Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36487 del 20/06/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 36487 Anno 2013
Presidente: GARRIBBA TITO
Relatore: PAOLONI GIACOMO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
BRESCIA
nei confronti di:
RAMBALDINI PAOLO N. IL 15/12/1991
RAMBALDINI MARCO N. IL 05/04/1993
avverso la sentenza n. 6162/2012 GIP TRIBUNALE di BRESCIA, del
27/09/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO PAOLONI;

Data Udienza: 20/06/2013

R.G. 50033 / 2012

Il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Brescia ricorre contro la
sentenza del g.u.p. del Tribunale di Brescia, con cui è stata applicata la pena, concordata
con il p.m. procedente, di sette mesi di reclusione ed euro 1.500,00 di multa ciascuno a
Paolo Rambaldini e Marco Rambaldini per il reato di concorso in illecita detenzione per
fini di spaccio di 203 singole dosi di sostanza stupefacente del tipo hashish, previa
concessione ad entrambi delle attenuanti generiche e dell’attenuante speciale del fatto di
lieve entità di cui all’art. 73 co. 5 L.S.
Il ricorrente P.G. deduce violazione di legge (artt. 73 co. 5 L.S. e 444 c.p.p.) in
riferimento alla riconosciuta attenuante del fatto lieve, vuoi perché la stessa non avrebbe
formato oggetto dell’accordo sanzionatorio raggiunto dagli imputati con il p.m., vuoi
perché la sentenza non ha indicato gli specifici motivi legittimanti la concessione della
ridetta circostanza attenuante ad effetto speciale.
Le delineate censure sono manifestamente infondate e il ricorso deve essere
dichiarato inammissibile.
Innanzitutto l’istanza di applicazione della pena avanzata dagli imputati e vistata
con atto di assenso del p.m. (e che il ricorrente P.G. non si è dato cura di controllare) reca
esplico riferimento alla previa qualificazione del fatto reato in termini di lievità ex art. 73
co. 5 L.S., come -del resto- desumibile dalla stessa quantificazione del modesto
quantitativo di sostanza oggetto del contestato reato.
In secondo luogo, come già affermato da questa S.C. (ex plurimis: Cass. Sez. 2,
10.1.2006 n. 3622, P.G. in proc. Laaziz, rv. 233369; Cass. Sez. 3, 23.10.2007 n. 44278,
P.G. in proc. Benha, rv. 238286; Cass. Sez. 4, 11.3.2010 n. 10692, P.G. in proc.
Hernandez, rv. 246394), in caso di patteggiamento sulla pena la possibilità di ricorrere
per cassazione, deducendo l’erronea qualificazione del fatto contenuta in sentenza, deve
essere limitata ai casi di errore manifesto, ossia ai casi in cui sussista l’eventualità che
l’accordo sulla pena si trasformi in accordo sui reati, mentre va esclusa tutte le volte in
cui la diversa qualificazione presenti margini di opinabilità. Né il Procuratore Generale
può, fuori dal caso di palese illegalità della pena patteggiata, per certo non ravvisabile
nella specie, porre in discussione il consenso prestato all’applicazione della pena dal
rappresentante della pubblica accusa in udienza, sostituendo la propria volontà a quella
manifestata da quest’ultimo, poiché ciò si tradurrebbe in un recesso sostanziale
dall’accordo intervenuto tra le parti e ratificato dalla sentenza, che non è consentito al
pubblico ministero (ancorché sovraordinato), così come non è consentito all’imputato.
P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso.
Roma, 20 giugno 2013

Motivi della decisione

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