Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36515 del 12/05/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 36515 Anno 2015
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: ORILIA LORENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CURVA’ ANGELO N. IL 26/08/1945
avverso la sentenza n. 193/2013 CORTE APPELLO di
CALTANISSETTA, del 19/06/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/05/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LORENZO ORILIA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 022 ,Cetb
che ha concluso per A-g /Là2.42.

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 12/05/2015

RITENUTO IN FATTO
La Corte d’Appello di Caltanissetta con sentenza 19.6.2014 – per quanto
interessa – ha confermato la colpevolezza di Curvà Angelo per una serie di reati
tributari: capo 1: dichiarazione fraudolenta continuata mediante uso di fatture per
operazioni inesistenti) in relazione all’anno di imposta 2005 e 2006 (artt. 81 cp e 2 D.
Lvo n.74/2000; capo 2: dichiarazione infedele continuata per gli anni 2005 e 2006
(artt. 81 cp e 4 D. Lvo n.74/2000); capo 3: occultamento di scritture contabili (art. 10
D. Lvo n.74/2000); capo 4: indebita compensazione continuata anno 2006 (artt. 81 cp

Per giungere a tale conclusione, e sempre per quanto ancora interessa in
questa sede, la Corte territoriale ha rigettato l’istanza di riapertura dell’istruttoria
dibattimentale per sentire l’imputato, osservando che nel giudizio dì primo grado il
difensore non aveva dedotto lo stato di detenzione in carcere dell’imputato né
manifestato la volontà dell’imputato di presenziare, ma aveva solo chiesto un rinvio
dell’udienza. Nel merito, la Corte territoriale ha ritenuto provata la responsabilità
penale ravvisando gravi elementi indiziari sulla fittizietà dei rapporti con la società
emittente le fatture (la Ravenna Costruzioni).
L’imputato, tramite il difensore, ricorre per cassazione denunziando cinque
motivi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1 Col primo motivo deduce violazione dell’art. 420 ter cpp. Il ricorrente ritiene che
la Corte d’ Appello abbia errato nel rigettare la censura riguardante il mancato rinvio
del procedimento da parte del giudice di primo grado: nel caso di specie sussisteva un
legittimo impedimento dell’imputato rappresentato dalla detenzione in carcere per
altra causa, a prescindere dalla tempestività della rappresentazione di una tale
circostanza al giudicante. Richiama la giurisprudenza di legittimità sul diritto
fondamentale dell’imputato di presenziare al processo.
Il motivo è manifestamente infondato.
Come affermato dalle sezioni unite (v. Sez. U, Sentenza n. 35399 del 24/06/2010
Ud. dep. 01/10/2010 Rv. 247835) nel giudizio ordinario deve sempre essere
assicurata, in mancanza di un inequivoco rifiuto, la presenza dell’imputato e quindi, in
virtù della norma generale fissata dall’art. 420 ter cod. proc. pen., qualora l’imputato
non si presenti e in qualunque modo risulti (o appaia probabile) che l’assenza è dovuta
ad assoluta impossibilità dì comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro
legittimo impedimento, spetta al giudice disporre, anche d’ufficio, il rinvio ad una
nuova udienza, senza che sia necessaria una qualche richiesta dell’imputato in tal
senso. Pertanto, qualora l’imputato sia detenuto o agli arresti dorniciliari o comunque
sottoposto a limitazione della libertà personale che non gli consente la presenza in
udienza, poiché in tali casi è in re ipsa la presenza di un legittimo impedimento, il

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e 10 quater D. Lvo n.74/2000).

giudice, in qualunque modo e in qualunque tempo venga a conoscenza dello stato di
restrizione della libertà, anche senza una richiesta dell’imputato deve d’ufficio rinviare
il processo ad una nuova udienza e disporre la traduzione dell’imputato, a meno che,
ovviamente, non vi sia stato un rifiuto dell’imputato stesso di assistere all’udienza (art.
420 quinquies). Ciò perché, specialmente in un processo a carattere accusatorio, la
partecipazione dell’imputato al processo è condizione indefettibile per il regolare
esercizio della giurisdizione, afferendo al fondamentale diritto di difesa, che può solo
essere oggetto di una rinuncia da parte del suo titolare attraverso una non equivoca

Nel caso in esame la situazione è ben diversa: dall’esame del fascicolo processuale
– che la natura procedurale del vizio dedotto consente senz’altro di esaminare – risulta
che al momento della sentenza di primo grado l’imputato era libero-contumace; dai
verbali di causa inoltre non risulta lo stato di “detenzione in carcere per altra causa”,
mentre le richieste di rinvio formulate dal difensore erano motivate solo da propri
impegni o da astensioni: non si vede, allora, in che modo il primo giudice potesse
essere a conoscenza o solo ipotizzare lo stato di detenzione “in carcere per altra
causa” durante il dibattimento di primo grado, mancando qualunque elemento per
ritenere certo o quantomeno probabile che l’assenza fosse dovuta ad assoluta
impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo
impedimento (non essendo significativa la detenzione domiciliare subita all’epoca della
notifica del decreto dì citazione a giudizio, avvenuta però oltre un anno prima). Ed il
ricorso, su tale punto assolutamente decisivo, tace completamente, contravvenendo
così anche al dovere di specificità dei motivi (art. 581 lett. c cpp)..

2 Col secondo motivo deduce ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. d) cpp la
mancata assunzione di prova decisiva (audizione dell’imputato): si duole della
mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale (art. 603 cpp) mediante audizione
dell’imputato costituente, a suo dire, prova decisiva
Anche questo motivo è inammissibile sia per difetto di specificità che per
manifesta infondatezza.
Per costante giurisprudenza è’ prova decisiva, la cui mancata assunzione è
deducibile come motivo di ricorso per cassazione, solo quella prova che, non assunta o
non valutata, vizia la sentenza intaccandone la struttura portante (tra le varie, cfr.
Sez. 3, Sentenza n. 27581 del 15/06/2010 Ud. dep. 15/07/2010 Rv. 248105; Sez. 6,
Sentenza n. 14916 del 25/03/2010 Ud. dep. 19/04/2010).
Il ricorrente dunque, piuttosto che dilungarsi in considerazioni personali sul diritto
alla prova e del tutto sganciate dalla giurisprudenza assolutamente dominante,
avrebbe dovuto spiegare perché l’omessa audizione dell’imputato ha intaccato la
struttura portante della sentenza, ma a tanto non ha adempiuto avendo omesso
addirittura di precisare cosa avrebbe dovuto riferire di decisivo l’imputato per

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manifestazione di volontà abdicativa in tale senso.

conseguire il ribaltamento della decisione in senso a lui favorevole, non bastando
affermare genericamente, come si legge in ricorso, che l’imputato “meglio di chiunque
altro avrebbe potuto far luce sui reati contestati”.
3 Col terzo motivo deduce, ex art. 606 comma 1 lett. e) cpp, il vizio di manifesta
illogicità della motivazione in ordine ai reati di cui ai capi 1, 2 e 4 sul superamento del
ragionevole dubbio: secondo il ricorrente, il giudice, nel ritenere inverosimile che
l’impresa Ravenna con un unico dipendente e senza mezzi potesse avere eseguito
lavori per milioni di euro, ha sostituito il criterio della certezza con quello della

Il motivo è manifestamente infondato al pari degli altri.
Il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene solo alla
coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo
logico argomentativo. Al giudice di legittimità è infatti preclusa – in sede di controllo
sulla motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e
valutazione dei fatti (preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perché ritenuti
maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa). Queste
operazioni trasformerebbero infatti la Corte nell’ennesimo giudice del fatto e le
impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo
deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di
merito (a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza) rispetti sempre uno
standard minimo di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter
logico seguito dal giudice per giungere alla decisione (cass. Sez. 6, Sentenza n. 9923
del 05/12/2011 Ud. dep. 14/03/2012 Rv. 252349).
Ebbene, nel caso di specie la censura contrasta palesemente col citato principio
perché tende proprio ad una alternativa ricostruzione delle risultanze processuali e
quindi non è in grado di demolire il ragionamento della Corte d’Appello che invece
attraverso un tipico accertamento in fatto, ha posto l’accento sui gravi elementi
indiziari circa la natura fittizia di operazioni commerciali intrattenute con la società
Ravenna Costruzioni per svariati milioni di euro e finalizzate a creare un artificioso
debito di imposta: il numero esiguo di dipendenti (uno o due), la mancanza sin dal
1999 di mezzi a disposizione e la avvenuta cessazione di ogni attività, unitamente al
fatto che la società del Curvà non è stata in grado di fornire nessuna documentazione
contabile (fatture o altro) tale da giustificare i costi addebitati e portati in detrazione ai
fini IVA.
4 Col quarto motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 157 cp dolendosi
della omessa declaratoria di prescrizione in relazione ai reati di cui agli artt. 2 e 4 del
D. Lvo n. 74/2000 relativi all’anno di imposta 2005), a suo dire maturata il 30.4.2014,
quindi in epoca anteriore alla pronuncia della sentenza di appello.
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verosimiglianza.

Il motivo è manifestamente infondato perché non considera il periodo di
sospensione intervenuto in primo grado (dal 24.1 all’11.7.2012) e nel giudizio di
appello (dal 12.11.2013 al 19.6.2014). Detto periodo, ricostruito dalla Corte d’Appello,
ammonta in totale a ben 388 giorni. Aggiungendo pertanto tale periodo alla data
indicata dallo stesso ricorrente, si arriva al 23.5.2015.
5 L’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza
dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude,
pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma

10/11/2009; cass. Sez. 4, Sentenza n. 18641 del 20/01/2004 Ud. dep. 22/04/2004;
sez. un., Sentenza n. 32 del 22/11/2000 Cc. dep. 21/12/2000): da ciò discende che il
quinto motivo di ricorso – con cui si deduce l’intervenuta prescrizione del reato di cui
all’art. 10 quater relativo all’anno 2006 (capo 4) – non può pertanto essere preso in
esame.
Non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità (Corte Cost. sentenza 13.6.2000 n. 186), alla condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione
pecuniaria ai sensi dell’art. 616 cpp nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di €. 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 12.5.2015.

dell’art. 129 c.p.p. (cass. sez. 3, Sentenza n. 42839 del 08/10/2009 Ud. dep.

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