Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36633 del 17/04/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 36633 Anno 2013
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: CAMMINO MATILDE

SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
SINIBALDI Lucio n.Roma il 19 aprile 1954
avverso l’ordinanza emessa il 24 ottobre 2012 dal Tribunale di Roma

Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Matilde Cammino;
udita la requisitoria del pubblico ministero, sost. proc. gen. dott. Giuseppe Volpe, che ha chiesto il
rigetto del ricorso;
osserva:

Data Udienza: 17/04/2013

2Con ordinanza in data 24 ottobre 2012 il Tribunale di Roma, in sede di riesame, ha
confermato l’ordinanza di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari emessa il 14
ottobre 2012 nei confronti di Sinibaldi Lucio in ordine al delitto continuato di indebito possesso di
tre carte di credito intestate a Varone Pasquale e di quattro carte di credito intestate a cittadini
stranieri sequestrate nel corso di una perquisizione domiciliare.

Con il ricorso si deduce:
1) l’erronea applicazione dell’art.309 co.5 e co.10 c.p.p. in quanto al Tribunale del riesame non
sarebbero stati trasmessi gli atti di indagine che avevano condotto alla perquisizione domiciliare, ma
solo gli atti successivi nonostante che il diverso procedimento in cui gli atti di cui era stata messa la
trasmissione sembrerebbe essere stato riunito a quello in esame;
2) la mancanza di motivazione sulle deduzioni difensive e la manifesta illogicità nella
valutazione degli elementi indiziari; mancherebbe la prova dell’illiceità del possesso delle carte di
credito da parte del Sinibaldi, a carico del quale l’unico indizio sarebbe quello del rinvenimeno,
unitamente a carte di credito lecitamente detenute e a lui intestate, di tre carte di credito intestate ad
un suo ex socio (Valone) e di quattro carte di credito intestate a stranieri che si erano affidati al
ricorrente (il quale aveva attivato un’agenzia di servizi presso la sua abitazione) per il disbrigo di
pratiche on line;
3) la mancanza di motivazione in ordine all’esigenza cautelare del pericolo di reiterazione della
condotta criminosa, ritenuta persistente solo per un lontano precedente per bancarotta fraudolenta.

Il primo motivo di ricorso è infondato.
Va preliminarmente rilevato che, in tema di riesame di misure cautelari personali,
l’inefficacia della ordinanza cautelare per mancato invio al tribunale degli atti trasmessi al giudice
per le indagini preliminari al momento della richiesta non si verifica se non risulta che l’atto,
asseritamente non inviato, fosse stato effettivamente trasmesso unitamente alla richiesta della
misura al giudice per le indagini preliminari (Cass. sez.I 22 gennaio 2009 n.4567, Di Lorenzo). Nel
caso di specie non risulta che gli atti di indagine relativi al distinto procedimento n.59238/2011
R.G. not. reato, da cui secondo il ricorrente si desumerebbero gli elementi che avevano condotto
alla perquisizione nella sua abitazione e al rinvenimento delle carte di credito sequestrate, fossero

Avverso la predetta ordinanza l’indagato ha proposto, personalmente, ricorso per cassazione.

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stati allegati alla richiesta di applicazione della misura cautelare e rientrassero quindi tra gli atti
presentati a norma dell’art.291, comma 1, c.p.p., da trasmettere ex art.309, comma 5, c.p.p. al
tribunale del riesame nei termini stabiliti. Nell’ordinanza impugnata il tribunale del riesame ha
ritenuto, sulla base di una argomentazione non illogica, che la mancanza di riferimenti
nell’ordinanza di applicazione della misura cautelare ad atti diversi dal verbale di arresto e dei
relativi allegati (verbali di perquisizione e sequestro) consentisse di escludere che la misura

ricorrente, sarebbero stati posti a fondamento della richiesta del pubblico ministero. Anche nel caso
in cui gli atti di indagine in questione fossero stati trasmessi al giudice per le indagini preliminari a
sostegno della richiesta di misura cautelare, non si porrebbe comunque alcuna questione di
inefficacia della misura cautelare. La sanzione di inefficacia della misura prevista dal comma 10
dell’art.309 c.p.p., infatti, non può che riguardare gli atti a contenuto sostanziale con valore
probatorio, che hanno diretto rilievo ai fini del merito della questione cautelare e che siano stati
effettivamente utilizzati dal giudice a fondamento del provvedimento coercitivo (Cass. Sez. Un. 27
marzo 2002 n.19253, P.M. in proc. Mohamed Ashraf; sez.III 10 luglio 2002 n.30306, Sabatelli;
sez.IV 30 marzo 2005 n.40044, Congiusti). Correttamente quindi nell’ordinanza impugnata si è
rilevato che gli atti cui si riferisce il ricorrente sarebbero comunque “superflui ai fini del decidere,
atteso che, alla luce dell’esito positivo delle perquisizioni domiciliari effettuate, l’addebito resta
provato in sé… l’individuazione degli elementi che hanno indotto i verbalizzanti a perquisire
proprio l’abitazione del Sinibaldi non costituisce in sé altro che un documento conoscitivo, ma il
vero elemento indiziante, nel caso in esame, è dato dal ritrovamento…”.
Con il secondo motivo il ricorrente tende a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti
attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale indiziario rimessi alla
esclusiva competenza del giudice di merito. Infatti il ricorrente formula censure di merito
improponibili in sede di legittimità, prospettando sostanzialmente una rilettura in fatto degli
elementi indiziari già presi in considerazione e analiticamente valutati nella loro complessiva
gravità dal tribunale del riesame, che ha adeguatamente giustificato le conclusioni circa la
sussistenza della gravità indiziaria attraverso una puntuale valutazione delle emergenze
investigative e una motivazione coerente e lineare, conforme ai principi di diritto che governano le
risultanze probatorie ed esente da contraddizioni e manifeste illogicità (Cass. Sez.Un. 22 marzo
2000 n. 11, Audino; sez.IV 3 maggio 2007 n.22500, Terranova; sez.V 8 ottobre 2008 n.46124,
Pagliaro; sez.VI 8 marzo 2012 n.11194, Lupo). Va ribadito, infatti, che il controllo di legittimità
sulla motivazione delle ordinanze di riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale è
diretto a verificare, da un lato, la congruenza e la coordinazione logica dell’apparato argomentativo

cautelare fosse stata disposta anche sulla base degli ulteriori atti di indagine che, secondo il

4che collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza dell’indagato e, dall’altro
lato, la valenza sintomatica degli indizi senza coinvolgere il giudizio ricostruttivo del fatto e gli
apprezzamenti del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e la concludenza
dei risultati del materiale indiziario, quando la motivazione sia adeguata, coerente ed esente da
errori logici e giuridici. (Cass. Sez.Un.30 aprile 1997 n.6402, Dessimone; sez. I 20 marzo 1998 n.
1700, Barbaro). In sede di ricorso proposto ai sensi dell’art. 311co.2 c.p.p. la motivazione del

requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità al punto da risultare meramente apparente o
assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito o
talmente priva di coordinazione e carente dei necessari passaggi logici da far risultare
incomprensibili le ragioni che hanno giustificato l’applicazione della misura (Cass. sez.I 7 dicembre
1999 n.6972, Alberti). Nell’ordinanza impugnata vengono invece puntualmente posti in evidenza attraverso la confutazione degli argomenti difensivi diretti a giustificare il possesso da parte del
Sinibaldi delle carte di credito appartenenti all’ex socio Varone Pasquale e a cittadini
extracomunitari non meglio identificati- i plurimi e convergenti elementi che consentivano di
confermare il giudizio di gravità indiziaria circa l’indebito possesso da parte del ricorrente delle
carte di credito e prepagate rinvenute nel corso della perquisizione domiciliare e sequestrate.
Il terzo motivo è manifestamente infondato.
Il Tribunale del riesame ha correttamente ravvisato il pericolo concreto di reiterazione della
condotta criminosa desumendolo non solo dalla personalità dell’imputato, con riferimento al suo
precedente per bancarotta fraudolenta che denota propensione a commettere “reati fondati sulla

frode, come quello oggi a lui contestato” , ma anche dalle peculiari circostanze del fatto quali il
numero e la varietà delle carte di credito intestate a terzi rinvenute in suo possesso, indicativi della
non occasionalità del fatto. In tal modo il giudice di merito ha operato una valutazione che, in modo

provvedimento che dispone una misura coercitiva è, pertanto, censurabile solo quando sia priva dei

globale, ha preso in considerazione entrambi i criteri direttivi (specifiche modalità e circostanze del
fatto, personalità della persona sottoposta ad indagini desunta da comportamenti o atti concreti o dai
suoi precedenti penali) indicati dall’art.274 lett.c) c.p.p. (Cass. sez.V 17 aprile 2009 n.21441, Fiori;
sez.IV 10 aprile 2004 n.37566, Albanese), pervenendo alla conferma del provvedimento impugnato
anche sotto il profilo della sussistenza del pericolo di recidivanza.
Al rigetto del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali.
P.Q.M.

t{„

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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