.12.1954
avverso la sentenza del 9 aprile 2014 emessa dalla Corte d’appello di Genova;
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione del consigliere Giorgio Fidelbo;
udito il sostituto procuratore generale Maria Giuseppina Fodaroni, che ha
chiesto il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la decisione in epigrafe indicata la Corte d’appello di Genova ha
confermato la sentenza dell’8 marzo 2011 con cui il Tribunale di Imperia
aveva condannato Vittorio Tortello alla pena di due anni e due mesi di
reclusione in ordine al reato di peculato, perché, quale gestore di una
tabaccheria, autorizzata alla riscossione di valori bollati e generi di monopolio,

Data Udienza: 04/06/2015

si appropriava di somme destinate all’erario per un importo complessivo di
euro 11.195,00.

2. L’avvocato Massimo Donzella, nell’interesse dell’imputato, ha proposto
ricorso per cassazione.
Con il primo motivo deduce l’erronea applicazione dell’art. 314 c.p.

intercorre un rapporto di servizio che colloca il soggetto privato in posizione di
compartecipe fattivo dell’attività amministrativa, con l’assunzione della qualità
di agente contabile, nei cui confronti sussiste un obbligo di restituzione della
somma riscossa, dedotto l’aggio, obbligazione restitutoria di un bene fungibile
il cui inadempimento non produce alcuna interversione del possesso. Ne
consegue che difetterebbe anche l’elemento soggettivo del reato. In sostanza,
sarebbe ipotizzabile eventualmente il diverso reato di abuso d’ufficio, ma non
il peculato.
Con il secondo motivo censura la sentenza per avere escluso,
immotivatamente, l’attenuante di cui all’art. 323-bis c.p.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è infondato.
3.1. Quanto al primo motivo si osserva che questa Corte ha già avuto
modo di chiarire che i titolari di tabaccheria, autorizzati alla riscossione di
valori per conto dell’Erario, vanno considerati incaricati di pubblico servizio
poiché essi, per le incombenze loro affidate, subentrano nella posizione della
pubblica amministrazione e svolgono mansioni che ineriscono al corretto e
puntuale svolgimento della riscossione medesima (cfr., Sez. 6, n. 28974 del
11/06/2013, Palunnbo, Rv. 255630; Sez. 2, n. 17109 del 22/03/2011, Venturi,
Rv. 250315).
In particolare, si è detto che l’art. 1-bis

del d.l. 12 luglio 2004, n. 168,

convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2004, n. 191, ha introdotto
alcune modifiche al d.P.R. n. 642 del 1972, prevedendo la possibilità di
assolvere l’imposta di bollo mediante il pagamento ad intermediari
convenzionati con l’Agenzia delle Entrate, i quali rilasciano con modalità
telematiche un apposito contrassegno che sostituisce a tutti gli effetti le

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Secondo il ricorrente tra i rivenditori di valori bollati e l’Ente riscossore

marche da bollo. Tale possibilità è stata estesa alle tasse di concessione
governativa, nei casi in cui le stesse sono assolte tramite marche da bollo,
dall’art. 7 del d.l. 31 gennaio 2005, n. 7, convertito con modificazioni dalla
legge 31 marzo 2005, n. 43. Sulla base di tale normativa i rivenditori di valori
bollati, autorizzati ai sensi dell’art. 39 del d.P.R. n. 642 del 1972, possono
aderire alla apposita convenzione con l’Agenzia delle Entrate e vengono

verifica della copertura fideiussoria prestata.
Ne consegue che i rivenditori autorizzati di valori bollati, svolgendo
un’attività di interesse pubblico, consistente nella riscossione di imposte di
bollo destinate allo Stato e sulla scorta di una autorizzazione della pubblica
amministrazione con la correlata attività di determinazione dell’imposta, siano
da considerare, quanto meno, incaricati di un pubblico servizio, secondo una
linea interpretativa conforme a quanto già statuito da questa Corte nella
decisioni sopra citate.
Pertanto, del tutto correttamente la Corte territoriale ha ritenuto che
l’imputato rivestisse la qualità di incaricato di pubblico servizio e che
appropriandosi delle somme destinate all’Erario si sia reso responsabile del
reato di peculato, dovendo escludersi che nella specie possa ipotizzarsi il
diverso e residuale reato di abuso d’ufficio. Infatti, il denaro versato dal
contribuente o dal privato al pubblico ufficiale e da quest’ultimo riscosso
nell’interesse della pubblica amministrazione, diventa di pertinenza di
quest’ultima – e quindi publica pecunia

al momento della riscossione. Ciò si

verifica anche quando si tratti di obbligazione di quantità, cui l’esattore sia
tenuto verso l’ente impositore. Pertanto, l’imputato ha commesso il delitto di
peculato appropriandosi delle somme destinate all’Erario, divenendo tali
somme di pertinenza dell’amministrazione al momento del loro versamento
nelle mani del gestore della tabaccheria autorizzata alla riscossione dei valori
bollati.
Infatti, il pubblico ufficiale che omette o ritarda di versare ciò che ha
ricevuto per conto della pubblica amministrazione non è inadempiente ad un
proprio debito pecuniario nei confronti della predetta, ma all’obbligo di
consegnare il denaro al suo legittimo proprietario, cioè all’amministrazione
pubblica: sottraendo la res alla disponibilità di quest’ultima tale soggetto
realizza l’appropriazione sanzionata dall’art. 314 c.p. intesa come

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autorizzati dalla predetta Agenzia allo svolgimento del servizio all’esito delle

interversione del titolo di possesso di peculato (Sez. 6, n. 46745 del
12/11/2013, Martellone, Rv. 257523; Sez. 6, n. 10020 del 03/10/1996,
Provisani, Rv. 206364).
3.2. Generica è la doglianza relativa alla mancata concessione della
attenuante di cui all’art. 323-bis c.p. limitandosi a far leva su una valutazione

4.

All’infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso, con la

condanna del ricorrente al pagamento della spese processuali.

5.

Non essendo stata disposta la pena accessoria, può procedersi in

questa sede, ai sensi dell’art. 619 c.p.p., all’applicazione della interdizione dai
pubblici uffici per la durata di anni due e mesi due, trattandosi di pena
accessoria obbligatoria e predeterminata ex lege.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Applica la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per la durata
di anni due e mesi due a norma dell’art. 317-bis c.p.
Così deciso il 4 giugno 2015
Il Consigli re estensore

Il Presidente

di fatto.

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