Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36634 del 17/04/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 36634 Anno 2013
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: CAMMINO MATILDE

SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
ARRIGO Gaetano n. Napoli il 16 gennaio 1973
BITONTO Luigi n. Benevento il 26 giugno 1977
IULIANO Diego n. Napoli il 21 settembre 1984
avverso l’ordinanza emessa il 29 ottobre 2012 dal Tribunale di Napoli

Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Matilde Cammino;
udita la requisitoria del pubblico ministero, sost. proc. gen. dott. Giuseppe Volpe, che ha chiesto la
dichiarazione di inammissibilità del ricorso;
osserva:

Data Udienza: 17/04/2013

Con ordinanza in data 29 ottobre 2012 il Tribunale di Napoli -pronunciandosi in sede di
riesame sull’ordinanza di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere emessa il 12
ottobre 2012 dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli nei confronti, tra gli
altri, di Arrigo Gaetano, Bitonto Luigi e Iuliano Diego- ha confermato il provvedimento custodiale
nei confronti dell’Arrigo e del Bitonto limitatamente al delitto di concorso in estorsione aggravata
anche ex art.7 D.L.152/91 (capo A) e nei confronti di Iuliano Diego in ordine al medesimo delitto..

confronti dell’Arrigo e del Bitonto in relazione ai reati diversi dall’estorsione contestata al capo A.
Il delitto di estorsione era stato commesso ai danni di Monti Anna, costretta a versare il
canone riscosso per la locazione di un appartamento di sua proprietà, sotto la minaccia di gravi
ritorsioni da parte di soggetti che evocavano la loro appartenenza ad un’associazione di tipo
mafioso ed agivano con metodologia mafiosa ai quali la Monti era stata costretta a lasciare la
disponibilità di un altro appartamento di sua proprietà.
Avverso l’ordinanza del tribunale del riesame gli indagati Arrigo, Bitonto e Iuliano personalmente il primo e tramite i difensori gli altri due- hanno proposto separati ricorsi per
cassazione.
Con il ricorso dell’Arrigo si deduce la mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà
della motivazione quanto alla ritenuta gravità indiziaria e l’inosservanza o erronea applicazione
degli artt.273 e 274 c.p.p.. Il ricorrente analizza le dichiarazioni della persona offesa Monti Anna la
quale nel verbale di sommarie informazioni del 14 luglio 2012 non lo aveva indicato tra gli autori
dell’estorsione ai suoi danni, né lo aveva individuato in fotografia; osserva, inoltre, che la Monti
non l’aveva menzionato nemmeno in occasione della denuncia in data 16 luglio 2012 e solo nel
vebale di integrazione della denuncia orale, in data 17 luglio 2012, lo aveva indicato,
riconoscendolo in fotografia “al 100%”, come l’individuo che in plurime occasioni aveva
accompagnato Giannelli Alessandro presso la sua abitazione. Nessuna spiegazione il Tribunale
aveva fornito nell’ordinanza impugnata sulle discrasie emergenti dalle dichiarazioni della persona
offesa, né sul fatto che del ricorrente non avevano parlato né il compagno della persona offesa,
Barra Carlo, né Gavetta Antonio il quale peraltro in relazione al denunciato episodio di sequestro di
persona, minaccia e lesioni personali ai suoi danni (capi B e C) era stato ritenuto inattendibile. Il
ricorrente fa rilevare di essere incensurato, di non avere rapporti con il gruppo malavitoso e di
svolgere l’attività di parcheggiatore abusivo, dolendosi della motivazione circa la ritenuta
sussistenza dell’esigenza cautelare prevista dall’art.274 lett.c) c.p.p..

Con lo stesso provvedimento il Tribunale del riesame ha annullato l’ordinanza impugnata nei

Con il ricorso presentato nell’interesse del Bitonto si deduce la carenza, contraddittorietà e
illogicità della motivazione, stante la genericità delle dichiarazioni della persona offesa che aveva
indicato il Bitonto solo come la persona che talvolta si recava a casa sua per riscuotere il prezzo
dell’estorsione e l’aveva riconosciuto in fotografia; il ricorrrente non sarebbe stato comunque mai
stato presente agli episodi in cui la Monti era stata minacciata.
Con il ricorso presentato nell’interesse dell’indagato Iuliano si deduce il vizio della

persona incaricata della riscossione del denaro preteso a titolo di estorsione.

I ricorsi sono inammissibili.
I ricorrenti, quanto alla gravità indiziaria, tendono a sottoporre al giudizio di legittimità
aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale indiziario rimessi alla
esclusiva competenza del giudice di merito, in maniera più articolata l’Arrigo e del tutto
genericamente gli altri due ricorrenti. Nei ricorsi si formulano censure di merito improponibili in
sede di legittimità, prospettando sostanzialmente una rilettura in fatto degli elementi indiziari già
presi in considerazione e analiticamente valutati nella loro complessiva gravità dal tribunale del
riesame (che peraltro ha legittimamente richiamato per relationem il contenuto dell’ordinanza
genetica), giustificando adeguatamente le conclusioni circa la sussistenza della gravità indiziaria
attraverso una puntuale valutazione delle emergenze investigative e una motivazione coerente e
lineare, conforme ai principi di diritto ed esente da contraddizioni e manifeste illogicità (Cass.
Sez.Un. 22 marzo 2000 n. 11, Audino; sez.IV 3 maggio 2007 n.22500, Terranova; sez.V 8 ottobre
2008 n.46124, Pagliaro; sez.VI 8 marzo 2012 n.11194, Lupo). Va ribadito, infatti, che il controllo di
legittimità sulla motivazione delle ordinanze di riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà
personale è diretto a verificare, da un lato, la congruenza e la coordinazione logica dell’apparato
argomentativo che collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza
dell’indagato e, dall’altro lato, la valenza sintomatica degli indizi senza coinvolgere il giudizio
ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la
rilevanza e la concludenza dei risultati del materiale indiziario, quando la motivazione sia adeguata,
coerente ed esente da errori logici e giuridici. (Cass. Sez.Un.30 aprile 1997 n.6402, Dessimone; sez.
I 20 marzo 1998 n. 1700, Barbaro). In sede di ricorso proposto ai sensi dell’art. 311co.2 c.p.p. la
motivazione del provvedimento che dispone una misura coercitiva è, pertanto, censurabile solo
quando sia priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità al punto da risultare
meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal

motivazione ponendo in evidenza, tra l’altro, che Iuliano non era stato nemmeno indicato come la

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giudice di merito o talmente priva di coordinazione e carente dei necessari passaggi logici da far
risultare incomprensibili le ragioni che hanno giustificato l’applicazione della misura (Cass. sez.I 7
dicembre 1999 n.6972, Alberti). Nell’ordinanza impugnata vengono invece puntualmente posti in
evidenza -attraverso un’organica e consequenziale ricostruzione degli indizi emersi dalle
dichiarazioni della persona offesa (la quale aveva denunciato i fatti solo dopo che le forze
dell’ordine erano state chiamate da un vicino di casa a seguito dell’esplosione, nella notte tra il 13 e

dichiarazioni de relato del suo compagno Barra Carlo, nonché dagli esiti delle investigazioni circa
l’attentato notturno alla casa della Monti, dalle captazioni ambientali da cui risultava l’esistenza di
un gruppo malavitoso emergente nella zona di Bagnoli facente capo a Giannelli Alessandro che,
attraverso il controllo delle attività economiche e l’imposizione del “pizzo”, si occupava anche di
assicurare sostegno economico ai sodali detenuti – i plurimi e convergenti elementi che
consentivano di identificare nei tre ricorrenti coloro che, unitamente al Giannelli o da soli, si erano
presentati dalla Monti per riscuotere il canone derivante dalla locazione a tale Gomez di un
appartamento di sua proprietà (nel quale lo zio del suo compagno, Gavetta Antonio, aveva subito
un pestaggio da persone che intendevano indurla a rinunciare ad ogni pretesa sull’immobile). La
donna aveva indicato il Bitonto, che già conosceva con il soprannome di “provo/io”, e aveva
riconosciuto in fotografia con certezza gli altri due ricorrenti. Del resto se le dichiarazioni
testimoniali della persona offesa, sottoposte ad un attento controllo di credibilità, possono essere
assunte anche da sole come prova della responsabilità dell’imputato senza necessità di cercare
riscontri esterni (Cass. Cass. Sez.Un. 19 luglio 2012 n.41461, Bell’Arte; sez.I 24 giugno 2010
n.29372, Stefanini; sez.I 4 novembre 2004 n.46954, Palmisani; sez.VI 3 giugno 2004 n.33162,
Patella; sez.III 27 aprile 2006 n.34110, Valdo Iosi; sez.III 27 marzo 2003 n.22848, Assenza), tanto
più in tema di misure cautelari personali le dichiarazioni accusatorie della persona offesa possono
integrare i gravi indizi necessari per l’applicazione della custodia cautelare in carcere, concorrendo

il 14 luglio 2012, di colpi d’arma da fuoco contro la sua abitazione) e dai riscontri costituiti dalle

alla formazione di un giudizio di probabilità di colpevolezza, senza necessità di riscontri oggettivi
esterni ai fini della valutazione di attendibilità estrinseca (Cass. sez.V 26 aprile 2010 n.27774, M.;
sez.II 28 novembre 2007 n.770, Giordani), nell’ambito di una valutazione di fatto che non può
essere rivalutata in sede di legittimità, a meno che il giudice non sia incorso in manifeste
contraddizioni.
Generiche risultano le ulteriori doglianze del ricorrente Arrigo relativamente alla ritenuta
sussistenza del pericolo di reiterazione della condotta criminosa desunta nell’ordinanza impugnata,
il cui contenuto va valutato unitamente a quello dell’ordinanza genetica legittimamente richiamata
per relationem nella parte iniziale dell’ordinanza impugnata, da una congiunta valutazione della

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rilevante gravità del fatto e della personalità dei ricorrenti, tutti gravati da “precedenti violenti”.
Peraltro il Tribunale del riesame ha posto in evidenza la sussistenza di un’ulteriore esigenza
cautelare, costituita dal serio pericolo di inquinamento probatorio desunto dalla documentazione
depositata dal pubblico ministero circa le pressioni subite dalla persona offesa per indurla alla
ritrattazione.
Alla inammissibilità dei ricorsi consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna dei ricorrenti al

Cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in euro
1.000,00.
A norma dell’art. 94 co. 1 ter disp. att. c.p.p., copia del presente provvedimento va trasmesso
al Direttore dell’istituto penitenziario in cui i ricorrenti sono ristretti.
P.Q.M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e
ciascuno della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.
Si provveda a norma dell’art.94 disp. att. c.p.p..
Roma 17 aprile 2013

il cons. est.

pagamento delle spese processuali e di ciascuno di essi al versamento di una somma in favore della

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