Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 36433 del 21/07/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 36433 Anno 2015
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 21/07/2015

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di Martino Giuseppe, n. a Crotone il
17.04.1980, rappresentato e assistito dall’avv. Giuseppe Garzo, di
fiducia, avverso la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro,
seconda sezione penale, n. 617/2011, in data 11.12.2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione della causa fatta dal consigliere dott. Andrea
Pellegrino;
udita la requisitoria del Sostituto procuratore generale dott. Roberto
Aniello che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della
sentenza impugnata per non aver commesso il fatto;
sentita la discussione della difesa avv. Giuseppe Garzo che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

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1. Con sentenza in data 11.12.2014, la Corte d’appello di Catanzaro,
in riforma della sentenza pronunciata in primo grado dal Tribunale di
Crotone, in composizione monocratica, dichiarava non doversi
procedere nei confronti di Martino Giuseppe per essere i reati a lui
ascritti estinti per intervenuta prescrizione.
Queste le imputazioni:

capo A) artt. 633 e 639 bis cod. pen. per aver, in assenza di
provvedimento autorizzatorio o concessorio e in ogni caso senza
alcun titolo, costruendo così abusivamente l’immobile descritto nel
foglio allegato e in ogni caso abitandolo, arbitrariamente invaso al
fine di occuparlo e in ogni caso al fine di trarne profitto, la porzione di
terreno di proprietà del comune di Isola C.R.;
capo B) art. 44 lett. b) d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, per avere, in
assenza della prescritta concessione edilizia, realizzato abusivamente
l’immobile descritto nel foglio allegato;
capo C) artt. 94 e 95 d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, per avere
realizzato i lavori di costruzione dell’immobile descritto nel foglio
allegato in assenza dell’autorizzazione del genio civile;
capo D) artt. 64 e 71 d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, per avere
realizzato i lavori di costruzione dell’immobile descritto nel foglio
allegato con conglomerati cementiti in assenza di progetto esecutivo
e senza che la direzione dei lavori fosse affidata ad un tecnico
abilitato.
Fatti accertati in Isola C.R. con l’attualità della condotta.
2. Avverso detta sentenza, nell’interesse di Martino Giuseppe, viene
proposto ricorso per cassazione, per lamentare, con formale motivo
unico, violazione di legge e vizio di motivazione.
2.1. Si censura la sentenza impugnata per non avere la stessa
motivato in ordine all’esclusione della causa di assoluzione invocata
nei motivi di appello, in presenza di un’evidente assenza di
responsabilità del ricorrente su tutti i fatti di reato al medesimo
contestati. Si assume, in particolare, come l’assenza di responsabilità
del ricorrente emerga chiaramente dalla documentazione difensiva
prodotta.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2

1. Il ricorso è inammissibile per carenza di interesse.
2. Va preliminarmente ricordato che il controllo del giudice di
legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale
della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo
logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di
fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di

nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le
varie, cfr. Sez. 3, sent. n. 12110 del 19/03/2009 e sent. n. 23528 del
06/06/2006). Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l’illogicità
della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciarle,
deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile
ictu ocu/i, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere
limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le
minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni
difensive che, anche se non espressamente confutate, siano
logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano
spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez.
3, sent. n. 35397 del 20/06/2007; Sez. U, sent. n. 24 del
24/11/1999, Spina, Rv. 214794).
2.1. Più di recente, è stato ribadito come ai sensi di quanto disposto
dall’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e), il controllo di
legittimità sulla motivazione non attiene ne’ alla ricostruzione dei fatti
ne’ all’apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla
verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo
rendono insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente
significative che lo hanno determinato; b) l’assenza di difetto o
contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la
congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del
provvedimento (Sez. 2, sent. n. 21644 del 13/02/2013, Badagliacca e
altri, Rv. 255542).
2.2. Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative
della decisione ha dunque, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte
circoscritto.
Non c’è, in altri termini, la possibilità di andare a verificare se la
motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali. E ciò anche alla
luce del vigente testo dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e)

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come modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46. Il giudice di
legittimità non può procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti
ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite,
trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del
merito.
Il ricorrente non può, quindi, limitarsi a fornire una versione
alternativa del fatto, senza indicare specificamente quale sia il punto

della motivazione che appare viziato dalla supposta manifesta
illogicità e, in concreto, da cosa tale illogicità vada desunta.
2.3. Il vizio della manifesta illogicità della motivazione deve essere
evincibile dal testo del provvedimento impugnato. Com’è stato
rilevato nella citata sentenza 21644/13 di questa Corte, la sentenza
deve essere logica “rispetto a sè stessa”, cioè rispetto agli atti
processuali citati. In tal senso, la novellata previsione secondo cui il
vizio della motivazione può risultare, oltre che dal testo del
provvedimento impugnato, anche da “altri atti del processo”, purché
specificamente indicati nei motivi di gravame, non ha infatti
trasformato il ruolo e i compiti di questa Corte, che rimane giudice
della motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo giudice
del fatto.
2.4. Avere introdotto la possibilità di valutare i vizi della motivazione
anche attraverso gli “atti del processo” costituisce invero il
riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di
legittimità il cosiddetto “travisamento della prova” che è quel vizio in
forza del quale il giudice di legittimità, lungi dal procedere ad una
(inammissibile) rivalutazione del fatto (e del contenuto delle prove),
prende in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti per
verificare se il relativo contenuto è stato o meno trasfuso e valutato,
senza travisamenti, all’interno della decisione.
In altri termini, vi sarà stato “travisamento della prova” qualora il
giudice di merito abbia fondato il suo convincimento su una prova che
non esiste (ad esempio, un documento o un testimone che in realtà
non esiste) o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da
quello reale (alla disposta perizia è risultato che lo stupefacente non
fosse tale ovvero che la firma apocrifa fosse dell’imputato). Oppure
dovrà essere valutato se c’erano altri elementi di prova
inopinatamente o ingiustamente trascurati o fraintesi. Ma – occorrerà

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ancora ribadirlo – non spetta comunque a questa Corte Suprema
“rivalutare” il modo con cui quello specifico mezzo di prova è stato
apprezzato dal giudice di merito.
2.5. Per esserci stato “travisamento della prova” occorre, tuttavia,
che sia stata inserita nel processo un’informazione rilevante che
invece non esiste nel processo oppure si sia omesso di valutare una
prova decisiva ai fini della pronunzia.

In tal caso, però, al fine di consentire di verificare la correttezza della
motivazione, va indicato specificamente nel ricorso per cassazione
quale sia l’atto che contiene la prova travisata o omessa.
Il mezzo di prova che si assume travisato od omesso deve inoltre
avere carattere di decisività. Diversamente, infatti, si chiederebbe al
giudice di legittimità una rivalutazione complessiva delle prove che,
come più volte detto, sconfinerebbe nel merito.
3. Si legge nella sentenza impugnata: “… deve, preliminarmente,
rilevarsi l’improcedibilità dell’azione penale in ordine ai reati
contestati all’imputato in quanto estinti per intervenuta prescrizione,
atteso che, pur essendo il reato di cui al capo A) di natura
permanente, dagli atti emerge che il manufatto abusivo e l’area
occupata, con decreto del 20.04.2005, sono stati colpiti da sequestro
preventivo. E in tema di abusiva occupazione di spazio demaniale, ai
fini della decorrenza del termine di prescrizione, deve ritenersi
cessata la permanenza del reato in seguito al provvedimento di
sequestro (sia probatorio che preventivo) che determina per
l’imputato la perdita della libera disponibilità delle cose sequestrate e,
di conseguenza, anche l’impossibilità di determinarsi liberamente in
ordine alle stesse (cfr., Sez. 3, sent. n. 26811 del 08/05/2003).
Pertanto, tenuto conto che il termine prescrizionale massimo previsto
dagli artt. 157 e 160 cod. pen. nuova formulazione, risulta decorso
per il reato di cui al capo A) alla data del 20.10.2012 e per le altre
contravvenzioni alla data del 20.04.2010, deve pronunciarsi sentenza
di non doversi procedere nei confronti dell’imputato in ordine ai
predetti reati, essendo estinti per intervenuta prescrizione e non
ricorrendo alcuna delle ipotesi di cui all’art. 129, comma 2 cod. proc.
pen….”.
4. Per costante giurisprudenza di legittimità, in presenza di una causa
di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di

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motivazione della sentenza impugnata perché l’inevitabile rinvio della
causa all’esame del giudice di merito dopo la pronuncia di
annullamento è incompatibile con l’obbligo dell’immediata
declaratoria di proscioglimento stabilito dall’art. 129 cod. proc. pen.,
salvo che nella sentenza impugnata si dia atto della sussistenza dei
presupposti per la pronunzia di assoluzione, sia pure ai sensi del
secondo comma dell’art. 530 cod. proc. pen., atteso che, nel vigente

contraddittorietà della prova è del tutto equiparata alla mancanza di
prove e costituisce pertanto pronunzia più favorevole rispetto a quella
di estinzione del reato (Sez. 4, sent. n. 40799 del 18/09/2008, dep.
31/10/2008, PG in proc. Merli, Rv. 241474).
4.1. Questa precisa situazione risulta essersi verificata nella
fattispecie nella quale, da un lato, l’imputato non risulta aver
espressamente rinunciato alla prescrizione e, dall’altro, il giudice di
secondo grado ha espressamente escluso l’esistenza di una situazione
che potesse consentire una pronuncia assolutoria nel merito: da qui
la declaratoria di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse.
5. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc.
pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali
nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una
somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si
determina equitativamente in euro 1.000,00

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 00 alla Cassa
delle ammende.
Così deliberato in Roma, udienza pubblica del 21.7.2015

Il Consigliere estensore
Dott. Ardre Pellegrino
k

sistema processuale, la assoluzione per insufficienza o

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