Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3655 del 17/12/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 3 Num. 3655 Anno 2014
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: RAMACCI LUCA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ALIMONTI GUIDO N. IL 21/09/1977
avverso l’ordinanza n. 157/2012 TRIB. LIBERTA’ di CHIETI, del
15/01/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA RAMACCI;
lpt2sentite le conclusioni del PG Dott. ft.
CS2R.

Udit i difensor Avv.;

Data Udienza: 17/12/2013

E.

,

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Chieti, con ordinanza del 15.1.2013, ha accolto l’appello
proposto dal Pubblico Ministero presso il Tribunale di Lanciano avverso il
provvedimento con il quale il Giudice per le indagini preliminari, in data
17.12.2012, aveva disposto il dissequestro, con prescrizioni, di un’area in località

dalla «DAS s.r.I.», della quale è legale rappresentante

Guido ALIMONTI,

ravvisandosi il reato di cui all’art. 181 d.lgs. 42\2004, per la effettuazioni di
attività di escavazione in assenza della prescritta autorizzazione. Il Tribunale
ordinava, pertanto, il sequestro preventivo dell’area suddetta.
Avverso l’ordinanza Guido ALIMONTI propone ricorso per cassazione.

2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione dell’art. 322-bis cod.
proc. pen., rilevando che il Tribunale non avrebbe limitato la propria cognizione ai
motivi dedotti con l’impugnazione del Pubblico Ministero, che concernevano il
termine di efficacia dell’autorizzazione paesaggistica, individuato in un periodo inderogabile – di cinque anni e l’illiceità delle attività svolte oltre detto termine,
rinviando al giudizio di merito ogni ulteriore questione anche attinente alla
sussistenza dell’elemento psicologico, ma avrebbe esteso la propria cognizione
all’intera vicenda processuale, disponendo la misura reale per ragioni estranee ai
temi del giudizio delineati dall’atto di impugnazione.

3. Con un secondo motivo di ricorso rileva che il Tribunale avrebbe reiterato
l’erronea interpretazione data in precedenza alla legge regionale in ordine alla
validità dell’autorizzazione paesaggistica ed oggetto di censura da parte di
questa Corte, investita con ricorso avverso la precedente pronuncia in resa in
sede di riesame del decreto di sequestro preventivo.
Osserva, a tale proposito, che i giudici dell’appello si sarebbero limitati ad un
mero richiamo alla precedente decisione senza alcun esame della richiamata
disciplina regionale.

4. Con un terzo motivo di ricorso denuncia la violazione di legge con
riferimento alla ritenuta violazione dell’art.181 d.lgs. 42\2004 per l’esecuzione di
interventi in difformità dall’autorizzazione, avendo il Tribunale posto a
fondamento della propria decisione circostanze che sarebbero contraddette dalle
risultanze fattuali, direttamente mutuate dalla consulenza del Pubblico Ministero,

1

Ristretta del Comune di Civitaluparella interessata da una cava di calcare gestita

senza considerare gli elaborati ed i documenti allegati alla istanza di dissequestro
ed alla memoria difensiva per la camera di consiglio, il cui esame avrebbe
portato a differenti conclusioni, che illustra nel dettaglio.
Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

4. Il ricorso è infondato.
Occorre preliminarmente dare atto del fatto che, nell’odierna udienza, è in
trattazione altro procedimento (n. 45126\2013 R.G) concernente l’ordinanza con
la quale, in data 25.6.2013, il Tribunale del riesame di Chieti ha disposto il
dissequestro dell’area decidendo in sede di rinvio disposto con sentenza
n.11851\13 di questa Corte previo annullamento di una precedente ordinanza
dello stesso Tribunale con la quale, in data 21.6.2012, era stato rigettato il ricorso
presentato avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le
indagini preliminari del Tribunale di Lanciano.
Del complesso sviluppo della vicenda cautelare verrà conseguentemente
dato atto in seguito, limitatamente a ciò che rileva ai fini della presente
decisione.

5. Ciò premesso, deve rilevarsi, contrariamente a quanto affermato dal
ricorrente con riferimento al primo motivo di ricorso, che i giudici del gravame
non hanno travalicato i limiti del devolutum loro imposti dall’articolo 322-bis cod.
proc. pen.
Va osservato, a tale proposito, come sia del tutto pacifico che l’appello
disciplinato dalla disposizione menzionata è caratterizzato dall’effetto devolutivo.
L’articolo 322-bis cod. proc. pen. richiama, infatti, nel secondo comma, le
disposizioni dell’articolo 310 cod. proc. pen., consentendone l’applicabilità in
quanto compatibili.
Tale articolo, che riguarda l’appello contro le ordinanze in materia di misure
cautelari personali, rinvia, a sua volta, nel secondo comma, all’articolo 309 cod.
proc. pen., disponendo che devono essere osservate le disposizioni in esso
contenute in alcuni commi specificamente indicati, tra i quali, tuttavia, non figura
il comma nono, che è quello che consente al Tribunale di pronunciarsi sulla
riforma del provvedimento (in senso favorevole all’imputato) per motivi diversi
da quelli enunciati o confermarlo per ragioni diverse da quelle indicate nella
motivazione del provvedimento stesso (lo ricorda Sez. VI n. 15855, 2 aprile

2

CONSIDERATO IN DIRITTO

2004).
Si è tuttavia precisato che, in ogni caso, il giudice dell’appello ha comunque
l’obbligo di analizzare quella parte della decisione gravata la quale, pur se non
attinta dai motivi di appello, sia legata da solida connessione con i punti oggetto
di censura così da rendere logicamente impossibile una loro valutazione isolata,
specificando, altresì, come l’effetto devolutivo non possa essere interpretato in
senso riduttivo e meccanicistico (Sez. VI n. 35786, 18 settembre 2012; Sez. VI n.

6. Ciò posto, deve osservarsi che, nella fattispecie, il Tribunale ha fatto buon
uso delle norme sostanziali e processuali applicate e dei principi giurisprudenziali
sopra indicati, che questo Collegio condivide e dai quali non intende discostarsi.
Invero, i giudici dell’appello, dopo aver richiamato in parte la giurisprudenza
in precedenza ricordata e lo sviluppo dell’intera vicenda processuale, hanno
analizzato i contenuti dell’autorizzazione paesaggistica della cui efficacia
temporale si discuteva, poiché riguardava una specifica deduzione
dell’appellante, rilevando che le risultanze processuali evidenziavano
l’esecuzione di interventi eseguiti in difformità della stessa.
Avuto riguardo a tale circostanza, hanno motivatamente specificato non
soltanto le ragioni che giustificavano la sussistenza del
hanno anche verificato la sussistenza del

fumus del reato, ma

periculum in mora,

disponendo

conseguentemente il sequestro dell’area.

7. Per ciò che concerne il secondo motivo di ricorso, deve rilevarsi che, come
emerge dalla semplice lettura del provvedimento impugnato e come
espressamente affermato dai giudici dell’appello (pagine 4 e 5), il Tribunale si è
limitato a riassumere i termini della complessa vicenda processuale, dando atto
dell’intero iter procedimentale e, ultimata tale disamina, ha semplicemente
rilevato il fatto che la questione della necessità o meno del rinnovo
dell’autorizzazione paesaggistica era stata già sottoposta all’attenzione del
giudice del riesame il quale, con ordinanza impugnata per cassazione, aveva
disatteso la tesi difensiva.
Nel far ciò, il Tribunale ha ricordato i termini della questione, dando inoltre
atto della competenza esclusiva della Regione al rinnovo del titolo abilitativo e
dell’innegabile rilievo, sotto il profilo della sussistenza dell’elemento soggettivo
del reato, che assume la determinazione con la quale la Regione stessa (in data
8.10.2012) aveva ritenuto non necessario il rinnovo dell’autorizzazione in caso di
inizio dell’intervento entro cinque anni dal rilascio del precedente titolo
abilitativo.

3

10846, 14 marzo 2007; Sez. III n. 3482, 14 novembre 1996).

Si tratta, dunque, non di un mero richiamo alla precedente decisione (che si
colloca, come si è detto, nella descrizione dello sviluppo complessivo della
vicenda) ma di una, seppur sintetica, valutazione dell’incidenza comunque
assunta dalla comunicazione dell’Ente regionale quale fatto sopravvenuto alla
decisione del riesame e considerato dal G.I.P. ai fini della revoca del sequestro.
In altre parole, il Tribunale ha riassunto la vicenda e, considerata la
pendenza della questione sulla corretta interpretazione della normativa regionale
e le successive evenienze, ha preso in esame l’ulteriore aspetto della conformità

indipendentemente dalla questione della sua efficacia temporale, gli interventi
eseguiti risultavano non conformi a quanto autorizzato.

8. Appare peraltro opportuno evidenziare che, dopo la pronuncia
dell’impugnata ordinanza e la presentazione del ricorso, è stata depositata la
sentenza, menzionata dal ricorrente, con la quale questa Sezione ha annullato
con rinvio il provvedimento del riesame, fornendo l’interpretazione delle
disposizioni regionali richiamate.
Nella suddetta decisione (Sez. III n. 11851, 13 marzo 2013) viene infatti dato
atto dei contenuti dell’autorizzazione, ove è precisato che «la durata di dieci anni
dell’autorizzazione è soggetta al rinnovo del parere dei Beni Ambientali dopo
cinque anni» e del contenuto dell’art. 2, comma 5-bis (introdotto dalla I.r. 5\2006)
della legge regionale 2\2003, il quale stabilisce che, qualora i lavori autorizzati
siano iniziati nel quinquennio, l’autorizzazione si considera valida per tutta la loro
durata, fatta comunque salva la procedura di cui agli artt. 150 e 151 d.lgs.
42\2004.
Viene poi presa in esame la disciplina transitoria di cui all’art. 3 della legge
regionale medesima, laddove è stabilito che essa è applicabile anche alle
procedure non concluse entro la data dell’entrata in vigore, ritenendone non
ammissibile una interpretazione restrittiva, tale da escludere che detto termine,
riferendosi a «procedure» e non anche a «rapporti in corso», possa riferirsi ai casi
in cui l’atto autorizzativo sia stato già rilasciato e ciò in ragione dell’evidente
disparità di trattamento che verrebbe a crearsi con chi ha conseguito il
provvedimento autorizzatorio dopo l’entrata in vigore della legge e chi, invece,
pur nelle stesse condizioni, dovrebbe chiedere il rinnovo.
Viene inoltre considerato che, con riferimento alla fattispecie esaminata, alla
data di entrata in vigore della I.r. 5\2006 e, pertanto, quando venne introdotto il
comma 5-bis all’art. 2 I.r. 2\2003, la procedura per il rinnovo del parere doveva
ritenersi aperta e non esaurita.
Accertata quindi l’applicabilità, in astratto, della normativa regionale

4

degli interventi al titolo abilitativo, implicitamente sostenendo che,

richiamata, si è rimesso al giudice del riesame l’accertamento in fatto sulla
sussistenza delle condizioni previste nella normativa medesima e, cioè,
sull’effettivo inizio dei lavori nel quinquennio.
Avuto riguardo alle conclusioni cui è giunta questa Sezione nella richiamata
pronuncia e considerato l’ambito, precedentemente delineato, entro il quale si è
svolto il giudizio d’appello, può farsi a meno di prendere ulteriormente in
considerazione le deduzioni formulate in ricorso sui contenuti della normativa

9. Venendo al terzo motivo di ricorso, occorre preliminarmente osservare che
la valutazione del fumus del reato ipotizzato operata dal Tribunale appare
corretta.
Va premesso e nuovamente affermato che l’art. 181 d.lgs. 42\2004
sanziona la condotta di chiunque, senza la prescritta autorizzazione o in
difformità di essa, esegua lavori di qualsiasi genere su beni
paesaggistici. La norma in esame non distingue tra

parziale o totale

difformità, come avviene invece per la disciplina urbanistica, cosicché è
idonea a configurare il reato in esame ogni difformità significativa
dall’intervento autorizzato e tale da vanificare gli scopi di tutela e
controllo che il legislatore ha assicurato agli organi competenti
attraverso la preventiva verifica della consistenza delle opere da
eseguire (cfr. Sez. III n. 19077, 7 maggio 2009, non massimata sul punto; Sez. III
n.10478, 12 marzo 2007, non massimata).

10.

Il Tribunale ha, nel provvedimento impugnato, opportunamente

richiamato la constante giurisprudenza di questa Corte sulla natura formale di
pericolo del reato contemplato dall’art. 181 d.lgs. 42\2004, riportando
testualmente parte del contenuto di una della numerose decisioni in tema (Sez.
III n. 28227, 18 luglio 2011) ed ha considerato il periculum in mora, determinato
dalla prosecuzione delle attività estrattive in difformità dal titolo abilitativo,
avendo in punto di fatto rilevato i giudici dell’appello che il passaggio da una fase
all’altra dell’attività era avvenuta senza il prescritto collaudo del recupero
ambientale da parte dell’ufficio cave, che la ditta non aveva fornito
periodicamente i dati statistici relativi all’attività estrattiva e non si era attenuta
alle modalità di sistemazione ambientale durante l’escavazione, non aveva
inoltre eseguito le operazioni di ripristino ambientale previste all’interno delle
singole fasi.
Riguardo a tali aspetti, deve rilevarsi che, contrariamente a quanto
sostenuto in ricorso, il Tribunale ha preso in considerazione, nel formulare le sue

5

regionale.

valutazioni, anche i contenuti delle deduzioni difensive, tanto che viene fatta
espressa menzione dell’eccezione concernente i motivi della mancata
effettuazione delle opere di ripristino (pag. 6 del provvedimento impugnato) e
della nota prot. 257866 del 16.11.2012 dell’ufficio attività estrattive della
Regione prodotta dalla difesa (pag. 7 del provvedimento impugnato), esplicitando
le ragioni per le quali dette deduzioni dovevano ritenersi disattese.
Così facendo, i giudici hanno proceduto alla disamina di dati fattuali
emergenti dalle investigazioni effettuate in sede di indagini preliminari e dalla

sede di legittimità, essendo preclusa a questa Corte la possibilità di procedere
all’accertamento di eventuali errori di fatto.

11. Va altresì ricordato che i provvedimenti aventi ad oggetto misure
cautelari reali possono essere oggetto di ricorso per cassazione, ai sensi dell’art.
325, comma 1 cod. proc. pen., soltanto per violazione di legge.
Nella fattispecie, il ricorrente, pur denunciando la violazione dell’art. 181
d.lgs. 42\2004, incentra in realtà il motivo di ricorso sul vizio di motivazione (cfr.
le considerazioni a pag. 20), con argomenti in fatto finalizzati a supportare una
inammissibile valutazione personale ed alternativa delle emergenze processuali.

12. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni
indicate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento.
Così deciso in data 17.12.2013

documentazione acquisita che non possono essere oggetto di censura in questa

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA