Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3649 del 03/12/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 3649 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: MARINI LUIGI

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brindisi
nel procedimento a carico di
ATTOLINI Sergio, nato a Brindisi il 21/4/1939
FRANCAVILLA Vincenzo, nato a San Vito dei Normanni il 6/9/1963
CAVALLO Claudio, nato a Vimercate (MB) il 25/3/1976
avverso l’ordinanza del 10/5/2013 del Tribunale di Brindisi che ha accolto
l’istanza di riesame proposta dal Sindaco pro tempore del Comune di Ceglie
Massapica contro il decreto di sequestro preventivo emesso in data 4/4/2013 dal
Giudice delle indagini preliminari del Tribunale in sede con riguardo alle ipotesi di
reato previste dagli artt.81, 100 cod. pen. e 44, lett.a) e b), del d.P.R. 6 giugno
2001, n.380 ed avente a oggetto un’area di terreno ubicata nella zona industriale
del predetto Comune
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Luigi Marini;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Aldo
Policastro, che ha concluso chiedendo annullarsi l’ordinanza con rinvio;
udito per il Comune di Ceglie Massapica l’avv. Giancarlo Camassa, che ha
depositato note di udienza e ha concluso chiedendo respingersi il ricorso.

Data Udienza: 03/12/2013

RITENUTO IN FATTO
1. Con decreto di sequestro preventivo emesso in data 4/4/2013 il Giudice
delle indagini preliminari del Tribunale di Brindisi ha ritenuto sussistere il “fumus”
delle ipotesi di reato previste dagli artt.81, 110 cod. pen. e 44, lett.a) e b), del
d.P.R. 6 giugno 2001, n.380 ed ha disposto il vincolo su un’area di terreno
ubicata nella zona industriale del predetto Comune destinata ad attività di
gestione dei rifiuti con ciclo integrato e sulla quale sono stati realizzati interventi
edilizi incompatibili con la destinazione dell’area quale risulta dagli strumenti

“parcheggi”, così che il permesso di costruire rilasciato il 21/12/2010 e la
successiva variante rilasciata il 15/6/2011 e il certificato di agibilità del
13/7/2011 debbono ritenersi illegittimi.
3. Avverso il decreto di sequestro è stata proposta istanza di riesame da
parte del Sindaco pro tempore con argomenti che il Tribunale di Brindisi ha
ritenuto fondati, tanto da disporre l’annullamento del decreto impugnato e la
restituzione dell’area in sequestro.
Osserva il Tribunale che la realizzazione di un centro destinato alla gestione
integrata dei rifiuti rientra le “attività collettive” che, unitamente alle destinazioni
a “verde pubblico” e “parcheggio” il D.M. n.1444 del 1968 individua come
componente essenziale degli standard urbanistici fissati per le zone “P.I.P.”,
come quella in esame. Tre sono gli ordini di ragioni per cui l’art.5 del citato D.M.
non risulta violato dalla realizzazione di una piazzola ecologica (Centro Raccolta
materiali): a) la possibilità per l’amministrazione di gestire in modo elastico la
divisione del territorio in funzione delle esigenze della collettività; b) la natura
pubblica del servizio di gestione rifiuti, ancorché affidato a concessionaria
privata, avendo riguardo al fatto che è l’intera collettività ad usufruirne; c) che
gli standard minimi fissati dal citato D.M. del 1968 risultano rispettati anche
scorporando la superficie dell’area interessata.
A ciò deve aggiungersi che con deliberazione del 29/11/2011 il Consiglio
comunale ha approvato e ratificato le scelte della Giunta.
Infine, l’art.1 della legge n.1 del 1978 e l’art.16 della legge regionale n.13 del
2001 hanno fissato il principio della fungibilità delle opere pubbliche e la non
necessità di intervenire con varianti al P.R.G. quando nell’area destinata a servizi
pubblici siano realizzati interventi inizialmente non previsti qualificabili come
opere pubbliche.
Conclude il Tribunale che, in ogni caso, l’eventuale violazione dello strumento
urbanistico non si caratterizza per “dolosa preordinazione” da parte dei soggetti
che vi hanno dato corso.

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urbanistici. In particolare, l’area risulta destinata a “verde pubblico” e/o

4. Avverso tale provvedimento propone ricorso il Pubblico ministero presso
il Tribunale di Brindisi.
4.1 – Premesso che la pubblica accusa ha ravvisato nelle condotte degli
indagati l’ipotesi di “lottizzazione abusiva” ex art.44, lett.b) e c) del d.P.R. 6
giugno 2001, n.380, il ricorrente afferma che la predisposizione di un’area di
stoccaggio dei rifiuti va qualificata come “servizio tecnologico a carattere
territoriale” e non come attività di “pubblico interesse” ex art.5 del citato D.M., in
quanto posta a servizio dell’area produttiva su cui insiste e non dell’intera

delibera n.250 del 2010 che individuava l’area interessata come possibile sede
del centro di raccolta avesse fatta salva la necessità di approfondire i profili
urbanistici e di provvedere anche mediante lo strumento della variante. Fatte
queste premesse, il ricorrente in sintesi lamenta:
4.2 – Errata applicazione di legge ai sensi dell’art.606, lett.b) cod.proc.pen.
essendo pacifico che il permesso di costruire rilasciato in contrasto con gli
strumenti urbanistici vigenti non può legittimare la realizzazione di opere;
inoltre: 1) trattandosi di stoccaggio di materiali da destinare a discarica, non si è
in presenza di rifiuti, ma di materiali qualificabili come sottoprodotto o materia
prima secondaria; 2) si è in presenza di “opere di interesse pubblico” e non di
“opere pubbliche”; 3) non può parlarsi di opera di urbanizzazione secondaria,
posto che il centro di raccolta ha come destinatario l’intero territorio
intercomunale servito dal consorzio, così che va escluso che l’area in questione
sia a servizio della sola zona produttiva; 4) il Tribunale non ha considerato le
modifiche apportate all’art.1, comma 4, della legge n.1 del 3 gennaio 1978 dalla
legge n.415 del 1998, che ha sostituito detta disposizione ; 5) nessuna forza
sanante può essere attribuita alla successiva deliberazione comunale.
Con note di udienza depositate in data odierna l’avv. Camassa per il Comune di
Ceglie Massapica ha ricordato che si è in presenza di “attività collettive” ex D.M.
1444/68 e di “opere pubbliche” e che la dimostrata conformità agli standard ex
art.5 del citato D.M. conduce a un quadro complessivo che impone il rigetto del
ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La Corte considera opportuno procedere all’esame del provvedimento
impugnato muovendo da tre premesse.
1.A – La prima concerne la non condivisione del passaggio motivazionale
contenuto nell’ultimo capoverso dell’ordinanza impugnata, in cui il Tribunale
richiama come argomento di chiusura l’assenza de “l’elemento soggettivo della

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collettività comunale; osserva, ancora, che la stessa Giunta comunale con la

dolosa preordinazione della condotta alla violazione del programmato assetto
urbanistico del territorio”. Come noto, infatti, il reato contestato ha natura
contravvenzionale ed è punito anche a titolo di sola colpa, così che l’assenza di
intenzionalità dolosa non costituisce elemento che possa da solo escludere il
“fumus” di reato.
1.B – La seconda concerne la asserita rilevanza della deliberazione assunta dal
consiglio comunale in data 29/11/2011, e dunque in momento successivo
all’adozione dei provvedimenti oggetto della contestazione cautelare. Costituisce

adottati dal soggetto competente debbono precedere i provvedimenti attuativi o
esecutivi assunti da diverso organo amministrativo; questi ultimi, trovando
legittimazione in fonte di rango superiore, non possono essere adottati in
assenza dei primi o ponendosi in contrasto con essi. Con la conseguenza che,
qualora si ritenga che solo una deliberazione consiliare potesse derogare,
integrare o modificare le previsioni del P.i.p., non vi è dubbio che tale
deliberazione debba precedere l’adozione dei provvedimenti assessorali o di
giunta che operano in tal senso.
1.0 – La terza concerne l’errore in cui è incorso il ricorrente nel momento in cui
sostiene che i materiali depositati nell’area interessata non costituirebbero rifiuto
ma sottoprodotto o materie prime secondarie. Tali qualificazioni, peraltro
indicate alternativamente dal ricorrente benché tra loro diverse, si pongono in
contrasto con le previsioni dell’art.183, comma 1, lett.a) e lett.qq), e con quelle
degli artt.184, comma 2, e 184-bis del d.lgs. 3 aprile 2006, n.152. Peraltro,
apparendo tale passaggio motivazionale d privo di carattere centrale nel
ragionamento del ricorrente, non appaiono necessarie ulteriori specificazioni.
2. Venendo così all’esame dei restanti profili del ricorso, la Corte deve
rilevare la specifica natura dei piani di insediamento produttivo disciplinati dalla
legge 865 del 1971, in particolare all’art.27, e dal d.lgs. 31 marzo 1998, n.112,
in particolare agli artt.25 e 26. Si è in presenza di strumento urbanistico di
attuazione, che presuppone l’adozione dello strumento urbanistico generale, e
che può sia riguardare il singolo comune sia assumere dimensione
intercomunale, ipotesi nella quale occorre procedere mediante conferenza dei
servizi (si veda l’art.14 della legge n.241 del 1990 e successive modifiche). Il
collegamento con lo strumento urbanistico comunale e la necessità di ricorrere
alle procedure di variante in caso di modificazione del piano di insediamento
approvato sono elementi esplicitati dalla Corte costituzionale con la sentenza
n.206 del 26/6/2001, dove si afferma che in caso di dissenso espresso dall’ente
regionale in sede di conferenza dei servizi il consiglio comunale non può

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principio generale dell’ordinamento che i provvedimenti autorizzatori e quelli

provvedere ad apportare una variante al piano senza ulteriore confronto con la
Regione.
3. L’insieme della disciplina del piano di insediamento produttivo consente
di riconoscere lo stretto legame esistente fra detto insediamento e le finalità di
sostegno all’economia locale che lo sostengono (Cons.Stato, Sez.IV, n.3034 del
6/6/2001).
4. E’ in questo contesto che deve essere valutata la previsione circa la
individuazione all’interno del P.i.p. di aree destinate a finalità pubbliche, che in

concentrazione di attività produttive in unica zona. Non appare, dunque, casuale
che il piano in esame prevedesse l’esistenza di un’area destinata alla fruizione
dei cittadini interessati dal piano stesso (e non di tutti i cittadini del comune e del
comprensorio), e cioè di un’area destinata a parcheggio e a verde pubblico.
5. Se questi sono i presupposti normativi e i principi interpretativi generali,
deve trovare conferma l’ipotesi che solo il consiglio comunale possa apportare
modifiche al piano. Come ricordato dal Consiglio di Stato (Sez.IV, n.6631 del
27/10/2003) spetta infatti al consigli individuare specificamente le aree
interessate dal P.i.p. in quanto non si tratta di scelta meramente attuativa di
scelte generali già effettuate, ma di scelta che implica una vera e propria
volizione che deve coordinarsi con la pianificazione urbanistica ma che non si
esaurisce in essa.
6.

Discende da quanto detto finora che la deliberazione del consiglio

comunale del 16/2/2009, di variante rispetto al piano particolareggiato che fu
approvato dalla giunta regionale, deve essere considerata la fonte legittimante le
caratteristiche del P.i.p. e che, in assenza di una modificazione di tale assetto
effettuate mediante le procedure necessarie, non possono considerasi
validamente emessi il permesso di costruire rilasciato il 21/12/2010 e gli atti
amministrati successivi e conseguenti.
7. Così ritenuto esistente il “fumus” di reato, la Corte non può non rilevare
che l’emanazione della deliberazione del consiglio comunale del 29/11/2011 ha
approvato le scelte operate dall’amministrazione. Occorre così procedere a
verificare se detto provvedimento, che parrebbe non incidere in modo definitivo
sugli standard del P.i.p., risulti rispettoso delle procedure che prevedono
l’interlocuzione con le altre amministrazioni interessate e, ove necessario, con
l’ente regionale. Si tratta di valutazione che assume obiettiva rilevanza rispetto
all’attualità delle esigenze cautelari, non esaminate sotto questo profilo dal
Tribunale, e che non può essere operata da questa Corte.

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qualche modo compensano i proprietari e la popolazione interessata rispetto alla

7. L’ordinanza va pertanto annullata con rinvio ai sensi dell’art.623 cod.
proc. pen. affinché il Tribunale, tenendo conto dei principi affermati con la
presente decisione, provveda a nuovo esame.

P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Brindisi.

Così deciso il 4/12/2013

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