Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3644 del 09/10/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 3644 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: AMOROSO GIOVANNI

SENTENZA
sul ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Velletri
nel p.p. nei confronti di Riti Valerio, n. a Roma il 13.5.1974 ed altri
avverso l’ordinanza del 19 ottobre 2012 del g.i.p. presso il tribunale di Velletri
Udita la relazione fatta in camera di consiglio dal Consigliere Giovanni Amoroso;
Udito il P.M., in persona del S. Procuratore Generale dott. Gioacchino Izzo che ha
concluso per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata;
la Corte osserva:

Data Udienza: 09/10/2013

RITENUTO IN FATTO
1.

Il Pubblico Ministero del Tribunale di Velletri con dichiarazione

depositata il 2.11.2012 proponeva appello avverso l’ordinanza emessa in data
19.10.2012 dal Gip del Tribunale di Velletri, di rigetto della richiesta di
applicazione di misure cautelari avanzata dal P.M. in data 2.12.2011 nei
confronti di Riti Valerio ed altri, indagati in relazione al contestato reato di
associazione per delinquere finalizzata all’importazione illegale di cuccioli di cane
di razze diverse, attraverso il compimento reiterato dei reati di maltrattamento di

frode nell’esercizio del commercio e truffa. Tale ordinanza del g.i.p.
implicitamente, rigettava le richieste di misure cautelari nei confronti degli
indagati. Riteneva il P.M. che il g.i.p. dichiarando la propria incompetenza
territoriale, avesse implicitamente compiuto una valutazione positiva di merito
del compendio indiziario evidenziando la figura

centrale di un indagato,

Amicucci Alexander, titolare della ditta “Super zoo” di Lecce, ed il ruolo
assolutamente significativo svolto da alcuni medici veterinari (operativi il Friuli
Venezia Giulia). Il Pubblico Ministero censurava altresì la decisione del Gip di
dichiararsi

incompetente

territorialmente

senza

individuare

territorialmente competente, demandando di fatto al
individuazione.

il

giudice

P.M. l’onere di

Inoltre svolgeva argomentazioni dirette ad affermare la

competenza territoriale del Tribunale di Velletri, in base al principio
giurisprudenziale del luogo ove l’associazione si era manifestata per la prima
volta all’esterno (Montecompatri, dove erano state accertate le prime cessioni di
cuccioli). Quanto alle esigenze cautelari, il P.M. chiedeva al Tribunale che,
qualora avesse riconosciuto l’incompetenza del Gip di Velletri, accogliesse la
domanda cautelare in via d’urgenza (urgenza non ravvisata dal g.i.p.).
2. Con ordinanza del 19 ottobre 2012 il Tribunale ha convertito l’appello
del Pubblico Ministero del Tribunale di Velletri contro l’ordinanza del Gip di
Velletri del 19.10.2012 in ricorso per Cassazione e per l’effetto ha ordinato
trasmettersi gli atti a quest’ultima Corte.
Ha ritenuto il Tribunale che il g.i.p. si era pronunciato solo ed
esclusivamente sulla questione della competenza territoriale, non procedendo ad
un’analisi compiuta ed esaustiva del materiale indiziario a carico di ciascun
indagato per il quale era stata richiesta la misura. Secondo il Tribunale il g.i.p.
non aveva né ritenuto insussistenti i gravi indizi, né però individuato la
competenza di altro giudice. La pronuncia resa dal g.i.p. era quindi di
incompetenza territoriale ai sensi dell’art. 22 c.p.p. senza indicazione del giudice
ritenuto competente. Ciò, a parere del Tribunale, rendeva il provvedimento
abnorme, perché determinava una stasi processuale, e non valutabile dal
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C.C. 9 ottobre 2013

animali, falsità materiale commessa pubblici ufficiali e privati, uso di atti falsi,

Tribunale stesso, ma solo dalla Corte di cassazione a cui dovevano essere
rimessi gli atti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.

Il Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Velletri ha

proposto appello avverso l’ordinanza del gip del 22 ottobre 2012 con cui
quest’ultimo ha dichiarato la propria incompetenza per territorio ed ha rigettato
la richiesta di applicazione di misura cautelare personale nei confronti degli
indagati per il reato di cui all’articolo 416 codice penale.

Avverso tale provvedimento ricorre per cassazione il Procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Velletri dolendosi dell’irritualità del
provvedimento stesso.
2. Il ricorso è fondato.
La conversione di un atto di impugnazione in un altro atto presuppone che
il primo abbia il contenuto del secondo e che l’atto impugnato sia suscettibile di
quest’ultima impugnazione. Nella specie l’ordinanza del g.i.p. era appellabile e
correttamente il Procuratore della Repubblica ha proposto appello dolendosi della
incompetenza per territorio ritenuta dal g.i.p..
In particolare l’atto di appello conteneva una prospettazione principale ed
una subordinata. In via principale il Procuratore della Repubblica appellante ha
sostenuto che erroneamente il g.i.p. aveva ritenuto il difetto della competenza
per territorio. In via subordinata il Procuratore della Repubblica ha censurato
l’ordinanza del g.i.p. perché, dichiarando la propria incompetenza per territorio,
non aveva individuato il giudice competente.
Il tribunale investito con l’appello era chiamato a pronunciarsi su
entrambe queste censure. Ove avesse ritenuto fondata la prima avrebbe dovuto
riformare l’ordinanza impugnata riconoscendo la competenza per territorio del
g.i.p. presso il tribunale di Velletri. All’opposto, ove avesse ritenuto invece
sussistente la ragione di incompetenza territoriale predicata dal g.i.p., il tribunale
era chiamato a valutare la legittimità, o no, dell’ordinanza del g.i.p. nella
prospettazione subordinata del Procuratore della Repubblica appellante che la
riteneva inficiata dalla mancata indicazione del giudice competente per territorio.
Giova a tal fine precisare che la dichiarazione di incompetenza territoriale
pronunciata dal g.i.p. a seguito di richiesta di adozione di misura cautelare è
strettamente limitata al provvedimento richiesto in riferimento agli elementi di
fatto addotti dal p.m. a fondamento della sua richiesta. Cfr. Cass., sez. 6, 26
novembre 1992 – 17 dicembre 1992, n. 4210, secondo cui nella fase dei
procedimenti incidentali “de libertate”, tenendo conto del sistema delineato dagli
artt. 21 ss. cod. proc. pen. che tende alla conservazione dei provvedimenti
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c. e. 9 ottobre 2013

Il tribunale adito ha convertito l’appello in ricorso per cassazione.

emessi e delle prove acquisite anche da giudice incompetente, riservando alla
fase del giudizio le questioni risolutive sulla competenza, si ha che la valutazione
e la pronuncia sulla competenza hanno carattere limitato e non definitivo perché
riferite agli elementi dei quali è possibile disporre in quel momento. Il g.i.p.
infatti di norma non è a conoscenza di tutti gli atti in possesso del P.M., bensì
solo di quelli funzionali alle esigenze del provvedimento “de libertate”. Sicché ha precisato Cass., sez. 1, 19 febbraio 1990 – 14 marzo 1990, n. 406 – nel caso
di dichiarazione di incompetenza adottata dal g.i.p. ai sensi del comma primo

indagini preliminari, non essendo vincolato alla pronuncia del giudice. Ed è per
questo che il primo comma dell’art. 22 c.p.p. prevede che nel corso delle indagini
preliminari il giudice, se riconosce la propria incompetenza per qualsiasi causa,
pronuncia ordinanza e dispone la «restituzione» degli atti al pubblico ministero,
ossia nella specie al p.m. che ha chiesto la misura cautelare. E’ salva quindi la
possibilità del P.M. di proseguire le indagini e di riproporre – sulla base di ulteriori
elementi – la questione di competenza territoriale allo stesso G.I.P., allorché
vada a richiedere un ulteriore provvedimento (cfr. Cass.,

sez. 6, 11 aprile

1991 – 22 maggio 1991, n. 1398).
Ove invece il tribunale avesse ritenuto infondati entrambi i profili di
censura avrebbe dovuto rigettare l’appello del Procuratore della Repubblica. Non
vi era quindi una situazione di stasi processuale che il Procuratore della
Repubblica appellante non ipotizzava affatto né tanto meno di essa si doleva.
Pertanto in nessun caso l’atto d’appello poteva convertirsi in ricorso per
cassazione mancando in esso del tutto la prospettazione dell’abnormità dell’atto
impugnato, come invece ritenuto dal tribunale. Cfr. Cass., sez. VI, 2 febbraio
2011, n. 7182, che ha affermato che è inammissibile l’impugnazione proposta
con un mezzo di gravame diverso da quello prescritto, quando dall’esame
dell’atto si tragga la conclusione che la parte impugnante abbia effettivamente
voluto ed esattamente denominato il mezzo di impugnazione non consentito
dalla legge (nella specie il p.m. aveva proposto appello avverso una sentenza di
non luogo a procedere ed intendeva proporre – ha ritenuto questa Corte – proprio
un atto di appello, che invece la corte d’appello ha trasmesso per competenza a
questa Corte previa riqualificazione del gravame come ricorso per cassazione).
Consegue – può precisarsi – che non è possibile la conversione in ragione della
regola stabilita dall’art. 568, comma 5, c.p.p., secondo la quale l’impugnazione è
ammissibile indipendentemente dalla qualificazione datane dalla parte, allorché
risulti in termini inequivocabili l’intento della parte impugnante di proporre
proprio e solo l’impugnazione presentata svolgendo censure non compatibili
invece con l’impugnazione in cui astrattamente potrebbe essere convertita.
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dell’art. 22 del nuovo cod. di proc. pen., il P.M. rimane libero di proseguire le

3. Conclusivamente, il ricorso del Procuratore della Repubblica va accolto
e vertendosi in una situazione in cui il tribunale per il riesame, adito con atto di
appello del p.m., non si è pronunciato trasmettendo gli atti a questa Corte con
ordinanza di conversione dell’appello in ricorso per cassazione, gli atti stessi
vanno restituiti alla tribunale di Velletri perché proceda a decidere sull’appello del
Procuratore della Repubblica.
P.Q.M.
la Corte dispone la restituzione degli atti al tribunale di Velletri.

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2013

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