Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3661 del 17/12/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 3661 Anno 2014
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: RAMACCI LUCA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
TRIPICCHIO GIANLUCA N. IL 02/04/1979
SHYTAJ FLORIAN N. IL 12/01/1977
AMATO GENNARO N. IL 18/09/1965
avverso l’ordinanza n. 2048/2013 TRIB. LIBERTA’ di ROMA, del
22/07/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA RAMACCI;
19esentite le conclusioni del PG Dott. tt.
càb—

Uditi difensor Avv.; C

e

L.

Data Udienza: 17/12/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Roma, con ordinanza del 22 luglio 2013 ha rigettato la
richiesta di riesame presentata nell’interesse di Gianluca TRIPICCHIO, Florian
SHYTAJ e Gennaro AMATO avverso l’ordinanza con la quale il Giudice per le
indagini preliminari del medesimo Tribunale, in data 1.7.2013, aveva applicato a

SHYTAJ e Gennaro AMATO quella della custodia in carcere con riferimento, per il
TRIPICCHIO, al reato di cui agli artt. 81 cpv., 110 cod. pen. e 73 d.P.R. 309\90, per
aver ricevuto da altri coindagati, per la vendita al minuto, gr. 150 di cocaina
facenti parti di un quantitativo pari ad 1 kg fatto pervenire in Italia tramite due
«ovulatori» e pagato anche con il ricavato della vendita della sua autovettura
spedito all’organizzazione criminale fornitrice sudamericana (in Roma, nel
dicembre 2010) e, quanto all’AMATO ed allo SHYTAJ, per i reati di cui agli artt. 74
d.P.R. 309\90 e 4 I. 146\2006, per essersi associati, unitamente ad altri, al fine di
importare e vendere sul territorio nazionale ingenti quantitativi di marijuana,
rivestendo il SHYTAJ il ruolo di organizzatore ed intermediario tra l’organizzazione
criminale albanese ed il coindagato Franco LASI ed, in quanto tale, partecipando,
con vari compiti, all’organizzazione e spedizione dei carichi di stupefacente,
mentre l’AMATO era persona di fiducia del predetto LASI nell’attività di
distribuzione al dettaglio dello stupefacente e nel reperimento dei destinatari (in
Albania e Nettuno dal dicembre 2010 al 5 ottobre 2011 ed in periodi precedenti).
Inoltre, l’AMATO ed lo SHYTAJ erano indagati anche per il reato di cui agli
artt. 110 cod. pen., 73, 80, comma 2 d.P.R. 309\90 e 4 I. 146\2006, per
l’importazione dall’Albania in Italia e la successiva detenzione e cessione a terzi
di un imprecisato ma ingente quantitativo di marijuana (in Albania e Nettuno il 27
gennaio 2011 ed in epoca antecedente) e l’AMATO, inoltre, per il reato di cui agli
artt. 81 cpv., 110cp e 73, 80 comma 2 d.P.R. 309\90, per la cessione a terzi, in più
occasioni, di quantitativi di marijuana, tra cui un carico quantificabile in kg
39,600 (in Nettuno il 29 e 31 gennaio 2011) ed altro pari a kg 8,3 (in Nettuno e
Velletri il 9 febbraio 2011). Con la recidiva reiterata per l’AMATO.
Avverso tale pronuncia i predetti propongono separati ricorsi per cassazione.

2.Gianluca TRIPICCHIO deduce il vizio di motivazione con specifico
riferimento al pericolo di cui all’art. 274, comma 1, lett. c) cod. proc. pen.,
lamentando che il giudici del riesame avrebbero limitato la motivazione al mero
richiamo alle argomentazioni svolte nel provvedimento applicativo della misura

Gianluca TRIPICCHIO la misura cautelare degli arresti domiciliari ed a Florian

cautelare ed alla gravità del reato, deducendo da quest’ultima la capacità a
delinquere, senza considerare la personalità dell’indagato, la sua vita pregressa
né alcuno degli elementi di cui all’art. 133 cod. pen.
Il Tribunale non avrebbe inoltre specificato per quali ragioni il solo elemento
valutato, in assenza di altri dati significativi, giustificherebbe il giudizio
prognostico negativo formulato, né avrebbe considerato l’assenza di precedenti
penali ed il tempo trascorso dalla commissione del fatto, rimasto peraltro un
episodio isolato.

un peso superiore a quello riportato nell’imputazione e che il Tribunale non
avrebbe, inoltre, specificato sulla base di quali elementi ha tratto la convinzione
della mancata resipiscenza e della volontà di non compromettere i propri rapporti
con i criminali stabilmente dediti al traffico di stupefacenti.
Mancherebbe, infine, ogni valutazione in ordine alla inadeguatezza di una
misura meno afflittiva.

3.Florian SHYTAJ deduce la nullità delle intercettazioni, osservando che i
decreti autorizzativi del G.I.P. sarebbero stati emessi fuori termine e che le
operazioni di captazione avrebbero dovuto essere autorizzate dalla magistratura
albanese riguardando conversazioni tra albanesi in Albania.
Rileva, inoltre, la infondatezza delle accuse, affermando che le conversazioni
intercettate avrebbero ad oggetto l’attività, del tutto lecita, della coltivazione di
uliveti intrapresa con il fratello nel paese d’origine.
Denuncia, poi, il difetto di giurisdizione del giudice italiano, trattandosi di
esportazione di droga dall’Albania e lamenta che il Tribunale non avrebbe
adeguatamente motivato in ordine alle sue documentate condizioni di salute,
erroneamente ritenute compatibili con il regime carcerario.
Censura, infine, la sussistenza delle contestate aggravanti di cui all’art. 80,
comma 2 d.P.R. 309\90 e 4 I. 146\2006, lamentando che il Tribunale avrebbe
erroneamente considerato il quantitativo dello stupefacente e la transnazionalità
del reato.

4.Gennaro AMATO deduce il vizio di motivazione in relazione all’art. 4 I.
146\2006, avendo egli avuto rapporti esclusivamente con un coimputato italiano
ed osserva che la cessione di stupefacente a Luigi NARDI, di cui tratta il capo di
imputazione, non sarebbe mai stata effettuata a causa dell’intervento delle forze
dell’ordine.
Formula, inoltre, censure analoghe a quelle prospettate dallo SHYTAJ in
ordine alla valutazione, da parte del Tribunale, delle sue condizioni di salute ed

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Aggiunge che il riferimento all’ingente quantitativo di stupefacente riguarda

alla qualificazione del quantitativo di stupefacente detenuto come ingente ai fini
dell’aggravante di cui all’art. 80 d.P.R. 309\90.
Tutti insistono, pertanto, per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.

5. In data 31.10.2013 la difesa dell’AMATO ha presentato motivi nuovi
deducendo: carenza di motivazione ed inadeguatezza dei capi d’accusa;
esclusione dell’aggravante dell’ingente quantità e inesistenza del reato di cui agli
artt. 73 e 80 d.P.R. 309\90, nonché del reato di cui all’art. 74 del medesimo

dell’indagato dei dispositivi elettronici di cui all’art. 275 cod. proc. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

6. Tutti i ricorsi sono inammissibili.
Occorre osservare, con riferimento alle censure mosse da

Gianluca

TRIPICCHIO in punto di valutazione del pericolo di reiterazione del reato, come
la giurisprudenza di questa Corte abbia già avuto modo di precisare che la
verifica dell’esistenza di concreti elementi indicativi in tal senso deve riguardare
le modalità e circostanze del fatto e la personalità dell’imputato (Sez. III n.14846,
6 aprile 2009; Sez. IV n.34271, 10 settembre 2007; Sez. n.11179, 22 marzo
2005) e che detto pericolo può essere desunto anche dalla pluralità dei fatti
contestati, che, considerata alla luce delle modalità della condotta
concretamente tenuta, può essere indice sintomatico di una personalità proclive
al delitto, indipendentemente dall’attualità di detta condotta e, quindi, anche nel
caso in cui essa sia risalente nel tempo (così Sez. V n.45950, 19 dicembre 2005;
Sez. Il n.7357, 24 febbraio 2005 ed altre prec. conf.).
Si è inoltre ripetutamente affermato che, ai fini dell’individuazione della
suddetta esigenza cautelare, il giudice può porre a base della valutazione della
personalità dell’indagato le stesse modalità del fatto commesso da cui ha
dedotto anche la gravità del medesimo (cfr., da ultimo, Sez. V n. 35265, 21
agosto 2013. Conf. Sez. I n. 8534, 21 febbraio 2013; Sez. IV n. 12150, 13 marzo
2004; Sez. I n. 6359, 8 febbraio 2000 ed altre prec.).
Su tale valutazione, è evidente, non può automaticamente prevalere la
eventuale incensuratezza dell’indagato.

6.1 Ciò posto, deve rilevarsi che il Tribunale, nel valutare la sussistenza del
pericolo di reiterazione del reato, ha osservato come la circostanza dell’acquisto

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decreto; carenza di motivazione in punto di utilizzazione sulla persona

nell’arco di due mesi di ben 300 grammi di cocaina costituisca sintomo evidente
di una stabile dedizione al reato e di un saldo vincolo con criminali dediti al
traffico di stupefacenti ed ha sottolineato l’assenza di concreti segnali di
ravvedimento, nonché la manifestata volontà di non compromettere i rapporti
con i destinatari della cocaina acquistata.
Si tratta, a ben vedere, di una motivazione del tutto adeguata e priva di
cedimento logici o manifeste contraddizioni e che risponde perfettamente ai
requisiti indicati nelle richiamate pronunce, anche per ciò che attiene la

Va poi rilevato che il riferimento al quantitativo di stupefacente appare
corretto, avendo i giudici del riesame evidenziato, nell’illustrare gli indizi a carico
del ricorrente (pag. 9 dell’ordinanza impugnata), che dalle intercettazioni
ambientali indicate risulta che questi aveva acquistato in precedenza altri 150
grammi di cocaina i quali, aggiunti a quelli indicati nell’imputazione, raggiungono
il quantitativo indicato.
Anche la circostanza del radicato rapporto con i trafficanti fornitori dello
stupefacente emerge chiaramente laddove i giudici riferiscono del puntuale
pagamento in occasione di una prima fornitura e di quello successivo, attuato
vendendo l’automobile di proprietà.
Si tratta, complessivamente, di una serie di considerazioni che giustificano
adeguatamente il percorso logico seguito dal Tribunale, la cui solidità non viene
intaccata neppure dalla mancanza di precisi riscontri all’affermazione
concernente la volontà di mantenere rapporti con i destinatari dello
stupefacente, circostanza, questa, che, a fronte degli ulteriori elementi valutati,
assume un rilievo decisamente secondario.

6.2 Quanto alla motivazione sull’adeguatezza della misura applicata, deve
osservarsi, in linea generale, come sia richiesto al giudice di indicare soltanto gli
elementi specifici che, nel caso concreto, fanno ragionevolmente ritenere che
quella applicata sia la misura più idonea a soddisfare le ravvisate esigenze
cautelari.
Occorre poi ricordare come si sia già avuto modo di osservare, con
riferimento al provvedimento applicativo della misura custodiale di massimo
rigore, che non è necessaria l’analitica dimostrazione delle ragioni che rendono
inadeguata ogni altra misura, essendo invece sufficiente l’indicazione, da parte
del giudice, con argomenti logico-giuridici tratti dalla natura e dalle modalità di
commissione dei reati, nonché dalla personalità dell’indagato, degli elementi
specifici che inducono ragionevolmente a ritenere detta custodia quale misura
più adeguata al fine di impedire la prosecuzione dell’attività criminosa,

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condizione di incensurato ed il tempo trascorso dalla commissione del reato.

rimanendo così assorbita l’ulteriore dimostrazione dell’inidoneità delle altre
misure coercitive (Sez. VI n.17313, 5 maggio 2011; Sez. I n.45011, 21 novembre
2003; Sez. III n.2439, 4 luglio 1996; Sez. I n.1762, 21 maggio 1992).
Nella fattispecie, dunque, le considerazioni sulla gravità del fatto e la
personalità dell’indagato svolte dai giudici del riesame risultavano del tutto
sufficienti a giustificare la scelta della misura degli arresti domiciliari, peraltro
meno affiittiva rispetto a quelle applicate, tranne un’altra eccezione, alla totalità

7. Anche la infondatezza dei motivi di ricorso prospettati da Florian SHYTAJ
appare di macroscopica evidenza.
Va fatta rilevare, in primo luogo, la assoluta genericità alla eccezione di
nullità sollevata con riferimento alle operazioni di intercettazione, mancando ogni
riferimento che consenta questa Corte anche soltanto di individuare gli atti ai
quali l’eccezione è riferita.
Parimenti inconferenti risultano le deduzioni concernenti il difetto di
giurisdizione, in quanto, come chiaramente emerge dai capi di imputazione, la
contestazione riguarda l’attività di importazione in Italia dall’Albania di ingenti
quantitativi di stupefacente ad opera di una organizzazione criminale all’interno
della quale il ricorrente rivestiva il ruolo di organizzatore ed intermediario con gli
acquirenti sul territorio nazionale.
E’ sufficiente rammentare, a tale proposito, come questa Corte abbia
stabilito, proprio con riferimento ad una ipotesi di associazione finalizzata al
traffico internazionale di stupefacenti, che, per determinare la sussistenza della
giurisdizione italiana, occorre verificare in quale luogo è divenuta concretamente
operativa la struttura dell’associazione, potendosi attribuire importanza anche al
luogo in cui sono stati realizzati i singoli delitti commessi in attuazione del
programma criminoso, quando essi stessi rivelino, per il numero e la consistenza,
il luogo di operatività della predetta struttura (Sez. VI n.10088, 11 marzo 2011. V.
anche Sez. Il n.993, 7 aprile 1999; Sez. I n. 6933, 14 febbraio 1998; Sez. VI n.
4378, 25 marzo 1998).
Le circostanze illustrate dal Tribunale evidenziano, inoltre, la pacifica natura
transnazionale del reato il quale richiede, come ricordato dalle Sezioni Unite di
questa Corte, che lo stesso sia punito con la reclusione non inferiore nel massimo
a quattro anni, sia riferibile ad un gruppo criminale organizzato, anche se
operante solo in ambito nazionale e ricorra, in via alternativa, una delle seguenti
situazioni: a) il reato sia commesso in più di uno Stato; b) il reato sia commesso
in uno Stato, ma con parte sostanziale della sua preparazione, pianificazione,
direzione o controllo in un altro Stato; c) il reato sia commesso in uno Stato, con

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degli indagati.

implicazione di un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in
più di uno Stato; d) il reato sia commesso in uno Stato, con produzione di effetti
sostanziali in altro Stato (SS.UU. n. 18374, 23 aprile 2013).

7.1 Con riferimento alle ulteriori censure, occorre premettere che, secondo il
consolidato orientamento di questa Corte, il ricorso per cassazione in materia di
misure cautelari personali deve riguardare esclusivamente la violazione
specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione entro i limiti

riferirsi alla ricostruzione dei fatti o censure che, seppure formalmente rivolte alla
motivazione, si concretino in realtà nella prospettazione di una diversa
valutazione delle circostanze già prese in considerazione dal giudice di merito (v.
da ultimo, Sez. VI n.11194, 22 marzo 2012; Sez. V, n. 46124, 15 dicembre 2008).
Con specifico riferimento al ricorso per cassazione per vizio di motivazione
del provvedimento del Tribunale del riesame, in merito alla consistenza dei gravi
indizi di colpevolezza, si è osservato che alla Corte “spetta il compito di
verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti
che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto
delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a
carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la
valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di
diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie.” (SS. UU n. 11,
2 maggio 2000).
In definitiva, come pure si è sostenuto, il sindacato di legittimità sulla
motivazione del provvedimento cautelare personale è circoscritto alla verifica
che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti, consistenti
nell’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno
determinato e nell’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle
argomentazioni rispetto al fine del provvedimento (Sez. III n.40873, 18 novembre
2010)
Sono stati posti, dunque, limiti precisi entro i quali deve svolgersi il giudizio
di legittimità, che non può sconfinare in un ulteriore valutazione del merito,
anche quando, pur alla luce degli
nei motivi di gravame”,

“altri atti del processo specificamente indicati

l’intero contesto motivazionale del provvedimento

impugnato sia congruo e non venga intaccato dalle specifiche allegazioni del
ricorrente.
Non possono dunque prendersi in esame, in questa sede, le considerazioni
svolte dal ricorrente in ordine alla infondatezza dell’ipotesi accusatoria, che
risultano articolate esclusivamente in fatto.

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indicati dalla norma, con la conseguenza che il controllo di legittimità non può

7.2 Parimenti attinenti alla valutazione di dati fattuali risultano, inoltre, le
argomentazioni che i giudici del riesame hanno sviluppato con riferimento alla
rispondenza dello stupefacente alla nozione di «ingente quantitativo» di cui
all’art. 80 d.P.R. 309\90 come delineata dalla giurisprudenza di questa Corte
anche a Sezioni Unite (SS.UU. n. 36258, 20 settembre 2012), avendo il Tribunale
operato precisi riferimenti ai quantitativi di stupefacente trattati dal ricorrente ed
alle risultanze degli accertamenti svolti in sede di indagini preliminari.

7.3. Altrettanto adeguata e corretta risulta la motivazione dell’ordinanza
impugnata nella parte in cui analizza la documentazione relativa alle condizioni
di salute del ricorrente, avendo i giudici motivatamente rilevato l’assoluta
inadeguatezza della documentazione prodotta, ponendo anche in evidenza la
circostanza che detta documentazione risultava datata, che non emergeva alcun
elemento indicativo della pregressa sottoposizione dell’indagato a cure di sorta e
che, anzi, la condotta risultante dalle intercettazioni disposte, oltre che una
pregressa condanna per fatti pregressi, dimostravano esattamente il contrario.
Mancava dunque una chiara diagnosi di incompatibilità con il regime
carcerario o, comunque, la seria prospettazione di una situazione patologica tale
da non consentire adeguate cure in carcere.

8. A conclusioni identiche deve pervenirsi con riferimento al ricorso
presentato da Gennaro AMATO con riferimento alla valutazione operata dal
Tribunale sulle condizioni di salute, l’ingente quantitativo di stupefacente e la
sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 4 I. 146\2006, deduzioni rispetto alle
quali va richiamata la giurisprudenza in precedenza menzionata e rilevata,
ancora una volta l’adeguatezza e correttezza dell’impianto motivazionale posto a
sostegno dell’ordinanza impugnata.
Resta da aggiungere che anche l’ulteriore censura relativa alla cessione di
stupefacente a Luigi NARDI risulta completamente destituita di fondamento. E’
sufficiente osservare, a tale proposito, che la dinamica della vicenda sintetizzata
nel capo di imputazione è stata puntualmente ricostruita nel provvedimento
impugnato (pag. 12 e ss.) e che l’intervento della polizia giudiziaria all’atto della
materiale consegna dello stupefacente, avuto riguardo anche al titolo del reato
contestato (artt. 81, 110 cod. pen., 73, 80 comma 2 d.P.R. 309\90), non assume
incidenza alcuna in ordine alla sussistenza dei fatti-reato ipotizzati.

9. I ricorsi, conseguentemente, devono essere dichiarati inammissibili e alla

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Nessun difetto di motivazione è conseguentemente rilevabile sul punto.

declaratoria di inammissibilità – non potendosi escludere che essa sia ascrivibile
a colpa dei ricorrenti (Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186) – consegue l’onere
delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della
Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 1.000,00
per ciascuno di essi.
In ragione di quanto disposto dall’art. 585 comma 4 cod. proc. pen.,

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente la pagamento
delle spese del procedimento e della somma di euro 1.000,00 in favore della
Cassa delle ammende.
La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa
al Direttore dell’Istituto Penitenziario competente, a norma dell’articolo 94,
comma 1 ter disp. att. cod. proc. pen.

Così deciso in data 17.12.2013

l’inammissibilità dell’impugnazione si estende ai motivi nuovi.

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