Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36459 del 21/07/2015

Penale Sent. Sez. 2 Num. 36459 Anno 2015
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 21/07/2015

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di M.M., n. a
Civitanova del Sannio il 26.02.1966, rappresentato e assistito
dall’avv. Arturo Messere, di fiducia, avverso l’ordinanza del Tribunale
di Isernia, n. 7/2015, in data 20.03.2015;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione della causa fatta dal consigliere dott. Andrea
Pellegrino;
udita la requisitoria del Sostituto procuratore generale dott. Roberto
Aniello che ha concluso chiedendo di dichiararsi l’inammissibilità del
ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 20.03.2015, il Tribunale di Isernia

1

respingeva l’istanza di riesame presentata nell’interesse di
M.M. avverso il decreto di sequestro probatorio (di
denaro e titoli) emesso dal Procuratore della Repubblica presso il
Tribunale di Isernia in data 27.02.2015 nell’ambito del procedimento
per il reato di usura a carico dello stesso.
2. Avverso detto provvedimento, nell’interesse di M.M.,
viene proposto ricorso per cassazione per i seguenti motivi:

-violazione dell’art. 606, lett. b) ed e) cod. proc. peri., in relazione
agli artt. 125, 247 e 253 cod. proc. pen.; mancata enunciazione del
fatto attribuito all’indagato;

mancanza

di

motivazione sul

collegamento tra reato ipotizzato e beni sequestrati (primo motivo);
– erroneità dell’ordinanza per violazione dell’art. 606 lett. b) cod. proc.
pen., in relazione agli artt. 125, 253, 257, 324 e 669 cod. proc. pen.,
110, 644 cod. peri., 27, comma 1 Cost.; inosservanza del principio
del ne bis in idem con riferimento ai titoli intestati a B.B.; violazione della legge penale e processuale; mancanza di
motivazione (secondo motivo);
– erroneità dell’ordinanza per violazione dell’art. 606 lett. b) cod. proc.
pen., in relazione agli artt. 125, 253, 257 e 324 cod. proc. pen., 110,
644 cod. pen., 27, comma 1 Cost.; inosservanza ed erronea
applicazione della legge penale e processuale; mancanza di
motivazione in ordine al mantenimento del vincolo sui beni fruttiferi
intestati alla minore A.A. (terzo motivo);
-erroneità dell’ordinanza per violazione dell’art. 606 lett. b) cod. proc.
pen., in relazione agli artt. 125, 253, 257 e 324 cod. proc. pen., 644
cod. peri.; inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e
processuale; mancanza di motivazione in ordine al mantenimento del
sequestro sugli assegni intestati alla società Mary 2 s.r.I., sul denaro
contante e sui modelli F24 destinati al pagamento delle imposte
(quarto motivo).
2.1. In relazione al primo motivo, si evidenzia come nel
provvedimento che ha disposto la perquisizione ed il sequestro non è
stata fornita alcuna benché minima indicazione e/o esplicitazione dei
fatti specifici in relazione ai quali si ricercavano i corpi di reato e/o le
cose pertinenti allo stesso; invero, il provvedimento si è limitato
all’indicazione degli articoli del codice penale che si assumono violati,
consentendo così l’estensione del sequestro a tutti i beni che si

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trovavano in quel momento nella disponibilità dell’indagato, a
prescindere dalla sussistenza o meno di un loro legame pertinenziale
con il fatto-reato ipotizzato, finendo per essere colpiti persino beni
intestati a terze persone estranee alle indagini nonché titoli e denaro
giustificati da regolari fatture commerciali e/o da documenti fiscali
presenti agli atti. Inoltre, neppure l’impugnata ordinanza del
Tribunale del riesame ha colmato la lacuna motivazionale dedotta,

fornendo lumi sulle condotte poste in essere dall’indagato e/o sui fatti
storici allo stesso attribuibili rispetto ai quali poter valutare la
legittimità o meno, in tutto o in parte, del provvedimento.
2.2. In relazione al secondo motivo, osserva il ricorrente come
l’ordinanza impugnata, oltre a prodursi in una motivazione del tutto
apparente ed inosservante dei principi che regolano l’apposizione del
vincolo probatorio, non ha minimamente considerato che il denaro
contante, gli assegni ed i titoli sequestrati il 03.03.2015 presso il
domicilio dell’indagato e dei suoi tre figli oltre che presso il locale dove esercita attività commerciale la
YY s.r.I., sono già stati oggetto di un precedente sequestro
eseguito in data 12.12.2012 e parzialmente annullato dallo stesso
Tribunale del riesame di Isernia con ordinanza in data 27.12.2012,
nell’ambito di un procedimento solo formalmente distinto dal presente
ma in realtà scaturente dalla medesima denuncia sporta da D’Ippolito
Gisella nel 2011 (per fatti asseritamente verificatisi nel 2008) ed
avente ad oggetto sempre il delitto di usura, e da quello formalmente
stralciato solo per necessità connesse alla prosecuzione delle indagini.
Invero, come da insegnamento della Suprema Corte (cfr., Sez. 6,
sent. n. 21103 del 26/03/2013), il divieto di bis in idem comporta, in
tema di sequestro probatorio, l’impossibilità di disporre o confermare
il provvedimento in base agli stessi elementi posti a fondamento di un
precedente già annullato quando la situazione di fatto sia rimasta
immutata: tale principio non trova applicazione solo quando (ma non
è questo il caso) il precedente provvedimento di sequestro sia stato
annullato o riformato per motivi di natura formale e/o processuale e
non per la insussistenza del fumus delicti commissi (cfr., Sez. 3, sent.
n. 39332 del 13/07/2009; Sez. 3, sent. n. 29975 del 08/05/2014).
Come detto, l’ordinanza impugnata ha fornito sul punto una
motivazione apparente, affermando solo apoditticamente, in maniera

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del tutto incoerente con gli atti di indagine ed incorrendo in un
evidente error in judicando, che il ricorrente nulla avrebbe rilevato in
merito agli assegni intestati ai figli e che il quadro indiziario non
esclude di ritenere che anche i titoli formalmente intestati a terze
persone siano di fatto provento del reato contestato.
2.3. In relazione al terzo motivo, si evidenzia come l’ordinanza
impugnata non abbia speso alcuna motivazione sulla legittimità del

mantenimento del vincolo sui tre buoni fruttiferi intestati alla minore
A.A., limitandosi anche in questo caso a
presumere, in via congetturale, che tali titoli “siano di fatto provento
del reato”: detto assunto non trova, ancora una volta, nessuna
conferma negli atti di indagine e nemmeno nella denuncia
originariamente sporta da D’Ippolito Gisella, tant’è che i predetti titoli
furono già sottoposti a sequestro il 12.12.2012, ma poi vennero
immediatamente restituiti senza formalità dall’autorità procedente
poiché considerati irrilevanti ai fini probatori.
Allo stesso modo non v’è alcuna motivazione sulla conferma del
sequestro di due vaglia postali emessi da L.L., anche
luti totalmente estraneo alle indagini, in favore di tale Fava Paolo e
Lombardi Diego per l’acquisto di quote societarie della XX s.r.I..
2.4. In relazione al quarto motivo, si evidenzia inoltre come
l’ordinanza impugnata non fornisca motivazione alcuna in ordine al
mantenimento del sequestro su una serie di assegni intestati alla
Mary 2 s.r.l. e corredati di regolare fattura a fronte di cospicue
forniture di frutta, verdura, acqua minerale e pellet in legno; pari
assenza di motivazione si registra anche con riferimento al denaro
sequestrato, non essendosi peraltro considerato che un’attività
commerciale, quale quella amministrata dal ricorrente (capace di
incassare migliaia di euro in un solo giorno), necessita di disporre di
pronta liquidità anche per provvedere ai pagamenti dei grossisti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato e, come tale, risulta
inammissibile.
2. Va preliminarmente evidenziato come, secondo la giurisprudenza
di questa Suprema Corte, il ricorso per cassazione contro le ordinanze

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emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio sia ammesso
solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere
sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della
motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a
sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti
minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a
rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (cfr., ex

multis, Sez. 5, sent. n. 43068 del 13/10/2009, dep. 11/11/2009,
Bosi, Rv. 245093).
2.1. Nella nozione di violazione di legge rientrano sia la mancanza
assoluta di motivazione sia la presenza di una motivazione
meramente apparente, in quanto entrambe le ipotesi sono correlate
all’inosservanza di precise norme processuali, ma non vi rientra
l’illogicità manifesta, che può denunciarsi in sede di legittimità
soltanto tramite lo specifico ed autonomo motivo di ricorso di cui
all’art. 606, comma 1 lett. e), cod. proc. pen. (Sez. 6, sent. n. 7472
del 21/01/2009, dep. 20/02/2009, P.M. in proc. Vespoli e altri, Rv.
242916).
3. In materia di misure cautelari reali, in sede di legittimità così come
in sede di riesame, non è consentito verificare la sussistenza del reato
ma solo accertare se il fatto contestato sia configurabile quale
fattispecie astratta di reato, in termini di sommarietà e provvisorietà
propri della fase delle indagini preliminari. Il sequestro probatorio,
infatti, non necessita dell’esistenza di gravi indizi di colpevolezza a
carico dell’indagato dal momento che, diversamente opinando, come
riconosciuto dal Tribunale, si finirebbe per creare “un evidente cortocircuito sul piano logico, in virtù del quale per ricercare la prova di un
fatto occorrerebbe già disporre della prova del fatto stesso”.
3.1. Va, inoltre, doverosamente evidenziato come l’accertamento
della sussistenza del fumus delicti commissi debba essere compiuto
sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non
possono essere censurati sul piano fattuale, per apprezzarne la
coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno valutati
così come esposti, al fine di verificare se essi consentono – in una
prospettiva di ragionevole probabilità – di sussumere l’ipotesi
formulata in quella tipica.
3.2. Fermo quanto precede, nella fattispecie, si è ritenuto che gli

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elementi acquisiti consentissero di ritenere allo stato sostenibile
l’impostazione accusatoria e di riconoscere l’astratta configurabilità
del reato di usura ipotizzato a carico di M.M..
4. Manifestamente infondato è il primo motivo di censura.
Insegna la giurisprudenza di questa Suprema Corte (v., da ultimo,
Sez. 5, sent. n. 13594 del 27/02/2015, dep. 30/03/2015, Gattuso e
altro, Rv. 262898), l’obbligo di motivazione che deve sorreggere, a

pena di nullità, il decreto di sequestro probatorio in ordine alla
ragione per cui i beni possono considerarsi il corpo del reato ovvero
cose ad esso pertinenti ed alla concreta finalità probatoria perseguita,
con l’apposizione del vincolo reale, deve essere modulato da parte del
pubblico ministero in relazione al fatto ipotizzato, al tipo di illecito cui
in concreto il fatto è ricondotto, alla relazione che le cose presentano
con il reato, nonché alla natura del bene che si intende sequestrare.
4.1. In tal senso, la qualifica del bene come corpo del reato ovvero di
cosa pertinente al medesimo e la stessa esigenza probatoria sottesa
al sequestro possono risultare in re ipsa o anche solo dalla sommaria
enunciazione del fatto oggetto di investigazione.
È dunque compito del pubblico ministero procedente modulare la
specificità dell’apparato giustificativo del provvedimento di sequestro
in relazione alle effettive peculiarità del caso concreto.
Spetta invece al Tribunale investito dell’istanza di riesame verificare
la effettività e completezza della motivazione del provvedimento
impugnato alla luce dei ricordati principi, senza peraltro che gli sia
attribuito il potere di integrarla autonomamente, giacché il suo difetto
è vizio genetico dello stesso che ne comporta l’originaria nullità (in tal
senso, le Sezioni Unite Ferrazzi e da ultima, ed ex multis, Sez. 3, n.
37187 del 6 maggio 2014, Guarnieri e altri, Rv. 260241).
4.2. Nel caso di specie, il provvedimento del pubblico ministero non si
è affatto limitato all’indicazione della fattispecie di reato contestata
accompagnata dall’enunciazione del tempo e del luogo di
commissione del fatto, ma ha precisato i beni da ricercare in luoghi
anch’essi indicati, la pertinenza dei medesimi con il reato in
contestazione e, implicitamente, la finalità probatoria sottesa,
richiamando, per relationem, gli indizi di reato raccolti in sede di
indagini.
4.3. Il Tribunale, a sua volta, a giustificazione e conferma del

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provvedimento impugnato, ha riconosciuto come, da un lato, gli
elementi a discarico apparissero insufficienti a modificare in senso
favorevole all’indagato il quadro accusatorio e, dall’altro lato, come la
stessa difesa si fosse limitata a contestare la paternità di alcuni
assegni bancari e buoni fruttiferi all’indagato ed a giustificare alcuni
assegni emessi a favore di alcune società, senza nulla eccepire “in
merito ai numerosissimi assegni consegnati spontaneamente

dall’indagato in sede di perquisizione, aventi ad oggetto cospicue
somme di denaro e privi dell’indicazione del beneficiario …” e “niente
rileva in merito ad altri assegni intestati ai figli e a terze persone privi
oltretutto di alcuna girata”, per concludere ritenendo che, sui titoli,
apparentemente di terzi, il ricorrente appariva comunque privo di
legittimazione per chiederne la restituzione.
5. Manifestamente infondato è il secondo motivo di censura.
Trattasi di doglianza inammissibile sotto due profili: il primo, in
quanto proposta per la prima volta in sede di legittimità (ovvero in
mancanza di prova di precedente proposizione avanti al giudice di
merito) e il secondo, in quanto il relativo accertamento richiederebbe
un’indagine in fatto non consentita nella presente sede.
6. Manifestamente infondati sono anche sia il terzo che il quarto
motivo di censura, trattabili congiuntamente per la sostanziale
identità di tema.
Invero, ferme le considerazioni precedentemente esposte, ritiene il
Collegio come si sia in presenza di ampia – e, come tale,
incensurabile – motivazione sul punto del mantenimento del vincolo
sui titoli intestati a terzi.
6.1. Al riguardo, il Tribunale, dopo aver ritenuto del tutto non
credibile “… che l’indagato (titolare di un’attività così agiata come si
evince dall’analisi dei suoi corrispettivi) possa tenere tutto il suo
ricavato o buona parte di esso (denaro e titoli) nella cassaforte e nel
cassetto di un mobile della propria abitazione e non usufruisca di un
più sicuro e agevole deposito su un conto corrente presso un Istituto
di credito, per contro molto più comodo anche per effettuare
pagamenti delle proprie fatture commerciali”, ha riconosciuto come,
alla luce del succitato quadro indiziario, nulla esclude di ritenere che
“… anche i titoli formalmente intestati a terze persone (in particolare
ai figli) e rinvenuti nell’abitazione e nella rivendita del M.M.

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siano di fatto provento di tale reato e che quest’ultimo si sia avvalso
dei predetti (familiari) per allontanare da sé eventuali sospetti in
merito alla contestata attività delittuosa …”.
7. Ne consegue l’inammissibilità del ricorso e, per il disposto dell’art.
616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle
ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa
delle ammende.
Così deliberato in Roma, udienza in camera di consiglio del 1.7.2015

Il Consigliere estensore
Dott. Andrea Pellegrino

Dott.

dal ricorso, si determina equitativamente in euro 1.000,00

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