Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36502 del 23/10/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 36502 Anno 2015
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: SAVINO MARIAPIA GAETANA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BUONOCORE ETTORE N. IL 06/12/1972
avverso la sentenza n. 1639/2012 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 16/04/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 23/10/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARIAPIA GAETANA SAVINO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per 0.4.,,k_ki,C2CL.52,-,,,u_3
4:3
(Z2-eQs—, t/cc 3

c-t-«91

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

t)

Data Udienza: 23/10/2014

Ritenuto in fatto

Con sentenza emessa in data 5.7.2012 il GUP presso il Tribunale di Reggio Calabria, all’esito di
giudizio abbreviato, dichiarava Buonocore Ettore colpevole del reato di cui all’art. 73 DPR 309/90
perché illecitamente deteneva a fini di spaccio sostanza stupefacente del tipo “cocaina”, occultando la
sostanza ripartita in sei involucri di carta stagnola del peso di gr 0,5 ciascuno all’interno dell’incavo

uso, nonché in un incavo dell’autovettura stessa deteneva altra sostanza stupefacente di tipo cannabis
per gr 15 (nella forma di spinello pronto per l’uso) (con la recidiva specifica infraquinquennale).
Ritenuta l’ipotesi di cui all’art. 73 co. 5 d.p.r. 309/90, tenuto conto della diminuente del rito, lo
condannava alla pena di anni uno e mesi otto di reclusione ed euro 10.000,00 di multa, oltre al
pagamento delle spese processuali e di custodia in carcere.
Proposto appello, la Corte di Appello in parziale riforma della sentenza impugnata, ritenuto il fatto
commesso penalmente rilevante esclusivamente in relazione alla detenzione di cocaina, con la già
concessa attenuante di cui al V comma art 73 TU stupefacenti ritenuta equivalente alla recidiva
contestata, rideterminava la pena in mesi undici di reclusione ed euro 6.000,00 di multa.
A tale pena i giudici di seconde cure pervenivano ritenendo che, a seguito della sentenza della Corte
Costituzionale che aveva dichiarato incostituzionale l’art. 69 co 4 c.p. nella parte in cui non consente al
giudice di ritenere la prevalenza dell’attenuante di cui al V comma art. 73 sull’aggravante della
recidiva di cui all’art. 99 co 4 c.p., seppure non potesse essere accolta la richiesta dell’appellante di
riconoscimento della prevalenza della suddetta attenuante sulla recidiva pluriaggravata, cionondimeno
doveva procedersi alla rimodulazione del calcolo della pena svolto dal primo giudice, “tenendo conto
dell’elisione dell’aumento di pena conseguente alla recidiva a motivo della concessa attenuante”.
Veniva rideterminata la pena in mesi quindici di reclusione ed euro 9.999 di multa, come pena base,
ridotta per il rito alla misura inflitta.
Avverso tale sentenza il difensore dell’imputato ha proposto ricorso per Cassazione per i seguenti
motivi:
1) Erronea applicazione della legge, vizio di motivazione e mancata assunzione di prova decisiva con
riferimento alla disposta confisca della somma di denaro rinvenuta presso l’abitazione del ricorrente.
Assume la difesa che, in relazione al sequestro della somma, poi confiscata con la sentenza di
condanna, di euro 3.200 rinvenuta in sede di perquisizione personale nella camera da letto dei genitori
del Buonocore, all’interno di un portagioie della madre, era stata chiesta, con memoria scritta nel

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del dispositivo di apertura porte dell’autovettura minicuper tg CF 004 PT, intestata al padre ma a lui in

giudizio di appello, la produzione di alcuni documenti che avrebbero dovuto provare l’appartenenza di
dette somme ai genitori dell’imputato.
La Corte di appello, però, ha respinto tale richiesta ritenendola tardiva “attese le caratteristiche del rito
abbreviato prescelto” e “non rilevante ai fini del decidere”, senza fornire alcuna sostanziale
motivazione in ordine alla ragioni della suesposta valutazione.
Contro tale decisione la difesa richiama l’orientamento giurisprudenziale sull’ammissibilità di una

dibattimentale.
Dunque rileva la difesa nel giudizio di appello, anche in caso di rito abbreviato, è sempre ammissibile
la produzione di documenti quando questi siano volti a contrastare una prova decisiva raccolta nel
giudizio di primo grado e ciò può avvenire senza necessità di rinnovazione dell’istruzione
dibattimentale e senza il rispetto di termini stante l’assenza di un sistema di decadenza. A differenza
della rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, prevista dall’art. 603 co 1 c.p.p., trattasi di deduzione
che non è preclusa da alcun limite temporale, che non soggiace alla regola della deduzione almeno 15
giorni prima dell’udienza prevista dall’art. 585 co 4 c.p.p.
Quanto alla rilevanza, la difesa del ricorrente evidenzia la decisività della prova documentale in esame
in quanto diretta a dimostrare che il denaro rinvenuto presso l’abitazione e sottoposto a sequestro non
apparteneva al Buonocore ma ai suoi genitori. Tale denaro, peraltro rinvenuto nella camera da letto dei
genitori, era parte di un incasso da loro riscosso poco tempo prima.
Secondo la difesa, se è vero che spetta al giudice valutare la rilevanza della prova è anche vero che,
proprio perché il giudice esercita un potere discrezionale, di esso ne deve dare conto, indicando in
modo specifico le ragioni per le quali ha ritenuto la prova inconferente ed inidonea a modificare il
giudizio espresso dal primo giudice.
2) Violazione di legge in relazione agli artt. 125 co. 3, 192 c.p.p. e 73 DPR 309/90 e manifesta
illogicità della motivazione.

produzione documentale anche in caso di rito abbreviato e persino senza necessità di rinnovazione

Assume la difesa che la Corte distrettuale si è limitata a recepire acriticamente la ricostruzione dei fatti
già effettuata dal giudice di prime cure senza prendere minimamente in considerazione ricostruzioni
alternative della vicenda né le deduzioni della difesa.
In particolare la Corte di appello è giunta alla conclusione che i sei involucri trovati nel portachiave
dell’auto in uso al Buonocuore durante il controllo effettuato dalla PG, subito dopo l’uscita dello stesso
dalla sua abitazione, fossero destinati alla cessione a terzi e che non potesse trattarsi di una “scorta”
dell’imputato, per il semplice fatto che il controllo non era avvenuto in un luogo frequentato da

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0,6

spacciatori o durante il ritorno a casa del Buonocuore, proveniente da un verosimile luogo di
procacciamento della riserva di droga, bensì appena questi era uscito di casa.
La difesa contesta siffatta ricostruzione dei fatti rilevando in proposito che non sono stati considerati
dalla Corte di Appello i parametri indicati dall’art. 73 co. 1 bis nel testo introdotto dal dl 249/06 ai
fini della detenzione per uso non esclusivamente personale. Secondo tale previsione, infatti, non è
sufficiente il dato ponderale ovvero il superamento dei limiti quantitativi previsti dalle tabelle, ma

quali la sorpresa nella flagranza della cessione, il rinvenimento presso l’abitazione o in altro luogo
nella disponibilità dell’imputato di attrezzi atti al confezionamento delle dosi, il rinvenimento di
denaro sicuro provento dello spaccio posto che quello trovato in casa del Buonocore apparteneva ai
genitori. Tutti aspetti che con la produzione di apposita documentazione la difesa intendeva
dimostrare.
3) Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 62 bis, 132, 133 e 133 bis c.p.
La difesa censura l’impugnata sentenza anche sotto il profilo della pena ritenuta eccessiva e della
mancata concessione delle attenuanti generiche.

Ritenuto in diritto

Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito indicate. Innanzitutto, quanto alla richiesta di
rinnovazione dell’istruttoria, il diniego da parte del giudice di appello appare del tutto condivisibile.
In linea di principio, infatti, la celebrazione del processo nelle forme del rito abbreviato non impedisce
al giudice d’appello di esercitare i poteri di integrazione probatoria. Tuttavia la scelta di tale rito fa
venir meno il diritto dell’imputato a richiedere la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale (Cass.
Sez. II, n. 3609/2011).
Dunque nel giudizio abbreviato, da una parte, è consentito al giudice d’appello, d’ufficio e anche su
sollecitazione delle parti, acquisire documenti sopravvenuti necessari ai fini della decisione; dall’altra
l’imputato che presenti richiesta di giudizio abbreviato incondizionato accetta che il procedimento si
svolga sulla base degli elementi istruttori acquisiti al fascicolo del pubblico ministero e pertanto non
può dolersi dell’incompletezza dello stesso né, una volta sollecitato il giudice di appello all’assunzione
officiosa di nuove prove, lamentare il mancato esercizio del relativo potere (Cass. Sez. II, n.
25659/2009).
Di conseguenza il mancato esercizio da parte del giudice di appello dei poteri officiosi di rinnovazione
dell’istruttoria, sollecitato ex art. 603 co. 3 c.p.p., dall’imputato che abbia optato per il giudizio
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devono essere considerati tutta una serie di altri indici che non sono sussistevano nel caso in esame,

abbreviato non condizionato, non costituisce un vizio deducibile mediante ricorso per cassazione ai
sensi dell’art. 606 co. 1 lett. d c.p.p. (ex pluris Cass. Sez. VI n. 7485/2008).
In particolare, l’assunzione di nuove prove su richiesta di parte in appello è rimessa alla valutazione
discrezionale del giudice ed il rigetto dell’istanza di rinnovazione si sottrae al sindacato di legittimità
quando la struttura argomentativa della motivazione della decisione di secondo grado si fondi su
elementi sufficienti per una compiuta valutazione in ordine alla responsabilità (Cass. Sez. VI n.

Peraltro il giudice d’appello ha l’obbligo di motivare espressamente sulla richiesta di rinnovazione del
dibattimento solo nel caso di suo accoglimento. Viceversa, qualora ritenga di respingerla, può anche
motivarne implicitamente il rigetto, evidenziando la sussistenza di elementi sufficienti ad affermare o
negare la responsabilità del reo (Cass. Sez. III n. 24294/2010).
Quindi il rigetto della richiesta di rinnovazione istruttoria in appello può essere motivato anche
implicitamente in presenza di un quadro probatorio definito, certo e non abbisognevole di
approfondimenti indispensabili (vedi Cass. Sez. IV n. 47095/2009).
Orbene, nel caso di specie, la Corte di appello ha ritenuto la produzione documentale in questione
irrilevante perché volta a dimostrare che l’appartenenza del denaro ai genitori dell’imputato,
circostanza quest’ultima già esclusa da una serie di altri elementi.
Difatti sia nella sentenza di primo grado sia in quella di appello si mette in evidenza che la somma di
denaro sequestrata e confiscata venne rinvenuta presso l’abitazione del Buonocore: non si fa alcun
riferimento all’abitazione dei genitori né si parla di una convivenza dell’imputato con gli stessi.
Inoltre il giudice dell’appello ha evidenziato come il Buonocore al momento del rinvenimento del
denaro nella sua camera da letto, all’interno di un portagioie, non dette alcuna indicazione circa la
provenienza della somma.
Al pari infondato risulta anche il secondo motivo di ricorso tramite il quale si denuncia vizio di
motivazione e violazione di legge per la mancata considerazione di ipotesi alternative quali il possesso
della droga in questione per uso personale.
La censura, infatti, involge apprezzamenti di merito sottratti al sindacato di legittimità qualora sorretti,
come nel caso di specie, da argomentazioni logiche e non contraddittorie. Del resto è condivisibile
l’assunto della Corte di Appello secondo il quale il fatto che l’imputato sia stato arrestato mentre
usciva da casa con i sei involucri di cocaina e non mentre vi rientrava porta a ritenere che lo stesso
avesse una finalità di spaccio; altrimenti avrebbe portato con sé solo il quantitativo necessario alle sue
esigenze giornaliere.

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40496/2009).

Peraltro, contrariamente a quanto ritenuto dalla difesa, altri elementi quali l’assenza di strumenti atti a
pesare e confezionare la droga presso l’abitazione dell’imputato non sono decisivi ai fini di escludere
la finalità di spaccio mentre la loro presenza costituisce indice sintomatico della possibile finalità di
cessione.
Quanto alla eccessività della pena ed alla mancata concessione delle attenuanti generiche, si tratta,
come è noto, di profili riservati all’apprezzamento del giudice di merito in quanto connessi ad aspetti

Ciononostante occorre effettuare una precisazione circa il trattamento sanzionatorio legata ai recenti
interventi legislativi in materia di stupefacenti ed alla sentenza della Consulta n. 32/2014.
In particolare, come è noto, a seguito di tali interventi l’ipotesi di cui al V comma è stata elevata da
attenuante a fattispecie autonoma. In questo modo è stata sottratta al bilanciamento. Ciò potrebbe porre
dei problemi di individuazione della disciplina più favorevole da applicare poiché, nel caso di specie,
la Corte di Appello aveva ritenuto l’ipotesi dell’art. 73 co. V equivalente alla contestata recidiva.
In realtà occorre applicare anche in tal caso la nuova disciplina. Invero, trattandosi di droga pesante, la
disciplina previgente porterebbe – anche in caso di ritenuta prevalenza dell’attenuante del fatto lieve (e
a maggior ragione nel caso, ricorrente, di ritenuta equivalenza) – ad un trattamento sanzionatorio
comunque più severo (stante il più elevato massimo edittale della disposizione più risalente) rispetto a
quello derivante dall’applicazione del nuovo testo dell’art. 73, comma 5, pur dovendosi calcolare
l’aumento derivante dalla ritenuta recidiva, non più eliso dal giudizio di bilanciamento (v., anche sul
punto, Sez. 4, n. 13903 del 28/02/2014, Spampinato) .
Deve dunque ritenersi applicabile, quale lex mitior, retroattivamente applicabile anche ai fatti pregressi
non coperti da giudicato, ai sensi dell’art. 2 comma quarto, cod. pen., la norma di cui all’art. 73, comma
5, d.p.r. cit. nel testo da ultimo sostituito all’art. 1, comma 24-ter, del d.l. 20 marzo 2014, n. 36, conv.
con modif. dalla legge n. 79 del 2014, che, come detto, configura detta ipotesi come figura autonoma
di reato, sottraendola pertanto al giudizio di bilanciamento con le circostanze aggravanti, fissando una
forbice edittale (come detto compresa tra un minimo di sei mesi di reclusione ed € 1.032,00 di multa e
un massimo di quattro anni di reclusione ed € 10.329 di multa), nettamente meno severa rispetto a
quella tenuta presente.
Sotto quest’angolo visuale, quindi, la pena applicata appare del tutto adeguata in quanto ricompresa
nella forbice edittale del modificato art. 73 co. 5 DPR 309/90 (Cass. Sez. VI n. 15152/2014).
Tanto premesso il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con conseguente condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché della somma di euro 1.000,00 in favore della
Cassa delle Ammende.
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fattuali non valutabili in sede di legittimità.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali oltre
alla somma di euro 1.000,00 in favore della Casa delle Ammende.

Così deciso in Roma, in data 23 ottobre 2014.

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