Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36492 del 20/06/2013
Penale Ord. Sez. 7 Num. 36492 Anno 2013
Presidente: GARRIBBA TITO
Relatore: PAOLONI GIACOMO
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
PISANO BENEDETTO N. IL 02/05/1961
avverso la sentenza n. 2697/2012 GIP TRIBUNALE di CATANIA, del
25/10/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO PAOLONI;
Data Udienza: 20/06/2013
R.G. 50054/ 2012
L’imputato Benedetto Pisano impugna per cassazione, con il ministero del
difensore, la sentenza del g.u.p. del Tribunale di Catania, con cui -su sua richiesta,
assentita dal p.m.- gli è stata applicata ex art. 444 c.p.p., concessegli le attenuanti
generiche stimate prevalenti sulle aggravanti, la pena di tre anni e sei mesi di reclusione
ed euro 14.000,00 di multa per il delitto di concorso in detenzione e vendita illecite
continuate di sostanza stupefacente del tipo cocaina ed hashish (con la stessa sentenza il
g.u.p. ha dichiarato il non luogo a procedere, a norma dell’art. 129 c.p.p., nei confronti
del Pisano in ordine al connesso reato di partecipazione ad associazione criminosa dedita
al traffico di sostanze stupefacenti).
Con il ricorso si deduce violazione di legge e difetto di motivazione per addotta
non corretta qualificazione giuridica del fatto e per mancata verifica di cause eventuali di
non punibilità valutabili in favore del prevenuto ai sensi dell’art. 129 c.p.p.
I delineati motivi di ricorso sono indeducibili e manifestamente infondati, dal
momento che il giudice di merito ha idoneamente motivato l’apprezzamento delle
emergenze fattuali e circostanziali del reato, valutando inequivoca la condotta criminosa
dell’imputato e congrua la pena concordata dallo stesso con il p.m. Né il ricorso, del
resto, precisa quali siano gli elementi in virtù dei quali il giudice non avrebbe dovuto
accogliere la richiesta di applicazione della pena nei termini definiti dalla stessa volontà
dell’imputato in rapporto alla vagliata corretta qualificazione del fatto reato ascrittogli.
Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione segue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore
della cassa delle ammende, che -attesa la natura del provvedimento impugnato- stimasi
equo fissare in euro 1.500,00 (millecinquecento).
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro millecinquecento in favore della cassa delle ammende.
Roma, 20 giugno 2013
Motivi della decisione