Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36453 del 09/07/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 36453 Anno 2013
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: D’ISA CLAUDIO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
LA VARDERA PAOLO

n. il 6.06.1968

avverso l’ordinanza n. 311/2013 del Tribunale di Palermo – sezione
riesame -del 15.03.2013.
Visti gli atti, l’ordinanza ed il ricorso
Udita in UDIENZA CAMERALE del 9 luglio 2013 la relazione fatta dal
Consigliere dott. CLAUDIO D’ISA
Lette le richieste del Procuratore Generale nella persona della dott.
Alberto Aniello che ha concluso per l’ inammissibilità del ricorso.

Data Udienza: 09/07/2013

RITENUTO IN FATTO E DIRITTO
LA VARDERA PAOLO ricorre per cassazione avverso l’ordinanza, in
epigrafe indicata, del Tribunale – sezione riesame – di Palermo con cui è stata
rigettata la richiesta di riesame avverso l’ordinanza del 4.03.2013 con la quale il
GIP di Palermo ha applicato la misura coercitiva della custodia cautelare in
carcere in ordine al reato previsto dall’art. 73 d.P.R. 309/90.
Con il primo motivo si denuncia violazione di legge con riferimento all’art.
141 bis c.p.p e vizio di motivazione per essere stata rigettata l’eccezione di

poiché svolto in udienza, e quindi, al di fuori dell’ambito di applicazione della
norma citata. Si deduce che il Tribunale erroneamente ha assimilato
l’interrogatorio di garanzia dinanzi al GIP all’udienza dibattimentale, ossia quella
cui fa riferimento l’art. 141 bis c.p.p.. Ne consegue che, mancando la
riproduzione fonografica o audiovisiva dell’interrogatorio o in assenza delle
forme alternativa ad essa, l’atto è colpito da sanzione di inutilizzabilità sia nei
confronti della persona che lo rende / sia nei confronti dei terzi.
Dunque, l’interrogatorio reso dal LA VARDERA ex art. 294 c.p.p., non può
essere utilizzato in quanto è stato assunto senza alcun mezzo di riproduzione
fonografica. Conseguentemente le considerazioni formulate dal Tribunale del
Riesame nella parte in cui valuta come fortemente indizianti le dichiarazioni
rese da entrambi gli indagati, non possono essere utilizzate come elementi su
cui fondare un giudizio di qualificata probabilità in ordine alla responsabilità
degli stessi.
Con il secondo motivo si denunciano altra violazione di legge ed altro
vizio di motivazione con riferimento all’art. 73 d.P.R. 309/90 ed all’art. 273
c.p.p. per carenza di elementi indiziari a carico del ricorrente. Si espone che il
LA Vardera Paolo è detenuto per essersi trovato in prossimità del proprio figlio
sospettato di essere il proprietario della sostanza stupefacente rinvenuta sul
tavolo all’interno dell’appartamento da lui abitato. Non si evidenzia alcun
contributo concorsuale dell’indagato.
Si censura, altresì, l’ordinanza nella parte in cui ritiene sussistente in
capo all’indagato l’esigenza cautelare.
(((((((((((0))))))))))
I motivi esposti sono infondati sicché il ricorso va rigettato.
Circa l’eccezione di inutilizzabilità il Tribunale ha ben rimarcato che i gravi
elementi indizianti a carico del ricorrente emergono (prova di resistenza)
indipendentemente dal far ricorso alle dichiarazioni rese dall’indagato in sede di
interrogatorio di garanzia.

inutilizzabilità, di cui all’ art. 141 bis, dell’interrogatorio reso dall’indagato

Invero, quanto al quadro indiziario il Tribunale elenca elementi oggettivi’
certi da cui desume, in termini di gravità indiziaria, che l’appartamento nella
disponibilità del solo LA VARDERA Paolo fosse stato adibito, con una certa
attenzione e cura metodica (evincibile, ad esempio, dal fatto che erano state
tagliate varie porzioni di carta stagnola per confezionare le dosi singole di
cocaina e dal fatto che era stata predisposta una zona per il taglio della droga
ed un’altra per il confezionamento della stessa in singole dosi) e centro di
detenzione, taglio, confezionamento di dosi e “spaccio” di cocaina, il tutto con la

dell’appartamento ed al quale non potevano certo sfuggire quei “segni”
inequivoci di un’attività in atto, riconducibile al delitto di cui all’art. 73 d.P.R.
309(90.
Dunque, il motivo si risolve in una censura sulla valutazione del quadro
indiziario posto a fondamento del provvedimento de liberiate che esula dai
poteri di sindacato del giudice di legittimità, non palesandosi il relativo
apprezzamento motivazionale ne’ manifestamente illogico, ne’ viziato dalla non
corretta applicazione della normativa di settore.
In proposito, va ricordato che, secondo assunto non controverso, in tema
di misure cautelari personali, la valutazione del peso probatorio degli indizi è
compito riservato al giudice di merito e, in sede di legittimità, tale valutazione
può essere contestata unicamente sotto il profilo della sussistenza,
adeguatezza, completezza e logicità della motivazione, mentre sono
inammissibili, viceversa, le censure che, pure investendo formalmente la
motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle
circostanze già esaminate da detto giudice (di recente, ex pluribus, Cass., Sez.
4^, 4 luglio 2003, Pilo; nonché, Sez. 4^, 21 giugno 2005, Tavella).
Ciò che, nella specie, il ricorrente fa quando si limita a contestare “nel
merito” il quadro probatorio a carico evidenziato nell’ordinanza cautelare,
fondato come si è visto su elementi di natura fattuale incontrovertibili che
conducono alla consapevolezza da parte dell’indagato di quanto avveniva nella
sua abitazione, non potendosi egli trincerare dietro l’assunto difensivo che la
droga era stata portata in casa dal figlio Domenico a sua insaputa;
I

Furono rinvenuti in diverse zone dell’appartamento :
• bilancini di precisione (evidentemente funzionali al “taglio” ed al confezionamento della droga in dosi singole
da destinare allo “spaccio al minuto”; circostanza desumibile chiaramente dal fatto che entrambi i bilancini si
trovassero, in due stanze diverse, accanto a quantitativi di cocaina)
• cocaina posta in due diversi punti dell’appartamento,
• strumenti per il confezionamento di dosi singole di droga,
• carta stagnola già tagliata e pronta per accogliere le dosi singole,
• un ingente somma di denaro in contanti,

consapevolezza ed il consenso del ricorrente, che aveva la disponibilità

consapevolezza che, allo stato, non è qualificabile come mera connivenza ma
sintomatica di un apporto significativo alla consumazione del reato contestato,
almeno sotto il profilo di assicurare la detenzione della sostanza, di nasconderla
e di consentirne lo spaccio
Non può essere dimenticato che, nella materia de libertate, la nozione di
“gravi indizi di colpevolezza” di cui all’art. 273 c.p.p. non si atteggia allo stesso
modo del termine “indizi” inteso quale elemento di prova idoneo a fondare un
motivato giudizio finale di colpevolezza, che sta ad indicare la “prova logica o

192 c.p.p., comma 2,) che consente di risalire ad un fatto incerto attraverso
massime di comune esperienza. Per l’emissione di una misura cautelare, invece,
è quindi sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio
di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati
addebitatigli. E ciò deve affermarsi anche dopo le modifiche introdotte dalla L. 1
marzo 2001 n. 63: infatti, nella fase cautelare è ancora sufficiente il requisito
della sola gravità (art. 273 c.p.p., comma 1), giacché l’art. 273 c.p.p., al
comma 1 bis (introdotto, appunto, dalla suddetta legge) richiama
espressamente i soli commi 3 e 4, ma non dell’art. 192 c.p.p., il comma 2, che
prescrive la precisione e la concordanza accanto alla gravità degli indizi:
derivandone, quindi, che gli indizi, ai fini delle misure cautelari, non devono
essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti per il giudizio di merito dall’art.
192 c.p.p., comma 2, e cioè con i requisiti della gravità, della precisione e della
concordanza (cfr. ancora, Cass., Sez. 4″, 4 luglio 2003, Pilo;
nonché, più di recente, Sez. 4^, 21 giugno 2005, Tavella).
La censura non coglie, quindi, nel segno: non emergono nella decisione
gravata violazioni di norme di legge e, nel merito, le argomentazioni a supporto
della ordinanza custodiale non sono sindacabili in questa sede, a fronte della
rappresentazione, non illogica, di un quadro indiziario senz’altro grave nei
termini di cui si è detto, che consente, per la sua consistenza, di prevedere che,
attraverso il prosieguo delle indagini, sarà idoneo a dimostrare la responsabilità
del prevenuto, fondando nel frattempo una qualificata probabilità di
colpevolezza (cfr. Cass., Sez. 2^, 19 gennaio 2005, Paesano).
Non miglior sorte può avere la doglianza articolata in punto di
adeguatezza della misura cautelare, avendo il tribunale ampiamente motivato
sulla pericolosità sociale dell’indagato (apprezzando le modalità e la gravità del
reato) e dalla personalità del medesimo, alla luce dei criteri di cui all’art. 133
cod. pen., desunta dai precedenti penali, sebbene non specifici, indicativi di una

indiretta”, ossia quel fatto certo connotato da particolari caratteristiche (v. art.

elevata propensione a delinquere in tal modo giustificando adeguatamente la
scelta della misura cautelare in atto della custodia in carcere.
Anche con questa doglianza, il ricorrente vorrebbe, inammissibilmente,
che questa Corte esercitasse un controllo di merito, attraverso una non
consentita rilettura della vicenda e una parimenti non consentita rinnovazione
del giudizio di adeguatezza e proporzionalità, effettuato dal giudicante in modo
rispettoso del disposto normativo (art. 275 c.p.p., commi 2 e 3).
Mentre, parimenti in modo corretto ed adeguato il giudicante ha motivato

Come è noto, in tema di esigenza cautelare costituita dal pericolo di
reiterazione di reati della stessa indole, prevista dall’art. 274 c.p.p., lett. c), la
pericolosità sociale dell’indagato deve risultare congiuntamente dalle specifiche
modalità e circostanze del fatto e dalla sua pericolosità. Peraltro, nulla
impedisce di attribuire alle medesime modalità e circostanze di fatto una duplice
valenza, sia sotto il profilo della valutazione della gravità del fatto, sia sotto il
profilo dell’apprezzamento della capacità a delinquere: in vero, le specifiche
modalità e circostanze del fatto ben possono essere prese in considerazione
anche per il giudizio sulla pericolosità dell’indagato, costituendo la condotta
tenuta in occasione del reato un elemento specifico assai significativo per
valutare la personalità dell’agente (ex pluribus, Cass., Sez. 1″, 14 maggio
2003, Franchi; più di recente, Cass., Sez. 2^, 22 giugno 2005, Pezzano).
È quanto risulta essere stato fatto nella vicenda de qua, per le ragioni
suindicate.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia
trasmesso al direttore dell’istituto penitenziario competente, perché provveda a
quanto stabilito dall’art. 94, comma lydelle disp. Att. c.p.p..
Così deciso in Roma alla udienza camerale del 9 luglio 2013.

sulla ritenuta sussistenza dell’esigenza cautelare del pericolo di recidiva.

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