Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3659 del 17/12/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 3659 Anno 2014
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: RAMACCI LUCA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CHEMELLO SERGIO N. IL 27/04/1948
avverso l’ordinanza n. 61/2013 TRIB. LIBERTA’ di VERONA, del
02/07/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA RAMACCI;
le,tté/sentite le conclusioni del PG Dott.
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Udit i difensor Avv.;

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e.

Data Udienza: 17/12/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Verona, con ordinanza del 2.7.2013 ha respinto la richiesta
di riesame presentata nell’interesse di Sergio CHEMELLO avverso il decreto di
sequestro emesso in data 6.6.2013 dalla Procura della Repubblica di Verona e
concernente il sequestro, presso la «CHEMELLO s.r.I.», di aspirapolvere rigenerati

sacchetti e filtri riportanti l’indicazione «VORWEK FOLLETTO», anche se con
l’indicazione «INTERFILTER», tali da poter indurre l’acquirente a ritenere che si
trattasse di merce originale «VORWEK», ipotizzandosi così il reato di cui all’art.
515 cod. pen. o, in alternativa, quello di cui all’art. 517 cod. pen.
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione.

2. Con un primo motivo di ricorso deduce l’insussistenza del fumus del reato
ipotizzato, osservando che, secondo quanto stabilito dal codice sulla proprietà
industriale, l’utilizzo del marchio altrui è consentita a determinate condizioni e
che la possibilità di trarre in inganno il consumatore avrebbe dovuto escludersi,
nel caso in esame, sulla base delle affermazioni della persona offesa contenute
nell’esposto che aveva dato origine al procedimento penale, ove si specificava
che i pezzi di ricambio, poi sequestrati, erano immediatamente riconoscibili per
la presenza di scritte in rosso.

3. Con un secondo motivo di ricorso rileva che le argomentazioni svolte
nell’impugnata ordinanza circa le caratteristiche ingannevoli della merce
sequestrata sarebbero conseguenza di un travisamento risultando, al contrario,
la facile riconoscibilità e lamenta che i giudici del riesame avrebbero omesso di
motivare in ordine alla necessità di mantenimento del sequestro dei prodotti che,
recando le scritte in colore rosso, per stessa ammissione dell’esponente,
sarebbero facilmente riconoscibili.

4. Con un terzo motivo di ricorso denuncia l’assenza di motivazione in ordine
alle finalità probatorie perseguite attraverso l’imposizione del vincolo sulle cose.

5. Con un quarto motivo di ricorso osserva che, considerato il tenore del
provvedimento con il quale l’autorità giudiziaria aveva disposto la perquisizione
ed il sequestro, la polizia giudiziaria risulterebbe aver agito in piena autonomia,
con la conseguenza che l’operato della stessa necessitava di specifica convalida.

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recanti il marchio «Folletto» composti anche da parti non originali, nonché

Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

6. In data 2.12.2013 il ricorrente ha depositato motivi nuovi lamentando la
mancanza di motivazione in ordine alle deduzioni difensive formulate nella
richiesta di riesame, alla necessità del mantenimento del sequestro ai fini
probatori ed alla necessità di convalida del sequestro eseguito dalla polizia

CONSIDERATO IN DIRITTO

7. Il ricorso è infondato,
Occorre preliminarmente ricordare, con riferimento al primo e secondo
motivo di ricorso, che unici atti accessibili a questa Corte sono il provvedimento
impugnato ed il ricorso, con la conseguenza che i riferimenti contenuti nell’atto di
impugnazione ad atti del procedimento risultano inconferenti e non possono
pertanto essere presi in considerazione in questa sede.

8. Ciò posto, deve rilevarsi che, nella fattispecie, i giudici del riesame hanno
ricondotto i fatti accertati nell’ipotesi di cui all’art. 515 cod. pen. o, quanto meno,
di quella di cui cui all’art. 517 cod. pen.
Come è noto, l’articolo 515 cod. pen. si riferisce alla condotta di colui che,
nell’esercizio di un’attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al
pubblico, consegna all’acquirente una cosa mobile per un’altra, ovvero una cosa
mobile, per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata
o pattuita ed è ipotizzabile, nella forma del tentativo, anche in caso di mera
detenzione in magazzino di merce non rispondente per origine, provenienza,
qualità o quantità a quella dichiarata o pattuita, trattandosi di dato pacificamente
indicativo della successiva immissione nella rete distributiva di tali prodotti (Sez.
III n. 3479, 26 gennaio 2009; Sez. III n. 1454, 16 gennaio 2009; Sez. III n. 36056,
8 settembre 2004) e ciò anche nel caso in cui la merce sia detenuta da un
commerciante all’ingrosso, dovendosi pacificamente riconoscere, in
considerazione delle condotte tipizzate, che la disposizione in esame tuteli tanto i
consumatori quanto gli stessi commercianti (Sez. III 36056\04 cit.), ovvero
quando presso il magazzino di prodotti finiti dell’impresa di produzione sia
detenuta merce con false indicazioni di provenienza destinata non al
consumatore finale ma ad utilizzatori commerciali intermedi (Sez. III n.22313, 6

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giudiziaria.

giugno 2011).
Il reato di cui all’art.517 cod. pen. ha, invece, per oggetto la tutela
dell’ordine economico e richiede la semplice imitazione del marchio, non
necessariamente registrato o riconosciuto, purché detta imitazione sia idonea a
trarre in inganno gli acquirenti (Sez. III n. 23819, 9 giugno 2009; Sez. V n. 13322,
25 marzo 2009; Sez. V n. 31482, 2 agosto 2007). Ciò che rileva è, dunque, la
mera, artificiosa equivocità dei contrassegni e delle indicazioni illegittimamente
usati, tali da ingenerare la possibilità di confusione con prodotti similari da parte

9. Va detto, a tale proposito, che il ricorrente non censura in alcun modo la
qualificazione giuridica dei fatti ascrittigli nella provvisoria incolpazione,
lamentando invece, nei due motivi di ricorso in esame, la insussistenza del

fumus dei reati sia per ciò che concerne l’elemento oggettivo del reato sia
ipotizzando un travisamento delle risultanze indiziarie.
Va in primo luogo rammentato che, secondo la consolidata giurisprudenza di
questa Corte, in sede di riesame del sequestro probatorio il Tribunale è chiamato
a verificare l’astratta sussistenza del reato ipotizzato, considerando il «fumus

commissi delicti» in relazione alla congruità degli elementi rappresentati e,
quindi, della sussistenza dei presupposti che giustificano il sequestro (v., ad es.,
Sez. V n.24589, 20 giugno 2011; Sez. III n. 33873, 9 ottobre 2006; Sez. Il n.
44399, 12 novembre 2004; Sez. VI n.12118, 12 maggio 2004; Sez. III n. 19766,
29 aprile 2003; Sez. I n. 4496, 27 luglio 1999; Sez. VI n.731, 9 aprile 1998) e la
valutazione della legittimità del sequestro non deve essere effettuata nella
prospettiva di un giudizio di merito sulla fondatezza dell’accusa, quanto,
piuttosto, con riferimento all’idoneità degli elementi su cui si fonda la notizia di
reato a rendere utile l’espletamento di ulteriori indagini, per acquisire prove certe
o prove ulteriori del fatto, non esperibili senza la sottrazione all’indagato della
disponibilità della res o l’acquisizione della stessa nella disponibilità dell’autorità
giudiziaria (così Sez. III n.15177, 14 aprile 2011).

10. Nella fattispecie, i giudici del riesame hanno certamente fatto buon uso
dei suddetti principi giurisprudenziali, procedendo ad una puntuale ricostruzione
dei fatti come risultanti dalla comunicazione della notizia di reato e rilevando la
sussistenza dei reati ipotizzati dal pubblico ministero restando nell’ambito di
cognizione come sopra delineato, dal quale, peraltro, resta notoriamente esclusa
ogni anticipata decisione della questione di merito concernente la responsabilità
della persona sottoposta ad indagini in ordine al reato oggetto di investigazione.
Si tratta, inoltre, di un accertamento in fatto che il Tribunale ha effettuato

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dei consumatori comuni.

attraverso l’esame della documentazione acquisita e delle immagini dei prodotti
sequestrati che non può dunque essere ripetuto o censurato in questa sede di
legittimità.
Resta da aggiungere, sul punto, che i termini della questione non mutano
neppure considerando il richiamo effettuato dal ricorrente al codice della
proprietà industriale ed alla giurisprudenza di questa Corte in tema di delitto di
commercio di prodotti con segni falsi riferito a ricambi per auto non originali (Sez.
V n. 47081, 20 dicembre 2011), atteso che la fattispecie in esame riguarda una

configurabilità del reato con riferimento al fatto di colui che ponga in vendita
ricambi per auto non originali sui quali sia stato riprodotto, quale elemento
estetico presente sul componente originale, il marchio del costruttore del veicolo,
circostanza, questa, che non emerge dalla ricostruzione operata dal Tribunale del
riesame, il quale ha, invece, preso in considerazione, come si è detto, la messa in
vendita di aspirapolvere «rigenerati» i quali, una volta smontati, risultavano
assemblati con parti non originali e di sacchetti e filtri che, pur contenendo
l’indicazione «INTERFILTER», recavano l’indicazione «VOLWERK FOLLETTO»,
ritenuta dai giudici, con accertamento in fatto non censurabile in sede di
legittimità, idonea a far ritenere all’acquirente che si trattasse di prodotti originali
in considerazione delle dimensioni delle scritte, del loro colore e del
posizionamento.

11. Per ciò che concerne il terzo motivo di ricorso, osserva il Collegio che la
descrizione dei fatti operata dal Tribunale e la qualificazione delle cose
sequestrate come corpo del reato o, quanto meno, cose pertinenti al reato rende
palese l’intuitiva evidenza del rapporto pertinenziale esistente tra i beni vincolati
ed il reato.
Il Tribunale ha, inoltre, ricordato la distinzione esistente tra la nozione di
«corpo del reato» e «cose pertinenti al reato», rilevando che, dai fatti emergenti,
risulterebbe evidente la collocazione dei beni in sequestro nell’ambito della prima
o, comunque, in via residuale, nella seconda.
Pare opportuno ricordare, a tale proposito, le osservazioni formulate in una
precedente pronuncia di questa Corte (Sez. Il n.31950, 23 luglio 2013) ove,
tenendo conto dei non convergenti indirizzi giurisprudenziali, si è osservato
come, dal tenore letterale dell’art.253 cod. proc. pen. emerga chiaramente che,
in tema di sequestro probatorio, «necessarie per l’accertamento dei fatti», sono
solo le cose pertinenti al reato, con la conseguenza che solo esistendo tali
necessità probatorie esse potranno essere oggetto di sequestro, diversamente
dal «corpo del reato», e, cioè, delle cose individuate dal legislatore, nel secondo

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diversa ipotesi di reato e la giurisprudenza menzionata ha escluso la

comma della menzionata disposizione codicistica, per le quali il rapporto con il
reato non è mediato dalla finalità della prova, ma è immediato, tanto che ne è
prevista, in via generale, la confisca.
La richiamata pronuncia ha conseguentemente enucleato i seguenti principi
di diritto che il Collegio condivide: «in tema di misure caute/ari reali, costituisce
sequestro penale obbligatorio quello del corpo del reato che mira a sottrarre
al/indagato tutte le cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato
commesso, nonché le cose che ne costituiscono il prodotto, il profitto e il prezzo.

sequestro delle cose pertinenti al reato, che è, invece, facoltativo e presuppone
la tutela delle esigenze probatorie» ed ancora «in tema di sequestro probatorio
di cose costituenti corpo di reato, se è vero che non è necessario offrire la
dimostrazione della necessità del sequestro in funzione dell’accertamento dei
fatti, atteso che la esigenza probatoria del corpus delicti è in re ipsa, è anche
vero che, ai fini della qualificazione come corpo di reato delle cose in sequestro,
il provvedimento deve dare concretamente conto della relazione di
immediatezza descritta nel comma secondo dell’art. 253 cod. proc. pen. tra la
res e l’illecito penale».
Nel caso in esame il Tribunale ha, come si è già ricordato, offerto una
puntuale descrizione dei fatti e, segnatamente, delle caratteristiche delle cose
sequestrate, che, alla luce dei ricordati principi, costituisce idonea giustificazione
della decisione assunta con il provvedimento impugnato rispetto al quale,
dunque, non può dirsi sussistente la dedotta mancanza assoluta di motivazione.

12. Per ciò che concerne il quarto motivo di ricorso occorre invece osservare
che, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale condiviso dal Collegio,
deve ritenersi la legittimità del sequestro di cose ritenute corpo di reato o
pertinenti al reato che la polizia giudiziaria effettua all’esito di una perquisizione
delegata dal Pubblico Ministero anche nel caso in cui la cosa sequestrata non sia
stata descritta nel provvedimento di perquisizione, qualora sia comunque
possibile pervenire alla sua individuazione attraverso il riferimento sia alla natura
del reato in relazione al quale la perquisizione era stata disposta, sia alle nozioni
normative di «corpo di reato» e di «cosa pertinente al reato» (v. Sez. Il n. 40657,
17 ottobre 2012; Sez. Il n. 35866, 18 settembre 2008; Sez. Il n. 776, 11 gennaio
2006; Sez. VI n. 1934, 14 settembre 1998; Sez. I n. 1953, 30 aprile 1997).
Tale affermazione è stata peraltro giustificata (Sez. Il n. 40657, 17 ottobre
2012, cit.) osservando come non sia sempre possibile la preventiva
specificazione, nel decreto di perquisizione, delle cose da sequestrare e come
tale evenienza sia stata considerata dal legislatore laddove, nell’art. 248 cod.

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Sotto tale aspetto, il sequestro del corpo di reato non ha nulla a che vedere con il

proc. pen., ha contemplato la richiesta di consegna allorquando, attraverso la
perquisizione, si cerca una cosa determinata, poiché tale previsione implica che
oggetto di ricerca possano essere anche cose non determinate, individuabili solo
all’esito dell’attività di perquisizione.

13. Ciò premesso, va rilevato che, ancora una volta, nel formulare le sue
censure, il ricorrente opera un richiamo ad atti del procedimento non consultabili
da questa Corte ed il cui contenuto viene solo in parte riprodotto in ricorso.

descritta nell’ordinanza impugnata, risulta evidente che le operazioni effettuate
si siano svolte in un contesto del tutto simile a quello considerato nei richiamati
principi, atteso che il decreto di perquisizione risulta essere stato emesso dopo le
verifiche effettuate a seguito all’acquisto, da parte dell’esponente, di due
aspirapolvere «rigenerati» presso l’azienda dell’acquirente, i quali, sottoposti a
successiva perizia, risultavano assemblati con pezzi non originali ed è pertanto
evidente che nessuna discrezionalità esclusiva era stata lasciata alla polizia
giudiziaria operante nella ricerca delle cose la cui individuazione era
adeguatamente delineata dalla tipologia del reato ipotizzato.
Dunque l’attività delegata eseguita dalla polizia giudiziaria non necessitava
di convalida, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente e, sul punto,
hanno dunque correttamente risposto i giudici del riesame.

14. Va poi rilevato che, sussistendo tale evenienza, il rimedio esperibile
avverso il provvedimento di sequestro era effettivamente il riesame, cosicché
appaiono in ogni caso destituite di fondamento anche le considerazioni
conclusive svolte dal ricorrente lamentando la migliore posizione processuale che
gli sarebbe derivata da una pronuncia di inammissibilità del ricorso.
Infatti, la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. Il n. 40657, 17 ottobre
2012, cit.; Sez. V n. 4263, 2 febbraio 2006; Sez. V n. 366, 8 marzo 1999; Sez. III
n. 3130, 4 novembre 1997) è unanime nel ritenere l’inammissibilità della
richiesta di riesame nel caso in cui riguardi il sequestro probatorio eseguito dalla
polizia giudiziaria nell’ambito di una perquisizione delegata che lasci alla
discrezionalità degli operanti l’individuazione e la qualificazione dei beni da
sequestrare e ciò in quanto l’interessato può attivare a sua tutela l’opposizione al
prevista dall’art. 263, comma quinto, cod. proc. pen. contro l’eventuale diniego di
restituzione da parte del Pubblico Ministero, evenienza che, come si è detto, nel
caso in esame non si è verificata.

15. Va infine osservato che, per le ragioni dianzi esposte, anche le deduzioni

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Ciò nonostante, avuto riguardo alla sequenza dell’attività investigativa

formulate con i motivi nuovi in punto di difetto di motivazione risultano prive di
fondamento.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni
indicate in dispositivo.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente la pagamento delle spese del
procedimento.
Così deciso in data 17.12.2013

P.Q.M.

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