Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36483 del 26/02/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 36483 Anno 2015
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: FOTI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CACIA ANTONINO N. IL 21/04/1970
avverso l’ordinanza n. 8/2012 CORTE APPELLO di MESSINA, del
16/10/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO FOTI;
lette/s9tife le conclusioni del PG Dott. PtAKVA/t O et i fit,0/ E/2,4
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Uditi difensor Avv.;

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Data Udienza: 26/02/2015

-1- Con ordinanza del 16 ottobre 2013, la Corte d’Appello di Messina, in applicazione del
disposto di cui all’art. 314 cod. proc. pen., liquidava all’avv. Antonino Cacia, a titolo di equa
riparazione per l’ingiusta detenzione sofferta in regime di arresti domiciliari dal 14 al 25
agosto 2002, la somma di euro 5.000,00.
La corte territoriale, accertato, quanto al diritto all’indennizzo, che il ricorrente non aveva
in alcun modo contribuito, né prima né dopo la perdita della libertà personale, a determinare,
con una condotta caratterizzata da dolo o colpa grave, l’adozione del provvedimento
restrittivo, liquidava, preso atto del protrarsi della detenzione e delle modalità della stessa, la
somma sopra specificata.
-2- Avverso tale decisione ricorre per cassazione, per il tramite del difensore, il Cacia, che
deduce, con riferimento al “quantum” devoluto, la nullità dell’ordinanza impugnata per
violazione dell’art. 314 cod. proc. pen. in punto di motivazione della decisione adottata
posto che, si sostiene nel ricorso, la corte territoriale non avrebbe considerato le gravi
conseguenze che dall’arresto sarebbero derivate al richiedente, incensurato e prossimo al
matrimonio, anche in ragione dell’attività professionale esercitata, essendo un giovane
avvocato, sottoposto, per la vicenda penale nella quale è stato coinvolto, a procedimento
disciplinare davanti al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Messina e costretto anche a
perdere le somme versate per il viaggio di nozze.
Con nota successivamente depositata, il ricorrente ribadisce le censure proposte nell’atto di
ricorso.
-3- Ritualmente costituitasi per il Ministero dell’Economia e delle Finanze, l’Avvocatura
Generale dello Stato chiede il rigetto del ricorso.

Considerato in diritto.
Il ricorso è infondato.
-1- In tema di riparazione per ingiusta detenzione, in particolare, di individuazione dei
criteri da seguire nella determinazione dell’equo indennizzo, questa Corte ne ha
costantemente individuato il carattere indennitario e non risarcitorio, affermando che la
liquidazione dello stesso si deve basare su una valutazione equitativa che tenga globalmente
conto sia della durata della custodia cautelare sia, e non marginalmente, delle conseguenze
personali e familiari scaturite dalla privazione della libertà. Con riferimento alla durata della
carcerazione, il criterio di riferimento per il calcolo dell’indennizzo è stato individuato in
quello aritmetico, che tiene conto della durata della carcerazione ed è costituito dal rapporto
tra il tetto massimo dell’indennizzo di cui all’art. 315, comma secondo, cod. proc. pen. e il
termine massimo della custodia cautelare di cui all’art. 303, comma quarto, lett. c), espresso
in giorni, moltiplicato per il periodo, anch’esso espresso in giorni, di ingiusta restrizione
subita. Calcolo grazie al quale si perviene alla individuazione della somma liquidabile di
circa 235,00 euro per ogni giorno di detenzione in carcere, comprensiva di tutte le negative
conseguenze generalmente derivanti dalla carcerazione, ridotta alla metà nel caso di arresti
domiciliari in vista della loro minore afflittività rispetto alla detenzione in carcere. Detto
criterio, che risponde all’esigenza di garantire, nei diversi contesti territoriali, un trattamento
tendenzialmente uniforme, non esime, tuttavia, il giudice dall’obbligo di valutare le
specificità, positive o negative, di ciascun caso e, quindi, dall’integrare opportunamente tale
criterio, innalzando ovvero riducendo il risultato del calcolo aritmetico per rendere la decisione il più equa possibile e rispondente alle diverse situazioni sottoposte al suo esame.
La Corte di legittimità ha ulteriormente chiarito che il giudice è assolutamente libero anche
di andare al di là del parametro aritmetico allorchè le conseguenze personali e familiari si
rivelino tali -nonostante la modesta durata della privazione della libertà- da meritare un più

Ritenuto in fatto.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Compensa
tra ricorrente e Ministero le spese di questo giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2015.

ampio indennizzo, ed ancora che “i parametri aritmetici individuano soltanto di norma o, se
si vuole, soltanto tendenzialmente il massimo indennizzo liquidabile relativamente a tutte le
conseguenze personali e familiari patibili per ogni giorno di ingiusta detenzione, libero
essendo il giudice di discostarsene, sia in meno sia in più, e non solo marginalmente,
…dando, però, di quel discostarsi….congrua motivazione” (Cass. 8.7.05 sez. IV).
-2- Orbene, a tali principi, che questa Corte pienamente condivide, si è attenuta la corte
territoriale che, tenuto conto della durata della detenzione, delle modalità di esecuzione della
stessa, delle conseguenze determinate dall’applicazione della misura, ha adeguatamente e
coerentemente motivato le ragioni della propria decisione, pervenendo ad una liquidazione
equa, quale risultante dall’applicazione del calcolo aritmetico, adattato tuttavia, attraverso un
consistente aumento della somma giornaliera liquidabile, alla specifica condizione del
richiedente ed alle particolari conseguenze che la pur breve condizione detentiva ha avuto,
non solo in ambito personale, familiare e sociale, ma anche professionale.
Non può, quindi, sostenersi che il giudice della riparazione non abbia valutato tali particolari profili del danno patito dall’odierno ricorrente; al contrario, li ha presi in esame e li ha
apprezzati attraverso un non trascurabile aumento della somma liquidabile secondo il
criterio del calcolo aritmetico; aumento che, attesa la natura equitativa ed indennitaria della
riparazione, non poteva certo giungere a determinare liquidazioni risarcitorie, non previste
dalla legge.
Quanto al danno patrimoniale, che l’odierno ricorrente ha sostenuto di avere subìto in
conseguenza delle spese affrontate per il viaggio di nozze, al quale aveva evidentemente
dovuto rinunciare, deve osservarsi che lo stesso risulta, anche nell’istanza introduttiva, dallo
stesso solo affermato, non anche dimostrato.
D’altra parte, occorre rilevare che il controllo di legittimità sulla quantificazione della
somma liquidata a titolo di riparazione non può concretizzarsi in un sindacato sulla
sufficienza o insufficienza della stessa, essendo tale controllo limitato alla verifica della
coerenza dei criteri adottati dal giudice della riparazione, che non possono essere sindacati
nel giudizio di legittimità se non nei limiti in cui alla liquidazione detto giudice sia
pervenuto senza una coerente giustificazione della decisione adottata, ovvero sulla base di
criteri manifestamente arbitrari, ovvero allorché egli abbia liquidato una somma meramente
simbolica. Situazioni certo non riscontrabili nel caso di specie.
-3- Il ricorso deve essere, dunque, rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali. L’oggetto del ricorso e la natura delle questioni poste all’esame della
Corte giustificano la compensazione, tra le parti, delle spese del presente giudizio.

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