Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3662 del 21/01/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 3662 Anno 2016
Presidente: PRESTIPINO ANTONIO
Relatore: DAVIGO PIERCAMILLO

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:
Prisco Luciano, nato a Napoli il 30/04/1962;
Raffio Giuseppe, nato a Benevento il 03/07/1966;
avverso la sentenza del 11/02/2014 della Corte d’appello di Bologna;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Piercamillo Davigo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Massimo Galli, che ha concluso chiedendo che i ricorsi siano dichiarati
inammissibili;
uditi:
per l’imputato Prisco l’Avv. Lorenzo Gutucci, in sostituzione degli Avvocati
Giuseppe Grassi e Riccardo Luzi;
per l’imputato Raffio l’Avv. Giovanni Majo, in sostituzione dell’Avv. Giuseppe
Romano;
che hanno concluso chiedendo l’accoglimento dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 3.3.2010 il Tribunale di Forlì dichiarò Prisco Luciano e
Raffio Giuseppe responsabili: entrambi: di truffa e falso in scrittura privata (capo
a); truffa, falsa dichiarazione, falso in certificazione amministrativa con induzione
in errore (capo c); il solo Prisco altresì di due episodi di truffa tentata (capo b e

Data Udienza: 21/01/2016

capo d); unificati sotto il vincolo della continuazione e – riconosciute le
circostanze attenuanti generiche al solo Prisco – condannò Prisco alla pena di
anni 2 mesi 6 di reclusione e Raffio alla pena di anni 2 mesi 6 di reclusione ed C
500,00 di multa. Entrambi gli imputati furono assolti dall’imputazione di
associazione per delinquere perché il fatto non sussiste (capo e).

2. Gli imputati ed il Procuratore generale della Repubblica (nei confronti del
solo Raffio) proposero gravame e la Corte d’appello di Bologna, con sentenza

recidiva reiterata specifica nel quinquennio a Raffio, rideterminò la pena inflitta
allo stesso in anni 3 mesi 6 di reclusione ed C 600,00 di multa, confermò nel
resto la prima sentenza.

3. Ricorrono per cassazione gli imputati con distinti atti.

3.1. Prisco Luciano, tramite il difensore, deduce:
1.

violazione di legge e vizio di motivazione sulla ritenuta competenza
territoriale del Tribunale di Forlì, mentre, escluso il reato associativo, la
competenza apparteneva al Tribunale di Pesaro;

2.

violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla immutazione del
fatto, trasformando la contestata truffa in una truffa contrattuale,
consistita nella alterazione della regolarità del procedimento formativo
dell’accordo contrattuale;

3.

violazione di legge e vizio di motivazione per l’utilizzazione delle
dichiarazioni spontanee rese da Prisco (in ogni caso non utilizzabili quali
prova dei fatti in esse affermati ma solo per contestazioni) e
sull’affermazione di responsabilità; la condotta ascritta a Prisco è solo
quella di essersi reso intestatario dei finanziamenti per l’acquisto delle
autovetture; D’Elia Cosimo aveva sottoscritto il contratto di cui al capo b)
col nome di Prisco; le istanze di accertamenti grafici sulle sottoscrizioni a
nome Prisco di vari documenti sono state disattese senza motivazione; è
stato ritenuto il concorso di Prisco nel falso, ma non ha senso intestare a
proprio nome contratti per poi concorrere nella falsa sottoscrizione; non vi
sono elementi sul concorso di Prisco nei reati e sull’elemento soggettivo
dei reati;

4.

violazione di legge, vizio di motivazione ed omessa assunzione di una
prova decisiva in relazione alla mancata rinnovazione del dibattimento per
espletare gli accertamenti sui documenti attribuiti a Prisco con perizie
grafologiche;

2

11.2.2014 in parziale riforma della pronunzia di primo grado, applicata la

5. violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla quantificazione
della pena.

3.2.1. Raffio Giuseppe, tramite il difensore, deduce:
1. violazione degli artt. 106 commi 1 e 4 bis cod. proc. pen. e 179 cod. proc.
pen. in quanto all’udienza 11.2.2014 la difesa era stata assunta, ai sensi
dell’art. 97 comma 4 cod. proc. pen., da un unico difensore per entrambi
gli imputati, nonostante la incompatibilità delle due posizioni, avendo

con ritrattazione non ritenuta attendibile dal primo giudice; tale
incompatibilità emergeva anche dalla sentenza di primo grado e dai
motivi di appello di Raffio relativi alla utilizzabilità delle dichiarazioni di
Prisco; ne consegue la nullità della udienza e della sentenza di appello;
2.

violazione della legge processuale per mancata notificazione dell’appello
del Procuratore generale della Repubblica ai difensori dell’imputato, con
conseguente nullità o, in subordine, restituzione in termini per appellare;

3.

violazione della legge processuale con nullità delle sentenze di primo e
secondo grado per incompetenza territoriale del Tribunale di Forlì, in
quanto, una volta escluso il reato associativo la competenza apparteneva
al Tribunale di Pesaro, anche sotto il profilo della mancanza di
motivazione;

4.

violazione della legge processuale per imnnutazione dei fatti contestati ai
capi a) e c) trasformando ordinarie truffe consumate con artifizi e raggiri
in truffe contrattuali in cui sarebbe stata lesa l’autonomia contrattuale;

5.

violazione della legge processuale e vizio di motivazione anche sotto il
profilo del travisamento del fatto, laddove il contributo causale di Raffio è
stato indicato nel reperimento dell’acquirente terzo di buona fede, nel
tentativo di permuta dell’autovettura Audi e nel parcheggio della stessa
nel garage di Raffio; nonché in riferimento alla inattendibilità del teste
Baldi Giovambattista (che ha motivi di astio verso Raffio e che è stato
soccombente in un giudizio per calunnia in danno del Raffio) e del
coimputato Prisco Luciano, anche in violazione degli artt. 192 e 500 cod.
proc. pen. essendo state usate le iniziali dichiarazioni di Prisco;

6.

violazione della legge processuale per la mancata contestazione della
recidiva, contestata solo con riferimento al capo e) per il quale l’imputato
è stato assolto e non con riferimento agli altri reati, con nullità della
condanna per la parte relativa alla ritenuta recidiva;

7.

violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta recidiva
nonostante la condotta irreprensibile tenuta dopo l’ultima condanna e
l’inserimento come testimone in un programma di protezione;

3

Prisco chiamato in correità Raffio (sia pure con dichiarazioni ritrattate, ma

8.

violazione di legge e vizio di motivazione sull’aumento di pena per
recidiva e sul mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui
all’art. 114 cod. pen. e sull’entità della pena;

9.

violazione di legge e vizio di motivazione sulla ritenuta sussistenza della
circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 7 cod. pen. con conseguente
procedibilità nonostante la tardività delle querele.

1. violazione della legge processuale e vizio di motivazione sulla mancata
declaratoria di incompetenza nonostante l’intervenuta assoluzione dal
reato associativo per il quale comunque non erano indicate le ragioni di
competenza del Tribunale di Forlì;
2.

violazione della legge processuale e vizio di motivazione sull’utilizzazione
delle dichiarazioni spontanee rese da Prisco e poi ritrattate, sulla mancata
valutazione della loro inattendibilità e la nomina di un unico difensore, ai
sensi dell’art. 97 comma 4 cod. proc. pen. per entrambi gli imputati;

3.

violazione della legge processuale in relazione alla immutazione del fatto
per la trasformazione di una truffa ordinaria in truffa contrattuale,
consistita nell’alterazione della volontà contrattuale.

4. Con motivi nuovi il difensore di Raffio Giuseppe deduce:
1.

vizio di motivazione sul mancato riconoscimento della circostanza
attenuante di cui all’art. 114 cod. pen.;

2.

violazione di legge e mancanza assoluta di motivazione sulla mancata
esclusione della recidiva;

3.

previa esclusione della recidiva l’intervenuta prescrizione dei reati.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso proposto nell’interesse di Prisco Luciano, il terzo
motivo di ricorso proposto nell’interesse di Raffio Giuseppe ed il primo motivo di
ricorso proposto personalmente da Raffio Giuseppe sono manifestamente
infondati.
In tema di competenza per connessione, la regola della “perpetuatio
jurisdictionis” è stata confermata e anzi rafforzata dal nuovo codice di procedura
penale, stante la natura di criterio originario e autonomo di attribuzione della
competenza riconosciuto al vincolo della connessione. Ne consegue che le
vicende relative ai procedimenti connessi, già riuniti, come quella della loro
separazione per la definizione anticipata di alcuni di essi, non interferiscono in
4

3.2.2. Raffio Giuseppe personalmente deduce:

alcun modo sulla competenza unitariamente determinatasi, con riferimento a
tutte le regiudicande, al momento della “vocatio in judicium”. (Cass. Sez. 6,
Sentenza n. 1318 del 30/09/1996 dep. 13/02/1997 Rv. 208177)
Altrettanto vale con riferimento all’intervenuta assoluzione degli imputati dal
reato più grave che radica la competenza per connessione.
Quanto alla contestazione della competenza per il reato associativo, in caso
di incertezza sul luogo del commesso reato opera il criterio della competenza del

2. Il primo motivo di ricorso proposto nell’interesse di Raffio Giuseppe ed il
secondo motivo del ricorso proposto personalmente da Raffio (per la parte
relativa alla nomina di un unico difensore per entrambi gli imputati) sono
manifestamente infondati.
L’assunzione da parte di uno stesso difensore della difesa di più imputati con
diversa posizione giuridica è causa di nullità solo se risulti un effettivo e concreto
pregiudizio alla difesa del singolo assistito. (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 29479 del
23/10/2012 dep. 10/07/2013 Rv. 256448. Fattispecie nella quale uno dei
coimputati difeso dallo stesso difensore d’ufficio era fonte primaria di un teste di
accusa “de relato” e la Corte ha escluso che si fosse verificata alcuna nullità in
assenza di elementi dimostrativi dell’assunzione da parte del predetto avvocato
di linee difensive tra loro inconciliabili).
Nel caso in esame non vi è stato alcun pregiudizio sulle difese dei singoli
assistiti essendo intervenuta ritrattazione delle dichiarazioni inizialmente rese da
Prisco ed essendosi limitato il difensore nominato ai sensi dell’art. 97 comma 4
cod. proc. pen. a riportarsi ai singoli motivi di gravame.

3. Il secondo motivo di ricorso proposto nell’interesse di Raffio Giuseppe è
manifestamente infondato.
L’inosservanza dell’obbligo di notificare alle parti private l’impugnazione del
pubblico ministero, prescritto dall’art. 584 cod. proc. pen., non produce
l’inammissibilità della stessa impugnazione, né la nullità del processo del grado
successivo, determinando esclusivamente la mancata decorrenza del termine per
l’impugnazione incidentale della parte privata, ove consentita. (Cass. Sez. 2,
Sentenza n. 47412 del 05/11/2013 dep. 29/11/2013 Rv. 257482).
L’omessa notifica dell’atto di impugnazione non dà luogo a nullità di ordine
generale e neppure a decadenza dell’impugnazione medesima, in quanto non è
compresa tra le cause di inammissibilità previste tassativamente dall’art. 591
cod. proc. pen. o da altre norme del codice di rito. Essa comporta soltanto la
mancata decorrenza del termine per la proposizione da parte del soggetto
interessato di eventuale appello incidentale o di ricorso per “saltum”, mentre
5

giudice del luogo in cui è avvenuta la prima iscrizione della notizia di reato.

negli altri casi nessun pregiudizio può derivare alla parte nei cui confronti viene
esercitata la pretesa espressa nell’atto di gravame. Tuttavia, quando la parte
possa proporre appello incidentale e non risulti che abbia avuto comunque
conoscenza dell’atto di impugnazione, il giudice del gravame è tenuto a
trasmettere gli atti alla cancelleria del giudice “a quo” perché si proceda alle
dovute notificazioni. (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 38 del 12/01/1999 dep.
25/01/1999 Rv. 212339).
Nel caso in esame è pacifico che i difensori abbiano avuto conoscenza

neppure precisato rispetto a quali doglianze avrebbero inteso proporre appello
incidentale, posto che avevano comunque interposto appello principale.

4. Il secondo motivo di ricorso proposto nell’interesse di Prisco Luciano, il
quarto motivo di ricorso proposto dal difensore di Raffio Giuseppe ed il terzo
motivo proposto da Raffio personalmente sono manifestamente infondati.
Non sussiste violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza
quando nella contestazione, considerata nella sua interezza, siano contenuti gli
stessi elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto in sentenza, in quanto
l’immutazione si verifica solo nel caso in cui tra i due episodi ricorra un rapporto
di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale per essersi realizzata una vera e
propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali
dell’addebito nei confronti dell’imputato, posto, così, a sorpresa di fronte ad un
fatto del tutto nuovo senza avere avuto nessuna possibilità d’effettiva difesa.
(Cass. Sez. 6, Sentenza n. 17799 del 06/02/2014 dep. 28/04/2014 Rv. 260156.
Nella fattispecie la Corte ha escluso che tra l’imputazione di sottrazione di
persone incapaci, originariamente contestata, e quella di ritenzione di persone
incapaci vi fosse immutazione, giacché il reato di cui all’art. 574 cod. pen. può in
concreto articolarsi attraverso due forme alternative e, perciò, equivalenti).
Nel caso in esame non vi è stata una vera e propria trasformazione del fatto
contestato anzi, come ha rilevato la Corte territoriale, vi era esplicita
enunciazione nell’imputazione l’utilizzo di artifici capaci di incidere sul processo di
formazione della volontà (p 4 motivazione sentenza impugnata).

5. Il terzo motivo di ricorso proposto nell’interesse di Prisco Luciano (nella
parte relativa all’utilizzazione delle dichiarazioni spontanee e il secondo motivo di
ricorso proposto da Raffio Giuseppe personalmente (per la parte relativa
all’utilizzazione delle dichiarazioni spontanee di Prisco ed alla loro inattendibilità)
sono manifestamente infondati.
Nella motivazione della sentenza di appello non vi è alcun richiamo alle
dichiarazioni spontanee rese da Prisco Luciano che non sono state perciò poste a
6

___

dell’atto quantomeno dall’inizio del procedimento, ma nel motivo di ricorso non è

base della decisione. Anzi la Corte territoriale ha precisato che le stesse sono
state utilizzate dal primo giudice soltanto per ritenere implausibile la versione di
Prisco di aver funto da prestanome per fare un favore a D’Elia e quindi nei limiti
delle contestazioni, ma non ha a sua volta fondato la decisione su tali
dichiarazioni (p. 6 sentenza impugnata).
Infatti, anche eliminando tale riferimento alle dichiarazioni spontanee la
motivazione della sentenza impugnata conserva completezza e logicità.

quinto motivo di ricorso proposto nell’interesse di Raffio Giuseppe svolgono
censure di merito.
La Corte territoriale ha argomentato sull’apporto concorsuale degli imputati in
un sistema truffaldino volto all’acquisto di autovetture pagando solo un acconto
per poi rivenderle a prezzi ridotti.
In tale motivazione non si ravvisa alcuna manifesta illogicità che la renda
sindacabile in questa sede.
Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non
deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore
possibile ricostruzione dei fatti né deve condividerne la giustificazione, ma deve
limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune
e con “i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento”, secondo una
formula giurisprudenziale ricorrente. (Cass. Sez. 5^ sent. n. 1004 del
30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745, Cass., Sez. 2^ sent. n. 2436 del
21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955).
Del resto va ricordato che il vizio di motivazione implica o la carenza di
motivazione o la sua manifesta illogicità.
Sotto questo secondo profilo la correttezza o meno dei ragionamenti dipende
anzitutto dalla loro struttura logica e questa è indipendente dalla verità degli
enunciati che la compongono.
A fronte di ciò nei motivi di ricorso si deducono ricostruzioni alternative a
quella operata dai giudici di merito, ma, in materia di ricorso per Cassazione,
perché sia ravvisabile la manifesta illogicità della motivazione considerata
dall’art. 606 primo comma lett. e) cod. proc. pen., la ricostruzione contrastante
con il procedimento argomentativo del giudice, deve essere inconfutabile, ovvia,
e non rappresentare soltanto una ipotesi alternativa a quella ritenuta in
sentenza. (V., con riferimento a massime di esperienza alternative, Cass. Sez. 1
sent. n. 13528 del 11.11.1998 dep. 22.12.1998 rv 212054).

7.

Il quarto motivo di ricorso proposto nell’interesse di Prisco Luciano è

manifestamente infondato.
7

__

6. Il terzo motivo di ricorso proposto nell’interesse di Prisco Luciano ed il

La rinnovazione del dibattimento avrebbe dovuto essere disposta, ai sensi
dell’art. 603 cod. proc. pen., non trattandosi di prove nuove, solo se il giudice di
appello avesse ritenuto di non poter decidere allo stato degli atti ed anche tale
valutazione è di merito e la motivazione può essere implicita.
Infatti, in tema di giudizio di appello, poiché il vigente cod. proc. pen. pone
una presunzione di completezza della istruttoria dibattimentale svolta in primo
grado, la rinnovazione, anche parziale, del dibattimento ha carattere eccezionale
e può essere disposta solo qualora il giudice ritenga di non poter decidere allo

essere specificamente motivata, occorrendo dar conto dell’uso del potere
discrezionale derivante dalla acquisita consapevolezza di non poter decidere allo
stato degli atti, nel caso, viceversa, di rigetto, la decisione può essere sorretta
anche da motivazione implicita nella stessa struttura argomentativa posta a base
della pronuncia di merito, che evidenzi la sussistenza di elementi sufficienti per
una valutazione – in senso positivo o negativo – sulla responsabilità, con la
conseguente mancanza di necessità di rinnovare il dibattimento. (v. Cass. Sez. 5
sent. n. 6379 del 17.3.1999 dep. 21.5.1999 rv 213403).

8. Il sesto ed il settimo motivo di ricorso proposti nell’interesse di Raffio
Giuseppe sono manifestamente infondati.
La recidiva è stata contesta in calce alle imputazioni e pertanto si riferisce a
tutte le imputazioni e non solo al reato associativo.
Questa Corte conosce, ma non condivide, la pronunzia secondo la quale la
recidiva è una circostanza aggravante e come tale, per essere ritenuta in
sentenza, deve aver formato oggetto di precisa contestazione con puntuale
riferimento al singolo reato cui viene riferita dal giudice (Cass. Sez. 6, Sentenza
n. 5075 del 09/01/2014 dep. 31/01/2014 Rv. 258046. Fattispecie in cui la Corte
ha escluso l’applicabilità della recidiva per un reato diverso da quelli in relazione
ai quali la circostanza era stata formalmente contestata, ritenendo, inoltre,
irrilevante l’addebito formulato nell’ordinanza di misura cautelare).
La recidiva è certamente una circostanza aggravante, ma attiene alla
persona del colpevole e le difformità di contestazione della recidiva per singole
imputazioni possono derivare solo dalla data di commissione del reato o
dall’essere gli stessi di diversa indole.
In diversa ipotesi (come quella del caso in esame) la recidiva non può che
riferirsi a tutte le imputazioni.
La Corte territoriale ha poi specificamente argomentato sulla radicata da anni
propensione al crimine di Raffio Giuseppe (p. 8 sentenza impugnata).

8

stato degli atti. Pertanto, mentre la decisione di procedere a rinnovazione deve

9. L’ottavo motivo di ricorso proposto nell’interesse di Raffio Giuseppe per la
parte relativa al mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui
all’art. 114 cod. pen. è manifestamente infondato.
La Corte territoriale ha argomentato sulla non configurabilità della
circostanza attenuante di cui all’art. 114 cod. pen. per il ruolo essenziale svolto
da Raffio (p. 7 sentenza impugnata).

10.

Il quinto motivo di ricorso proposto nell’interesse di Prisco Luciano e

residua parte) sono manifestamente infondati.
La determinazione in concreto della pena costituisce il risultato di una
valutazione complessiva e non di un giudizio analitico sui vari elementi offerti
dalla legge, sicché l’obbligo della motivazione da parte del giudice
dell’impugnazione deve ritenersi compiutamente osservato, anche in relazione
alle obiezioni mosse con i motivi d’appello, quando egli, accertata l’irrogazione
della pena tra il minimo e il massimo edittale, affermi di ritenerla adeguata o non
eccessiva. Ciò dimostra, infatti, che egli ha considerato sia pure intuitivamente e
globalmente, tutti gli aspetti indicati nell’art. 133 cod. pen. ed anche quelli
specificamente segnalati con i motivi d’appello (Cass. Sez. 6, sent. n. 10273 del
20.5.1989 dep. 12.7.1989 rv 181825. Conf. mass. n. 155508; n. 148766; n.
117242).

11.

Il nono motivo di ricorso proposto nell’interesse di Raffio Giuseppe è

manifestamente infondato.
In ordine alla circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 7 cod. pen. la Corte
territoriale ha ricordato che la stessa era stata ritenuta dal Tribunale, che pure
non aveva applicato il conseguente aumento di pena e comunque la stessa è
desumibile dai valori di acquisto delle autovetture.
Correttamente pertanto è stata ritenuta la perseguibilità d’ufficio delle truffe
siccome aggravate.
12. I ricorsi devono pertanto essere dichiarati inammissibili.

13. L’inammissibilità del ricorso principale di Raffio Giuseppe, ai sensi dell’art.
585 comma 4 cod. proc. pen., comporta l’inammissibilità dei motivi nuovi.

14.

Da ultimo il Collegio osserva che non possono trovare applicazione le

norme sulla prescrizione del reato, pur essendo maturati i relativi termini quanto
a Prisco, dal momento che – secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite di
questa Corte – l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla mancanza,
9

l’ottavo motivo di ricorso proposto nell’interesse di Raffio Giuseppe (per la

nell’atto di impugnazione, dei requisiti prescritti dall’articolo 581 cod. proc. pen.,
ovvero alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un
valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e
dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’articolo 129 cod. proc. pen.
(cfr.: Cass. Sez. Un., sent. n. 21 del 11.11.1994 dep. 11.2.1995 rv 199903;
Cass. Sez. Un., sent. n. 32 del 22.11. 2000 dep. 21.12.2000 rv 217266).

15. Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che

condannati al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi
profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – ciascuno al
pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille euro, così
equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e ciascuno al versamento della somma di euro mille alla Cassa
delle ammende.

Così deciso il 21/01/2016.

dichiara inammissibili i ricorsi, gli imputati che li hanno proposti devono essere

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