Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36440 del 21/07/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 36440 Anno 2015
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 21/07/2015

SENTENZA
Sul ricorso proposto personalmente da Fattori Giampaolo, n. a Milano
il 13.08.1954, rappresentato e assistito dall’avv. Luigi Salvato,
d’ufficio, avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano, terza
sezione penale, n. 5756/2014, in data 11.12.2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
lette le memorie di replica nell’interesse di Eni s.p.a. rispettivamente
depositate in data 22.05.2015 e in data 11.06.2015;
sentita la relazione della causa fatta dal consigliere dott. Andrea
Pellegrino;
udita la requisitoria del Sostituto procuratore generale dott. Roberto
Aniello che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio per
improcedibilità per difetto di querela per capo A) e rigetto nel resto;

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sentita la discussione della difesa della parte civile ENI s.p.a., avv.
Francesco Centonze che ha concluso chiedendo di dichiararsi
infondato il motivo di ricorso indicato con la lettera A), di dichiararsi
inammissibili o, comunque, infondati i motivi di cui alle lettere B), C)
e D), di confermare le statuizioni relative al risarcimento del danno e
al pagamento delle spese di costituzione di parte civile di cui alle
sentenze di primo e secondo grado nonché delle spese sostenute nel

presente grado di giudizio che si quantificano in euro 11.376,00 oltre
rimborso spese forfettarie, IVA e CPA.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 11.12.2014, la Corte d’appello di Milano, in
parziale riforma della sentenza di primo grado pronunciata dal
Tribunale di Milano, in composizione monocratica, in data
09.05.2014, confermava la condanna a carico di Fattori Giampaolo
alla pena di anni due, mesi cinque di reclusione ed euro 2.100,00 di
multa per i reati, unificati sotto il vincolo della continuazione’, di
appropriazione di cose smarrite, così riqualificata l’originaria
imputazione di ricettazione (capo A) e di tentata estorsione (capo C),
riducendo l’entità della somma liquidata a titolo di risarcimento ad
euro 10.000,00, con conferma nel resto.
2. Avverso detta sentenza, Fattori Giampaolo propone ricorso per
cassazione, lamentando:
-con riguardo al capo A), nullità della sentenza per violazione degli
artt. 606, comma 1 lett. c) e 609, comma 2 cod. proc. pen. in
relazione agli artt. 178 lett. b) e 336 cod. proc. pen., per difetto di
querela (primo motivo);
-con riguardo al capo A), nullità della sentenza per violazione degli
artt. 606, comma 1 lett. c) e 609, comma 2 cod. proc. pen. in
relazione agli artt. 178 lett. b), 336 e 337, comma 3 cod. proc. pen.,
per difetto di potere a proporre querela (secondo motivo);
-con riguardo al capo A), nullità della sentenza per violazione dell’art.
606 lett. b) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 647 e 51 cod. pen.,
927 cod. civ., per erronea applicazione delle norme giuridiche in
materia di cose ritrovate (terzo motivo);
-con riguardo al capo C), nullità della sentenza per violazione dell’art.

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606 lett. b) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 56, 629, 51 cod.
pen., 930, commi 1 e 3 cod. civ., per erronea applicazione delle
norme giuridiche in materia di premio dovuto al ritrovatore di cosa
smarrita (quarto motivo).
2.1. In relazione al primo motivo, si contesta l’esistenza di una
volontà di chiedere la punizione del colpevole all’interno di un atto
titolato come esposto nel quale appare poco contestabile l’esistenza

di esplicita volontà limitata all’esposizione di un fatto.
2.2. In relazione al secondo motivo, si evidenzia come l’asserita
“querela” risulta essere stata proposta dall’avv. Massimo Mantovani,
in qualità di direttore degli Affari Legali della Eni s.p.a., in forza dei
poteri conferiti con procura notarile: tale procura, tuttavia, non
prevede alcun conferimento di detto potere, né lo stesso può dirsi
implicitamente rinvenuto nel contenuto della procura, che è
evidentemente conferita per la sola rappresentanza in procedimenti
civili ed amministrativi.
2.3. In relazione al terzo motivo, si censura la sentenza impugnata
che ha ritenuto integrato il reato di appropriazione di cosa smarrita,
nonostante l’attivazione della procedura di riconsegna e di
richiesta/liquidazione del premio dovuto.
2.4. In relazione al quarto motivo, si evidenzia come la Corte
territoriale abbia fondato la propria convinzione sull’assunto
dell’esorbitanza della somma richiesta dal ritrovatore, concetto che
travalica il potere di decisione affidato alla Corte stessa poiché
rimesso al giudice civile.
Osserva il ricorrente come il Tribunale di Milano, in sede civile, ha
respinto la domanda di liquidazione del premio non perché abbia
ritenuto che la somma richiesta al momento della restituzione fosse
esorbitante rispetto al valore della cosa ritrovata, bensì poiché non
era rinvenibile un’utilità della restituzione in capo ad Eni s.p.a.,
evidenzia poi come la sentenza impugnata non doveva essere
influenzata dal giudizio civile poiché lo stesso sarebbe in contrasto
con le norme procedurali e che “se proprio il giudice penale avesse
voluto intersecare il proprio giudizio con quello civile, lo avrebbe
dovuto fare con una visione integrale del procedimento civile,
riportandosi a tutti i passaggi logici della sentenza e non solamente
all’esito finale del giudizio. Se così avesse fatto, avrebbe evitato

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l’attuale censura di erronea applicazione delle norme giuridiche in
tema di premio per il ritrovamento ed esimente per esercizio di un
diritto”.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso, con riferimento a tutti i motivi di doglianza proposti, è

manifestamente infondato e, come tale, risulta inammissibile.
2. In relazione al primo motivo, ritiene il Collegio di dover condividere
le considerazioni espresse dalla Corte d’appello di Milano, secondo cui
“… l’atto denominato “esposto” dai denuncianti, contiene in sé la
richiesta di persecuzione dei destinatari, in caso di ipotizzabilità di
reati a loro carico. Si chiede infatti nell’ultimo foglio dell’esposto che
la autorità destinataria “voglia provvedere a svolgere indagini per
verificare se nei fatti descritti e nelle condotte esposte sono
ravvisabili e perseguibili estremi di reato”: non rileva l’intitolazione
dell’atto, ma il contenuto, che esprime una domanda di giustizia …”.
2.1. Invero, come affermato da questa Suprema Corte, “ai fini della
validità di una querela, non è necessario l’uso di formule
sacramentali, essendo sufficiente la denuncia dei fatti e la chiara
manifestazione della volontà della persona offesa di voler perseguire
penalmente i fatti denunciati” (Sez. 4, sent. n. 46994 del
15/11/2011, dep. 20/12/2011, PM in proc. Bozzetto, Rv. 251439).
2.2. Ebbene, il tenore delle parole utilizzate nell’esposto, unitamente
alla formulazione di richiesta espressa di essere informati ex artt. 406
e 408 cod. proc. pen., mostrano chiaramente la volontà della pretesa
punitiva di Eni s.p.a. nei confronti dell’imputato per le condotte
criminose commesse in suo danno. Inoltre, la sussistenza della
volontà di punizione in capo alla persona offesa può ulteriormente
desumersi dall’atto di costituzione di parte civile nonché nella
persistenza di tale costituzione nei successivi gradi di giudizio (cfr.,
Sez. 2, sent. n. 30700 del 12/04/2013, dep. 17/07/2013, De Meo,
Rv. 255885).
3.

Come il primo, anche il secondo motivo, si appalesa

manifestamente infondato.
L’eccezione relativa all’assenza del potere di proporre querela in capo
all’avv. Massimo Mantovani, nella sua qualità di direttore degli Affari

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legali di Eni s.p.a. risulta essere stata proposta per la prima volta in
sede di legittimità.
Invero, la sussistenza o meno del suddetto potere presuppone un
accertamento in fatto che è precluso in sede di legittimità.
3.1. Fermo l’assorbente rilievo che precede, osserva in ogni caso il
Collegio come, sulla base di quanto ricavabile dagli atti, la procura
speciale conferita all’avv. Mantovani dall’allora amministratore

delegato di Eni s.p.a. dott. Paolo Scaroni, allegata all’esposto,
attribuisce allo stesso ogni più ampio potere di rappresentanza
connesso ai rapporti con l’autorità giudiziaria. Infatti, al punto 2 della
suddetta procura speciale, si prevede l’attribuzione al Direttore Affari
Legali il potere di “rappresentare la Società in tutti i procedimenti
giudiziari in cui la stessa è parte, sia come attrice che come
convenuta, dinanzi l’Autorità Giudiziaria Ordinaria, Speciale e
Amministrativa, conferendo a tal fine al nominato procuratore tutti i
necessari poteri di rappresentanza processuale e sostanziale della
Società, in ogni stato e grado di giurisdizione con ogni relativa
facoltà”: non può esservi dubbio sul fatto che all’interno dei conferiti
poteri rientra anche quello di rappresentare Eni s.p.a. nell’atto di
presentazione di una querela ai sensi dell’art. 336 e ss. cod. proc.
pen..
4. Affetto da manifesta infondatezza è anche il terzo motivo di
censura.
Si è in presenza di una sostanziale richiesta di nuova valutazione dei
fatti e del materiale probatorio non consentita in sede di legittimità,
circostanza che, di per sé, rende inammissibile il motivo.
4.1. Il ricorrente, lungi dall’indicare gli errori di diritto asseritamente
compiuti dal giudice del gravame nell’applicazione della disciplina
civilistica dell’art. 927 cod. civ., si limita ad affrontare il tema
dell’accertamento dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 647
cod. pen..
Sul punto, rileva il Collegio come la Corte territoriale, dopo aver
affermato come debba escludersi la volontà di appropriarsi del bene
rinvenuto da parte di chi, impossessatosi della cosa smarrita, attivi la
procedura ex art. 927 cod. civ., ha riconosciuto – con motivazione
congrua e del tutto esente da vizi logico-giuridici, la sussistenza del
reato di cui all’art. 647 cod. pen. – che l’imputato “… prima ancora di

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agire con l’azione civile ha cercato, per la verità per due volte, prima
col tentativo di prospettarsi come potenziale partner di un’operazione
produttiva, poi con la richiesta diretta della esorbitante somma di 10
milioni e oltre di euro, di trarre un beneficio ingiusto dal proprietario.
Con tale azione egli ha dimostrato il suo intento speculativo, basato
sul fatto di aver acquisito il possesso materiale della cosa; in tal modo
egli si è in concreto comportato da proprietario, riservandosi la scelta

di consegnare o meno il bene in relazione alla soddisfazione della
propria pretesa”.
5. Manifestamente infondato è anche il quarto, ed ultimo, motivo di
doglianza.
Del tutto errata è la prospettiva da cui parte la censura del ricorrente.
5.1. Invero, la Corte d’appello – come correttamente evidenziato
dalla parte civile – ha ritenuto integrato il delitto di tentata estorsione
non sulla base dell’esorbitanza della somma richiesta dal Fattori, né
tantomeno sulla “minaccia” di adire le vie legali: la condotta estorsiva
è stata invece ravvisata nell’aver subordinato la restituzione del
materiale copiato dalla chiavetta USB al pagamento della somma
richiesta.
Il Fattori, evidenzia la Corte, “… pur avendo avuto la possibilità di
agire in giudizio, come poi effettivamente fatto, ha cercato di coartare
la volontà dei rappresentanti dell’Eni, al fine di ottenere un profitto
all’evidenza sproporzionato rispetto al premio teoricamente ottenibile
con l’azione civile. Ed egli era ben consapevole della ingiustizia del
profitto che richiedeva; tanto è vero che egli stesso ha dichiarato di
aver chiesto una cifra “sparandola a caso”, non in base ad una
calcolata corrispondenza della richiesta al valore del bene ritrovato.
Da un punto di vista oggettivo poi la sproporzione sembra essere
confermata dall’esito del giudizio civile, che ha escluso che l’Eni possa
aver ricevuto un beneficio dal ritrovamento della chiavetta. Per le
stesse ragioni si esclude che operi nel caso di specie l’esimente
dell’esercizio del diritto; l’imputato ha agito pretendendo un profitto
ingiusto, al quale non aveva diritto …”.
5.2. Fermo quanto precede, esclusa la possibilità di una qualsiasi
diversa valutazione di fatto, la deduzione difensiva è, comunque,
manifestamente infondata, poiché il ritrovatore “… ha l’obbligo
giuridico di restituire la cosa rinvenuta e, pertanto, anche ammessa la

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sua buona fede circa la provenienza delittuosa del bene (Sez. 2^
civile, 13 novembre 1982, n. 6060, rv. 423765), nel caso in cui il
ritrovatore stesso subordini l’adempimento dell’obbligo al pagamento
di una somma di denaro, facendo chiaramente intendere che l’obbligo
medesimo altrimenti non verrà adempiuto, influisce sulla libera
determinazione del soggetto passivo ed integra, di per sè, una
minaccia rilevante ai sensi dell’art. 629 cod. pen.” (Sez. 2, sent. n.

5.3. Non può esservi dubbio, quindi, sul fatto che la disciplina che si
ricava dagli artt. 927 e 930 cod. civ., sia inequivoca nel subordinare il
riconoscimento del premio alla restituzione della cosa ritrovata.
Conseguentemente, si pone al di fuori dello schema legislativo
l’opposta volontà di condizionare la restituzione della res alla dazione
di una somma di denaro asseritamente e unilateralmente qualificata
come premio ex art. 930 cod. civ. e che, nella fattispecie, era stata
peraltro determinata in via del tutto arbitraria.
6. Ne consegue l’inammissibilità del ricorso e, per il disposto dell’art.
616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle
ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti
dal ricorso, si determina equitativamente in euro 1.000,00; il
ricorrente va altresì condannato alla rifusione a favore della parte
civile ENI s.p.a. delle spese sostenute in questo grado di giudizio
liquidate in complessivi euro 5.000,00 oltre IVA, CPA e rimborso
spese forfettarie
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa
delle ammende nonché alla rifusione a favore della parte civile ENI
s.p.a. delle spese sostenute in questo grado di giud io liquidate in
complessivi euro 5.000,00 oltre IVA, CPA e ri borso spese
forfettarie.
Così deliberato in Roma, udienza pubblica del 21.7.201

41671 del 18/09/2009, dep. 30/10/2009, Della Rocca).

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